Testo di
Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di
Alfonso Grasso
Che fine hanno fatto i componenti dell’Esercito
Nazionale delle Due Sicilie che, all’inizio del 1860,
erano circa 95.000 ?
Dobbiamo distinguere tre fasi della guerra: la prima è
compresa dal
11 maggio 1860
(invasione della Sicilia da parte dei Mille) al 7
settembre (giorno successivo all’abbandono della
Capitale da parte di re Francesco II), dopo di essa
rimasero attivi circa 40 mila uomini, gli altri si
sbandarono, tornarono alle loro case o andarono a
rinforzare le prime insorgenze popolari antiunitarie; la
seconda fase va dal 7 settembre al
13 novembre 1860
(inizio dell’assedio di Gaeta) quando rimasero in piedi
solo i 3 focolai di resistenza “ufficiali” rappresentati
dalle fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto;
la terza e ultima fase arriva fino al
20 marzo 1861,
data della capitolazione di Civitella che fu l’ultimo
baluardo a cedere.
I militari che ebbero la peggio furono quelli che
combatterono la seconda fase della guerra: a Capua
furono fatti prigionieri circa 11.500 soldati, altri
2.500 sul Volturno, altri nella battaglia del
Garigliano, tutti furono immediatamente avviati, per
primi, ai campi di prigionia del Nord d’Italia.
Successivamente, il 13 febbraio 1861 a Gaeta si
arresero, circa 11.000 soldati; a tali prigionieri
bisognerà poi aggiungere quelli delle fortezze di
Messina e Civitella del Tronto ma i dispositivi delle
capitolazioni prevedevano alcune condizioni speciali per
le milizie sconfitte “Per loro i patti di resa
prevedevano un periodo di prigionia e poi 2 mesi di
tempo per decidere cosa volessero fare. Il Piemonte
premeva per recuperare quanta più truppa possibile
dall’unificazione, carne da cannoni da inviare anche al
confine con l’Austria in vista di nuove guerre”
Ma, fin dalla seconda fase della guerra, non fu facile
convincere i prigionieri ad arruolarsi nelle milizie che
essi consideravano “piemontesi” o comunque straniere
«tra le parecchie migliaia di prigionieri, tramutati
nell'Italia superiore, benché tentati colla fame, col
freddo in clima per essi rigidissimo, e, con ogni
genere, di privazioni, appena i tre o quattro sopra
cento si piegarono ad arruolarsi nelle milizie di un
altro Re, e quasi tutti, all'invito, non fecero altra
risposta, che questa molto laconica: Il nostro Re sta a
Gaeta».
“Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra,
già trasportati in Piemonte e in Lombardia, si ebbe
ricorso a un spediente crudele e disumano che fa
fremere. Quei meschinelli, appena coperti da cenci di
tela, e rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione
con cattivo pane e acqua e una sozza broda, furono fatti
scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d’altri
luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini
nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello
delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa
coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento fra le
ghiacciaie. E ciò perché fedeli al giuramento militare
ed al legittimo Re“.
La fortezza di Fenestrelle, in Piemonte, è una
antesignana dei gulag siberiani, abbarbicata ad un
costone del monte Orsiera (metri 2893), può nevicarci
anche a giugno; è composta da un imponente sistema
difensivo di più forti, collegati fra loro da una scala
coperta di 3996 gradini; per la sua costruzione occorse
più di un secolo; come riferisce la guida agli
esterrefatti visitatori, di qui nessuno poté mai
evadere: la vita nella fortezza, anche per i più
robusti, non superava i pochi mesi, si usciva solo per
essere disciolti, per motivi "igienici", in una gran
vasca di calce viva. Furono smontati i vetri e gli
infissi nei cameroni dove erano rinchiusi i prigionieri
meridionali, rimasero solo le inferriate “Le vittime
dovettero essere migliaia, anche se non vennero
registrate da nessuna parte. Morti senza onore, senza
tombe, senza lapidi e ricordo. Morti di nessuno. Terroni
“.
