Testo di
Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di
Alfonso Grasso
Al momento dell’unità in Italia c’erano solo due grandi
banche: il Banco delle Due Sicilie (Banco di Napoli e
Banco di Sicilia) e
la Cassa di Risparmio di Milano
(delle province lombarde). La prima era nettamente in
testa con depositi per 200milioni di lire del tempo
contro i 120 della seconda; il Banco delle Due Sicilie
era un’istituzione pubblica seria e stimata all’interno
e all’estero, le sue fedi di credito (una specie di
moneta cartacea) avevano una storia secolare ed erano
apprezzate più dell’oro perché interamente garantite nel
loro valore nominale che era pagabile a vista con monete
contanti, sia negli sportelli del Banco sia nelle
tesorerie provinciali
.
Nei primi cinque anni dall'unità si scatenò una lotta
feroce tra il Banco di Napoli e
la Banca
Nazionale
(piemontese) ma mentre al Sud proliferarono le Casse di
Deposito del Nord, un quarto di quelle che saranno
costituite in Italia in quegli anni, il Banco di Napoli
doveva invece ottenere l'autorizzazione statale per
aprire filiali nel settentrione d’Italia. È evidente che
lo scopo finale era di privilegiare gli interessi della
borghesia del nord a scapito di quella meridionale.
Al momento dell’unità vennero stabiliti 5 istituti di
emissione, con diritto, quindi, di battere moneta
per conto dello neo Stato: Banca Nazionale (ex Banca
Nazionale Sarda), la Banca Toscana, il Credito Toscano, il Banco di Sicilia
ed il Banco di Napoli, aumentati a 6, con
la Banca Romana,
dopo il
20 settembre 1870,
e poi ridotti a soli tre nel 1893, anno di nascita della
Banca d’Italia, che si affiancava al Banco di Napoli e
al Banco di Sicilia.
Ai suddetti 5 istituti bancari fu riconosciuto anche il
compito di ritirare dalla circolazione le vecchie
valute e di unificare i bilanci dei singoli Stati
italiani preunitari in un unico
Bilancio
Nazionale. La situazione apparve subito molto
difficile
, si partì con un disavanzo,
relativo al solo anno 1860, di 39 milioni di lire
dell’epoca dovute al saldo negativo tra i bilanci
che erano, in quell’anno, in attivo (Lombardia, Emilia,
Marche, Umbria, Regno delle Due Sicilie) e quelli che
erano in passivo, capitanati dal Regno di Sardegna con
91 milioni di lire e seguito dalla Toscana con più di
14.
Questo, però, era il meno perchè al bilancio del neonato
regno d’Italia bisognava aggiungere l’ammontare del
debito pubblico
dei singoli stati che ammontava, per il solo anno
1861, a 111 milioni di
lire di cui ben 63 dovuti al regno di Sardegna (57%
del totale).
Quello complessivo raggiungeva la astronomica
cifra di 2 miliardi 241milioni 870mila lire dell’epoca.
Di questi poco più di 440 milioni di lire circa
erano portati dalle Due Sicilie, che però erano
completamente garantiti tanto che i suoi certificati
erano quotati a Londra ben oltre il valore nominale.
Il regno di Sardegna portava in eredità al nuovo stato,
il triplo:
più di 1 miliardo e 200 milioni. [per aggiornare le
cifre ricordiamo che 1 lira dell’epoca equivale a circa
7.302 lire dell’anno 2001].
|
Vittorio Emanuele con la compagna Rosa Guerrieri |
Questo debito era dovuto a due cause: la pessima
bilancia commerciale piemontese, in continuo passivo dal
1849 al 1858 e ai costi di una onerosissima politica
estera che imponeva l’accensione di enormi prestiti con
le grandi potenze amiche (l’Inghilterra e la Francia), basti pensare, ad esempio, che il
debito per la spedizione di Crimea del 1855 fu estinto
addirittura nel 1902.
Tav. 1 - 1860: raffronto del debito pubblico (in
milioni di lire dell’epoca)
|
NAPOLI |
PIEMONTE |
Debito pubblico consolidato |
441,23 |
1.271,43 |
Interessi annui |
25,181 |
75,474 |
“Ci fu un indebitamento colossale, coprire un debito
con un altro debito, pagare una rata d'interessi facendo
ancora un debito era diventato il sistema di governo:
tra il 1849 e il 1858 il Piemonte contrasse all'estero,
principalmente con il banchiere James Rothschild, debiti
per 522 milioni - quattro annate di entrate fiscali. Si
sostiene che lo Stato sabaudo si piegò alla necessità
della unità nazionale e si aggiunge che è doveroso
essere grati ai Savoia; di certo - di storico - c'è solo
il fatto che il Regno di Sardegna se la cavò riversando
i suoi debiti sul resto dell'Italia autoannessasi.”
