Le Monografie storiche di Giuseppe Ressa

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Le conseguenze dell'annessione

La Resistenza nelle Due Sicilie: i briganti e i ”reazionari”

 

Il cadavere del brigante Antonio Caprariello

Testo di Giuseppe Ressa

Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso

Quelli che hanno chiamato i Piemontesi e che hanno consegnato loro il regno della Due Sicilie sono un’impercettibile minoranza. I sintomi della reazione si trovano dovunque”(Journal des Debats, novembre 1860, in una corrispondenza da Napoli) [1].

La mistificazione storica, sopravvissuta fino ad oggi, ha fatto sì che le popolazioni meridionali (contadini, pastori e braccianti da una parte; intellettuali e notabili dall’altra), contrarie a quanto era stato loro imposto con la forza, siano state spogliate delle loro vere motivazioni alla resistenza e marchiate rispettivamente con gli appellativi di ”briganti”e”reazionari”; si nascosero con tutti i mezzi le vere ragioni, economiche e ideali, di quella che rimane la più lunga insurrezione dei popoli meridionali contro quello che essi consideravano lo straniero invasore.

Per quanto riguarda i cosiddetti ”briganti” essi furono soprattutto espressione della popolazione rurale (contadini, braccianti e pastori) che si sentì defraudata dal nuovo ordine sociale; scriveva Carlo Dotto de Dauli nel 1877 [2]: ”Il brigante è, nella maggior parte dei casi, un povero agricoltore e pastore di tempra meno fiacca e servile degli altri che si ribella alle ingiustizie e ai soprusi dei potenti e, perduta ogni fiducia nella giustizia dello Stato, si getta alla campagna e cimenta la vita, anelando vendicarsi della Società che lo ridusse a quell’estremo“.

Infatti, dopo l’editto di Garibaldi del 2 giugno 1860, le masse rurali si erano illuse che ”la rivoluzione unitaria italiana” portasse con sé la tanto sospirata divisione delle terre, ma si dovettero ricredere perchè, con l’avvento di Vittorio Emanuele, i comitati liberali, composti da ricchi borghesi ferventi ”unitaristi”, si impossessarono delle amministrazioni comunali e delle relative casse, misero mano ai documenti relativi al patrimonio demaniale, sul quale i contadini e i pastori esercitavano gratuitamente gli usi civici, e lo misero all’asta. In questo modo le terre non infeudate passarono velocemente in loro possesso e ai contadini, defraudati dei loro secolari diritti d’uso (gli usi civici), rimasero due possibilità: ”o brigante o emigrante“; secondo la valutazione dello storico marxista Emilio Sereni il totale degli ettari alienati e venduti in Italia ammonta a 2.565.253: «oltre due milioni e mezzo di ettari di terra, situati per la maggior parte nell'Italia meridionale, nel Lazio e nelle isole».[3]

il brigante Gaetano Manzi

Queste motivazioni ”sociali” furono alla base della rivolta meridionale detta”brigantaggio” e si intersecarono con quelle politiche legittimiste, ”l’amalgama dei due aspetti è sempre dialettico e varia a seconda dei tempi e dei luoghi”[4] ma di solito le prime prevalsero di gran lunga tanto che molti storici considerano il ”brigantaggio” come ”il padre” di tutte le lotte che i contadini del Sud condussero per decenni al fine di ottenere migliori condizioni di vita. ”Dopo il 1860, l’intreccio di brigantaggio e legittimismo borbonico spinge la classe politica unitaria ad individuare nelle province annesse il luogo da cui proviene la più grave minaccia interna all’esistenza del Regno d’Italia e ad assegnarsi la missione di inserire nella nuova compagine statale l’ex Regno napoletano anche a costo di cancellarne l’identità storica[5]