Fenestrelle, Forte San Carlo, Commemorazione dei caduti
delle Due Sicilie
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E dopo la caduta di Gaeta, la Civiltà Cattolica ( la
rivista dei gesuiti) commenta: «In Italia esiste proprio
la tratta dei Napoletani. Si arrestano da Cialdini
soldati napoletani in gran quantità, si stipano né
bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e
poi si mandano in Genova. Trovandomi testé in quella
città ho dovuto assistere ad uno di què spettacoli che
lacerano l'anima. Ho visto giungere bastimenti carichi
di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e
sbarcati furono distesi sulla pubblica strada come cosa
da mercato. Spettacolo doloroso che si rinnova ogni
giorno in via Assarotti dove è un deposito di questi
sventurati. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi
nelle carceri di Fenestrelle, qui cospirarono e se non
si riusciva in tempo a sventare la congiura, essi
ímpadronivansi del forte di Fenestrelle, e poi unendosi
con altri napoletani incorporati nell'esercito,
piombavano su Torino. Un 8.000 di questi antichi soldati
Napoletani furono concentrati nel campo di San Maurizio,
ma il governo li considera come nemici, e, dice
l'Opinione, che «a tutela della sicurezza pubblica sia
dei dintorni, sia del campo, furono inviati a S.
Maurizio due battaglioni di fanteria». Ma si sa che
inoltre vi stanno a Guardia qualche batteria di cannoni,
alcuni squadroni di cavalleria, e, più battaglioni di
bersaglieri, tanto ne hanno paura! E costoro, cosí
guardati e malmenati, pensate con che valore vorranno
poi combattere pel Piemonte! Eccovi in che modo si fa
l’Italia!»
“Con la caduta della fortezza di Civitella del Tronto,
che rappresentò la fine delle ostilità, venne a cessare
per gli ex soldati napoletani anche lo status di
prigionieri di guerra, ma i campi, che già avevano avuto
il compito di concentrare i prigionieri, continuarono a
svolgere una funzione di raccolta, di smistamento e di
"prigionia velata" per tutti i nuovi coscritti
napoletani che forzatamente furono arruolati e che -
data la poca fiducia che ispiravano - dovevano essere
tenuti in una sorta di servizio di leva a sorveglianza
speciale, che ridiveniva prigionia nel caso di
ribellione o di cattura conseguente a diserzione o
renitenza. In verità, lo scioglimento e l'assimilazione
dell'esercito napoletano non aveva dato i frutti
sperati. Per quanto riguarda gli Ufficiali Generali,
dopo la prigionia di guerra a Genova, fu concesso loro
di andare in esilio a Marsiglia, purché avessero
rinunciato al riconoscimento di tutti i diritti per il
servizio prestato nell'esercito borbonico; su cinquanta
e più di essi, solo sei chiesero di transitare
nell'esercito nazionale.”
Il
28 novembre 1860
un decreto di Vittorio Emanuele fissava al 7 settembre
il riconoscimento dei gradi degli ufficiali che volevano
entrare nel nuovo esercito “unitario”, tutte le
promozioni di guerra elargite da Francesco II, dopo
quella data, furono inopinatamente dichiarate nulle per
cui quelli che avevano servito più valorosamente il
giuramento prestato al re meridionale, furono
penalizzati, stesso trattamento era previsto per chi
chiedeva il ritiro.
“Le posizioni e le richieste degli ufficiali superiori
ed inferiori furono valutate da una commissione mista
presieduta dal generale De Sauget, comandante generale
della Guardia Nazionale meridionale; di 3.600 ne
transitarono nell'esercito italiano 2.311: di questi
ultimi 862 appartenevano ai servizi sedentari, altri 363
erano addetti ai servizi religiosi, medici e veterinari,
159 erano ufficiali garibaldini già ex ufficiali
borbonici. In sostanza furono solo 927 gli ufficiali
provenienti dall'armata napoletana che andarono a
rinforzare l'esercito combattente piemontese.”
