Le Monografie storiche di Giuseppe Ressa

Le conseguenze dell’annessione

Il nuovo sistema bancario e il Bilancio iniziale del neo stato italiano

Il Vittoriale

Testo di Giuseppe Ressa

Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso

Al momento dell’unità in Italia c’erano solo due grandi banche: il Banco delle Due Sicilie (Banco di Napoli e Banco di Sicilia) e la Cassa di Risparmio di Milano (delle province lombarde). La prima era nettamente in testa con depositi per 200milioni di lire del tempo contro i 120 della seconda; il Banco delle Due Sicilie era un’istituzione pubblica seria e stimata all’interno e all’estero, le sue fedi di credito (una specie di moneta cartacea) avevano una storia secolare ed erano apprezzate più dell’oro perché interamente garantite nel loro valore nominale che era pagabile a vista con monete contanti, sia negli sportelli del Banco sia nelle tesorerie provinciali [1].

Nei primi cinque anni dall'unità si scatenò una lotta feroce tra il Banco di Napoli e la Banca Nazionale (piemontese) ma mentre al Sud proliferarono le Casse di Deposito del Nord, un quarto di quelle che saranno costituite in Italia in quegli anni, il Banco di Napoli doveva invece ottenere l'autorizzazione statale per aprire filiali nel settentrione d’Italia. È evidente che lo scopo finale era di privilegiare gli interessi della borghesia del nord a scapito di quella meridionale.

Al momento dell’unità vennero stabiliti 5 istituti di emissione, con diritto, quindi, di battere moneta per conto dello neo Stato: Banca Nazionale (ex Banca Nazionale Sarda), la Banca Toscana, il Credito Toscano, il Banco di Sicilia ed il Banco di Napoli, aumentati a 6, con la Banca Romana, dopo il 20 settembre 1870, e poi ridotti a soli tre nel 1893, anno di nascita della Banca d’Italia, che si affiancava al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia.

Ai suddetti 5 istituti bancari fu riconosciuto anche il compito di ritirare dalla circolazione le vecchie valute e di unificare i bilanci dei singoli Stati italiani preunitari in un unico Bilancio Nazionale. La situazione apparve subito molto difficile [2], si partì con un disavanzo, relativo al solo anno 1860, di 39 milioni di lire dell’epoca dovute al saldo negativo tra i bilanci che erano, in quell’anno, in attivo (Lombardia, Emilia, Marche, Umbria, Regno delle Due Sicilie) e quelli che erano in passivo, capitanati dal Regno di Sardegna con 91 milioni di lire e seguito dalla Toscana con più di 14.

Questo, però, era il meno perchè al bilancio del neonato regno d’Italia bisognava aggiungere l’ammontare del debito pubblico dei singoli stati che ammontava, per il solo anno 1861, a 111 milioni di lire di cui ben 63 dovuti al regno di Sardegna (57% del totale).

Quello complessivo raggiungeva la astronomica cifra di 2 miliardi 241milioni 870mila lire dell’epoca. Di questi poco più di 440 milioni di lire circa erano portati dalle Due Sicilie, che però erano completamente garantiti tanto che i suoi certificati erano quotati a Londra ben oltre il valore nominale.

Il regno di Sardegna portava in eredità al nuovo stato, il triplo: più di 1 miliardo e 200 milioni. [per aggiornare le cifre ricordiamo che 1 lira dell’epoca equivale a circa 7.302 lire dell’anno 2001].

Vittorio Emanuele con la compagna Rosa Guerrieri

Questo debito era dovuto a due cause: la pessima bilancia commerciale piemontese, in continuo passivo dal 1849 al 1858 e ai costi di una onerosissima politica estera che imponeva l’accensione di enormi prestiti con le grandi potenze amiche (l’Inghilterra e la Francia), basti pensare, ad esempio, che il debito per la spedizione di Crimea del 1855 fu estinto addirittura nel 1902.

Tav. 1 - 1860: raffronto del debito pubblico (in milioni di lire dell’epoca) [3]

 

NAPOLI

PIEMONTE

Debito pubblico consolidato

441,23

1.271,43

Interessi annui

25,181

75,474

Ci fu un indebitamento colossale, coprire un debito con un altro debito, pagare una rata d'interessi facendo ancora un debito era diventato il sistema di governo: tra il 1849 e il 1858 il Piemonte contrasse all'estero, principalmente con il banchiere James Rothschild, debiti per 522 milioni - quattro annate di entrate fiscali. Si sostiene che lo Stato sabaudo si piegò alla necessità della unità nazionale e si aggiunge che è doveroso essere grati ai Savoia; di certo - di storico - c'è solo il fatto che il Regno di Sardegna se la cavò riversando i suoi debiti sul resto dell'Italia autoannessasi.” [4].