Il brigante Giuseppe Tardio

Negli anni ’60 del secolo scorso nel Mezzogiorno c’era la guerra, e una guerra feroce, senza leggi internazionali da rispettare, senza prigionieri, senza trincea e retrovia. Dei due eserciti, quello”vero“, con le divise in ordine e gli ufficiali usciti dalla scuola militare di Torino se ne stava di presidio nei paesi, isolato come se fosse nel cuore dell’Africa, fra gente che aveva lingua e costumi incomprensibili e quasi sempre un figlio o un fratello fra le montagne a tenere testa agli”invasori”. [6] Ogni tanto il presidio veniva a sapere di qualche”reazione agraria”di qualche”ribellione borbonica”e accorreva di zona in zona, sulle poche strade conosciute, a reprimere le rivolte, dai boschi e dalle montagne scendeva allora ad affrontarlo l’esercito silenzioso dei briganti. Nei paesi, infatti, si rinnovavano qua e là gli incendi dei municipi e degli uffici del catasto (“gli eterni nemici nostri” li chiamava il brigante Crocco), nonché i saccheggi delle case dei”galantuomini“, noti come usurpatori delle terre demaniali; si abbattevano gli stemmi sabaudi e le immagini di Vittorio Emanuele e Garibaldi, s’issava il vessillo borbonico e si restauravano nuove effimere amministrazioni che rendevano obbedienza all’esiliato Francesco II, re delle Due Sicilie. I possidenti scappavano verso le zone presidiate dall’esercito piemontese e quando i bersaglieri rioccupavano i paesi ”reazionari” rientravano con essi; tutto finiva con la restaurazione dei simboli dei Savoia, con l’incendio dei quartieri più poveri e con la fucilazione in piazza dei briganti presi prigionieri: uomini dai volti chiusi dalle grandi barbe, da vestiti fatti di pelli”. ”[7] [spesso i loro cadaveri venivano lasciati insepolti per giorni, come ammonimento] ”I briganti, quando non sono minacciati da vicino dalla truppa, dormono normalmente all’ombra di fronzute quercie, sdraiati a terra alla rinfusa; per guanciale hanno un sasso od una zolla, per coperta il cappotto o il mantello; i fucili sono appoggiati alle piante con le cartucciere appese ai calci. Sul fronte, ai lati, a tergo, tutto all’ingiro della posizione, vedette avanzate vegliano attente, mentre le spie segrete stanno dentro le truppe…a rinforzo delle vedette vi sono i cani, feroci mastini che fiutano la preda…i cavalli pascolano liberi nel folto del bosco. I feriti…sono curati con affetto: le ferite sono lavate con acqua e aceto, i farmaci normalmente usati sono: patate, filacce, fascie, bianco d’uovo, olio di olivo sbattuto e foglie d’erba. Per rancio la banda è ripartita in gruppi ognuno dei quali è presieduto da un caporanciere; sul pendio meno ripido della posizione in luogo possibilmente coperto, perchè il fumo non ci tradisca, si accendono i fuochi; poco lontano i cucinieri sono intenti a scannare capretti, scuoiare maiali, spennare polli e tacchini……i viveri requisiti nelle ricche masserie e spesso nei villaggi con arma alla mano. I denari per la paga vengono forniti dai signori reazionari e liberali, i primi con elargizioni spontanee, i secondi forzatamente con minaccia; in caso di rifiuto, di taglio di piante, incendi, devastazioni ed altri simili danni. La plebe, dalla quale noi tutti eravamo usciti, in generale fu di potente ausilio in tutte le nostre imprese. Cotesto aiuto era conseguenza dell’odio innato del popolo nostro contro i regi funzionari e contro i Piemontesi, causa il modo sprezzante col quale gli ufficiali usavano trattare le popolazioni[8].

Il brigante Giuseppe Petrelli

Una delle tante anime del brigantaggio era la componente religiosa: frati e sacerdoti sono presenti in gran numero nelle schiere degli insorgenti, sebbene fossero passati per le armi in caso di cattura; i vescovi, benché spesso scacciati dalle loro sedi come avvenne all’arcivescovo di Napoli, Sisto Riario Sforza, sostengono efficacemente l’insurrezione, promulgando pastorali di tono antiunitario e ribadendo le proteste provenienti dalla Santa Sede; nel 1861 in 57 su 84 diocesi del Sud i vescovi erano impossibilitati ad esercitare le loro funzioni per l’opposizione del nuovo regime. L’invasore piemontese era considerato un nemico della religione ed il popolo ne aveva prova tangibile nelle numerose profanazioni di luoghi sacri effettuate dai soldati piemontesi, inoltre, il loro re, Vittorio Emanuele, era stato scomunicato da papa Pio IX.