.
Tav. 2 - Andamento del debito pubblico nel Regno di
Napoli e in Piemonte (in lire dell’epoca)
|
|
REGNO DI NAPOLI |
PIEMONTE |
Debito a tutto il 1847 |
Lire |
317.475.000 |
168.530.000 |
Debito a tutto il 1859 |
Lire |
411.475.000 |
1.121.430.000 |
Incremento nel periodo |
% |
29,61% |
565,42% |
Interessi sul D.P. |
Lire |
22.847.628 |
67.974.177 |
Popolazione residente |
|
6.970.018 |
4.282.553 |
Debito pro-capite |
Lire |
59,03 |
261,86 |
PIL |
Lire |
2.620.860.700 |
1.610.322.220 |
D.P./PIL |
% |
16,57% |
73,86% |
Interessi D.B./PIL |
% |
0,87% |
4,22% |
“Dal 1830 al 1845 la quota delle spese militari
[piemontesi] non fu mai inferiore al 40% della spesa
statale complessiva. Con la prima guerra di indipendenza
l’incidenza delle spese militari su quelle totali
raggiunse nel 1848 e nel 1849 rispettivamente il 59.4% e
il 50.8% ... con la guerra del 1859 e 1860....raggiunse
rispettivamente il 55.5% e il 61,6% …. mentre per
l’assistenza sociale, l’igiene e la sanità, la pubblica
istruzione e le belle arti, raramente nell’insieme si
destinò annualmente più del 2% della spesa totale”
Per quanto riguarda il Tesoro il contributo più alto
lo pagò il Sud che, al momento della annessione,
partecipò per i 2/3 alla sua costituzione e mentre
la moneta delle Due Sicilie era garantita interamente in
oro, quella piemontese lo era solo per una lira su tre.
Tav. 3 - Riserva aurea a garanzia della moneta
circolante degli antichi stati italiani al momento delle
annessioni (espresse in lire dell’epoca)
[7]
Stati Italiani preunitari |
Milioni di lire
|
Due Sicilie
|
443,2 |
Lombardia
|
8,1 |
Ducato di Modena
|
0,4 |
Parma e Piacenza
|
1,2 |
Roma (1870)
|
35,3 |
Romagna, Marche e Umbria
|
55,3 |
Piemonte
|
27,0 |
Toscana
|
85,2 |
Venezia (1866)
|
12,7 |
TOTALE |
670,4 |
Le Due Sicilie
“scoppiavano” di salute come metallo monetato,
integralmente garantito in oro, tanto che le riserve
auree erano, per abitante, il doppio di quelle degli
altri stati europei ma, anche a questo proposito, il
Corano-Donvito critica la “staticità” del credito
meridionale che concedeva prestiti a tasso troppo alto e
“conforme del tutto a questa dei privati [che
preferivano risparmiare piuttosto che investire] era la
condotta del Banco di Napoli, il quale dava altresì
prova, esempio di inerzia dei capitali, tenendo in
semplice deposito ordinariamente l’enorme somma -per
quei tempi- di
120 a 130 milioni di lire…..
bisogna concludere che nell’ex Regno delle Due Sicilie
si perdevano annualmente i profitti che si sarebbero
potuti ricavare dalla somma [nel complesso] di 300
milioni, se questa fosse stata investita in speculazioni
agricole, industriali e commerciali con l’aiuto del
credito…invece quel valore marcisce negli scrigni dei
proprietari”
La gestione della nuova finanza pubblica del
regno d’Italia, invece di farsi carico di programmi di
sviluppo economico del nuovo Stato, rincorse illusori
obiettivi di “pareggio del bilancio”. Per ottenere ciò
si imposero nuovi tributi, ci si affrettò a svendere
sottocosto i beni demaniali e quelli ecclesiastici con
colossali profitti per gli acquirenti e cattivi affari
per lo Stato.
Giuseppe Ressa
Note
Le finanze napoletane e le finanze piemontesi
dal 1848 al 1860, Giacomo Savarese, Napoli -
tipografia Gaetano Cardamone - 1862
Francesco
Saverio Nitti, Scienze delle Finanze, Pierro,
1903, p.292.
Giuseppe Ressa |