Tav. 2 - Andamento del debito pubblico nel Regno di Napoli e in Piemonte (in lire dell’epoca) [5]

 

 

REGNO DI NAPOLI

PIEMONTE

Debito a tutto il 1847

Lire

317.475.000

168.530.000

Debito a tutto il 1859

Lire

411.475.000

1.121.430.000

Incremento nel periodo

%

29,61%

565,42%

Interessi sul D.P.

Lire

22.847.628

67.974.177

Popolazione residente

 

6.970.018

4.282.553

Debito pro-capite

Lire

59,03

261,86

PIL

Lire

2.620.860.700

1.610.322.220

D.P./PIL

%

16,57%

73,86%

Interessi D.B./PIL

%

0,87%

4,22%

Dal 1830 al 1845 la quota delle spese militari [piemontesi] non fu mai inferiore al 40% della spesa statale complessiva. Con la prima guerra di indipendenza l’incidenza delle spese militari su quelle totali raggiunse nel 1848 e nel 1849 rispettivamente il 59.4% e il 50.8% ... con la guerra del 1859 e 1860....raggiunse rispettivamente il 55.5% e il 61,6% …. mentre per l’assistenza sociale, l’igiene e la sanità, la pubblica istruzione e le belle arti, raramente nell’insieme si destinò annualmente più del 2% della spesa totale[6]

Per quanto riguarda il Tesoro il contributo più alto lo pagò il Sud che, al momento della annessione, partecipò per i 2/3 alla sua costituzione e mentre la moneta delle Due Sicilie era garantita interamente in oro, quella piemontese lo era solo per una lira su tre.

Tav. 3 - Riserva aurea a garanzia della moneta circolante degli antichi stati italiani al momento delle annessioni (espresse in lire dell’epoca) [7]

Stati Italiani preunitari

Milioni di lire

Due Sicilie

443,2

Lombardia

8,1

Ducato di Modena

0,4

Parma e Piacenza

1,2

Roma (1870)

35,3

Romagna, Marche e Umbria

55,3

Piemonte

27,0

Toscana

85,2

Venezia (1866)

12,7

TOTALE

 670,4

Le Due Sicilie “scoppiavano” di salute come metallo monetato, integralmente garantito in oro, tanto che le riserve auree erano, per abitante, il doppio di quelle degli altri stati europei ma, anche a questo proposito, il Corano-Donvito critica la “staticità” del credito meridionale che concedeva prestiti a tasso troppo alto e “conforme del tutto a questa dei privati [che preferivano risparmiare piuttosto che investire] era la condotta del Banco di Napoli, il quale dava altresì prova, esempio di inerzia dei capitali, tenendo in semplice deposito ordinariamente l’enorme somma -per quei tempi- di 120 a 130 milioni di lire….. bisogna concludere che nell’ex Regno delle Due Sicilie si perdevano annualmente i profitti che si sarebbero potuti ricavare dalla somma [nel complesso] di 300 milioni, se questa fosse stata investita in speculazioni agricole, industriali e commerciali con l’aiuto del credito…invece quel valore marcisce negli scrigni dei proprietari”[8] La gestione della nuova finanza pubblica del regno d’Italia, invece di farsi carico di programmi di sviluppo economico del nuovo Stato, rincorse illusori obiettivi di “pareggio del bilancio”. Per ottenere ciò si imposero nuovi tributi, ci si affrettò a svendere sottocosto i beni demaniali e quelli ecclesiastici con colossali profitti per gli acquirenti e cattivi affari per lo Stato.

Giuseppe Ressa


Note

[1] Dati tratti da Nicola Zitara “La gran cuccagna dei fratelli d’Italia”, Riv. Due Sicilie 2-2004.

[2] i dati successivi sono tratti da “l’Italia economica nel 1873, Pubblicazione Ufficiale”, Roma, Barbera, 1874 (II ed.riveduta) che ripercorre tutto il cammino del bilancio dello Stato dall’Unità in poi; riportata da Aldo Alessandro Mola in “L’economia italiana dopo l’unità”, Paravia, Torino, 1971, pagg. 12 e segg.

[3] Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860, Giacomo Savarese, Napoli - tipografia Gaetano Cardamone - 1862

[4] Nicola Zitara, “L’unità truffaldina”, op. cit.

[5] Giacomo Savarese, op. cit.,modif.

[6] Anteo d’Angio, La situazione finanziaria italiana dal 1796 al 1870” in Storia d’Italia De Agostini. 1973, vol.VI, pag. 241 riportata da Antonio Socci, La dittatura anticattolica, Sugarco, 2004.

[7] Francesco Saverio Nitti, Scienze delle Finanze, Pierro, 1903, p.292.

[8] op.cit. pag.65-107.

Giuseppe Ressa


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