Nell’estate del 1861 una trentina di ufficiali furono
arrestati di notte nelle loro case trasferiti nei campi
di prigionia in palese violazione alle capitolazioni
sottoscritte nell’atto di resa delle piazzaforti
meridionali; bisognerà aspettare l’amnistia del 1863 per
porre fine a questi soprusi, artefice di questi atti
illegali fu Silvio Spaventa, ex esiliato politico.
Alla prima leva “unitaria“ del 1861 (che prevedeva un
servizio di cinque anni) si presentarono solo 20000 dei
72000 uomini previsti, seguirono dei rastrellamenti di
reparti regolari dell’esercito piemontese fin nei più
piccoli paesi del Meridione, furono deportati tutti i
maschi dall’apparente età dai 20 ai 25 anni e in alcuni
casi ci furono fucilazioni sommarie, per presunta
renitenza alla leva. Scrive Tommaso Pedio:
“La mattina del primo febbraio reparti regolari si
portano nei piccoli centri abitati ... Ragazzi, giovani,
uomini maturi si avvicinano con curiosità a questi
soldati che non hanno mai visto. Si chiedono perché mai
sono venuti nel loro paese ...vengono rastrellati tutti
i giovani dall'apparente età dai 20 ai 25 anni. Tra
questi non vi sono i figli del sindaco o degli ufficiali
e dei militi della Guardia Nazionale, né i figli dei
loro amici. Nessun galantuomo, nessun civile, soltanto
poveri contadini ai quali nessuno ha mai detto perché
sono venuti quei soldati. Non si limitano a dichiarare
e a trattenere in arresto come disertori o renitenti
alla leva i giovani rastrellati. In alcuni casi, a
Castelsaraceno, ad esempio, a Carbone e nei casali di
Latronico, fucilano sul posto e senza dar loro la
possibilità di giustificare la presunta renitenza alla
leva, numerosi giovani i quali non hanno mai saputo
della chiamata alle armi della leva del 1857-1860. Chi è
sfuggito al rastrellamento si allontana dalla propria
casa e ripara nelle campagne e nei boschi, non certo per
delinquere, ma sellando per sottrarsi all'arresto.”
Dal diario del soldato borbonico Giuseppe Conforti nato
a Catanzaro il 14/3/1836
«Nella mia uscita fu principio la guerra del 1860,
dopo questa campagna che per aver tradimenti si sono
perduto tutto e noi altri povere soldati manggiando erba
dovettimo fuggire, aggiunti alla provincia della
Basilicata sortí un prete nemico di Dio e del mondo con
una porzione di quei giudei e ci voleva condicendo che
meritavamo di essere uccisi per la federtà che avevamo
portato allo notro patrone. Ci hanno portato a un
carnefice Piemontesa condicendo perché aveva tardato
tanto ad abbandonare quell'assassino di Borbone. Io li
sono risposto che non poteva giammai abbandonarlo perché
aveva giurato fedeltà a lui e lui mi à ditto che dovevo
tornare indietro asservire sotto la Bandiera d'italia.
Il terzo giorno sono scappato, giunto a Girifarchio dove
teneva mio fratello sacerdote vedendomi redutto a quello
misero stato e dicendo mal del mio Re io li risposi che
il mio Re no aveva colpa del nostri patimenti che sono
stato le nostri soperiori traditori; siamo fatto
questioni e lo sono lasciato. Allo mio paese sono stato
arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione mi anno
fatto partire per il piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci
anno portato affare il giuramento, in quello stesso anno
sono stato 3 volte all'ospidale e in pregiona a pane e
accua; principio del 1863 fuggito da sotto le armi di
vittorio, il 24 sono giunto in Roma, il giorno 30 sono
andato alludienza del mio desiderato e amato dal Rè,
Francesco 2 e li ò raccontato tutti i miei ragioni».
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