Testo di Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso
Ferdinando II comunicò il 1° maggio 1859, con una nota inviata alle
cancellerie europee, la sua ennesima “perfetta neutralità“, fedele
alla sua massima “amici di tutti, nemici con nessuno”, a questo
proposito c’è però da rilevare la validità dell’altro aforisma:
“tanti amici, nessun amico”; infatti, mentre Cavour teneva i fili di
una diplomazia agguerrita ed attivissima, all’opposto “L’atteggiamento
di Ferdinando lo isolava sempre più: Francia e Inghilterra gli erano
ostili, il Piemonte non gli era certo amico, l’Austria si era
disgustata per la politica velleitaria di lui che si tirava indietro
se c’era da assumere impegni per la paura delle posizioni nette,
quando invece sarebbe stato opportuno prenderle. L’indipendenza, la
neutralità sostenute da Ferdinando finivano infatti col coincidere
con un atteggiamento passivo, rinunciatario, che poteva lasciarlo in
balia dei nemici se fosse stato assalito“.
Le
ragioni di questa politica estera isolazionista erano in gran parte
causate dalle continue intromissioni diplomatiche, e non, di Francia
e Inghilterra nelle questioni interne del regno, che abbiamo già
precedentemente descritto; ma soprattutto dal fatto che Ferdinando
II si sentiva illusoriamente al sicuro perché il suo regno “era
protetto per tre quarti dall’acqua salata e per un quarto dall’acqua
santa” [lo Stato della Chiesa, considerato ingenuamente un
antemurale inviolabile], di lui, Metternich ebbe a scrivere:“ egli
non sopporta intrusioni, è convinto che il suo regno, per posizione
geografica, non ha bisogno dell’Europa”
;
erano rimaste amiche del regno delle Due Sicilie solo la Spagna e la
Russia, l’una militarmente insignificante, l’altra lontanissima
geograficamente.
Questo
isolazionismo politico con la conseguente scialba ed incolore
politica estera del regno delle Due Sicilie e’ stata, dalla
maggioranza degli storici, molto criticata e giudicata come causa
non secondaria della caduta del regno nel momento dell’invasione
piemontese, qualcuno, al contrario, fa osservare che questo
atteggiamento isolazionista di Ferdinando II era l’unica dignitosa
alternativa, per un piccolo stato come le Due Sicilie, rispetto a
una politica servile e di subordinazione alle grandi potenze; i
patti internazionali riconoscevano l’integrità del suo regno che
egli però voleva rendere intangibile con delle forze armate
all’altezza, per questo riorganizzò completamente l’esercito e dotò
il Sud della terza marina da guerra del mondo. La sua opera aveva
reso il suo regno veramente indipendente, forte finanziariamente ed
economicamente, aveva stretto trattati commerciali con molti stati e
la sua flotta mercantile era la quarta del mondo, c’erano quindi
tutti i presupposti per essere padroni a casa propria; alcuni
studiosi pensano che proprio per questi motivi se il Re fosse
vissuto più di soli 49 anni, nulla avrebbero potuto ottenere le
trame di Cavour e dei suoi alleati: le Due Sicilie sarebbero rimaste
indipendenti e avrebbero probabilmente “contrattato” l’adesione ad
un Italia federale, come era già stato accettato nel 1848, evitando
gli enormi danni di una annessione ottenuta con una conquista
militare.
|
La regina Maria Teresa |
Ma la
ruota della storia aveva deciso diversamente perchè il 22 maggio
del 1859, dopo trent’anni di regno, moriva Ferdinando II, “i
miei nemici balleranno, com’ ‘e sùrece quanne ‘a gatt’ è morta”.
Leggendo De Cesare
si capisce, pur calandosi nella realtà delle conoscenze del tempo,
come tardiva sia stata la decisione di incidere una raccolta di pus
in zona femorale in un paziente che n’aveva tutti i sintomi e segni.
Il diabete mellito si conosceva da secoli e Ferdinando ne soffriva
senza dubbio, in più si sapeva benissimo che questo tipo di malattia
predispone alle infezioni della pelle e del sottocutaneo. Un certo
dottor Nicola Longo, a Bari (dove il re si era recato per accogliere
la sposa del primogenito Francesco, Maria Sofia, sorella della
regina d’Austria Sissi), voleva fare un’incisione e disse al
sovrano che la sua sventura era di non essere un paziente qualunque
ma il Re, se non lo fosse stato sarebbe già stato operato e molto
probabilmente guarito. Malgrado Ferdinando gli dicesse "Don
Niccola, mo me trovo sotto, facite chello che vulite" la
camarilla di Corte decise di trasportarlo via mare a Napoli e poi
Caserta, lì giunto si perse altro tempo prezioso e quando ci si
decise a procedere chirurgicamente, la raccolta di pus era diventata
molto grande ma, quel che è peggio, c'era stata una disseminazione
per via sanguigna (setticemia) con conseguente formazione di nuovi
ascessi sulla pelle e negli organi interni.
|