Le classi superiori, a loro volta, non potevano ignorare la sistematica guerra del Regno di Sardegna al potere temporale della Chiesa iniziata nel 1848 con la cacciata dei gesuiti, proseguita con le leggi Siccardi del 1850 che sopprimevano alcuni privilegi ecclesiastici (il diritto di asilo che godevano i luoghi sacri, il foro ecclesiastico che giudicava i religiosi accusati di reati comuni, la censura ecclesiastica), inasprita con la legge per la soppressione di alcuni ordini religiosi del 1855 (e culminata, il 7 luglio del 1866, con l’abolizione di tutti gli ordini e la confisca dei loro beni frutto in gran parte delle donazioni dei credenti; con la legge del 19 giugno 1873 questo provvedimento fu esteso anche a Roma), a questo proposito qualcuno ironizza sul significato vero dell’espressione”Libera Chiesa in libero Stato”.

Sottolinea, inoltre, De Jaco [9] che ”i briganti erano religiosissimi, avevano dei cappellani nelle bande e dei santi protettori per le bandiere (in generale i santi del loro paese di origine), …. si ornavano il collo e i polsi di amuleti, di madonne, di corone, ostie consacrate, santini, la sera recitavano in comune il rosario.”. Spesso, prima della morte, invocavano la Madonna, a loro molto cara, come pure fece, sulla sponda opposta, il milite della guardia nazionale Vitantonio Donateo che per questo ebbe salva la vita:”Quando uno dei briganti che era tornato ferito dal combattimento coi carabinieri, disponeva sulla sorte di noi altri…….dovea essere fucilato io, e mi ordinarono di mettermi colla faccia a terra, il che avendo io fatto, con lo squallore della morte, gridai: ”Madonna del Carmine, aiutami!”ed intesi lo scatto del fucile che non diè fuoco. Allora un brigante disse:”Alzati che tu sei salvo e devi essere veramente devoto alla Madonna del Carmine come ne sono io; le devi fare una gran festa[10] [il brigante era l’ex sergente borbonico Domenico Pasquale Romano].

Il Sergente Romano

Non meno importante fu la ”resistenza non armata“, la resistenza civile, bollata come ”reazionaria”, che si presenta con forme molto articolate e coinvolge tutta la società meridionale del tempo come risulta dagli atti dei processi celebrati dalle corti civili a Napoli; ne offrono testimonianza l’opposizione condotta a livello parlamentare, le proteste della Magistratura che deve subire nei sui membri più prestigiosi delle vere e proprie epurazioni e vede cancellate le sue gloriose e secolari tradizioni giuridiche; la resistenza passiva dei dipendenti pubblici, il malcontento della popolazione cittadina, l’astensione dai suffragi elettorali (già il 19 maggio del 1861, in occasione delle elezioni amministrative, votò a Napoli meno di un terzo degli aventi diritto), il rifiuto della coscrizione obbligatoria, la diffusione della stampa clandestina e la polemica condotta dai migliori pubblicisti del regno, fra cui emerge Giacinto de' Sivo.

Le numerose pubblicazioni antiunitarie avevano generalmente vita breve perché erano sottoposte a sequestro e i loro autori a minacce fisiche o al carcere, segno evidente che la ”libertà di stampa“, sancita dallo Statuto Albertino, non valeva per la stampa di opposizione ma solo per quella di regime; i redattori di questi giornali passavano di rivista in rivista, a mano a mano che queste chiudevano per forza maggiore, diventando professionisti di un giornalismo militante, semiclandestino e quasi avventuroso; questa pubblicistica di opposizione fu molto attiva per tutti gli anni sessanta, poi la stampa autonomistica ed antiunitaria perse gran parte del suo furore anche a causa della caduta di Roma del 1870.”La libertà di stampa era in realtà una libertà attentamente vigilata con premi per i buoni ed inevitabili castighi per i cattivi…un giornale ben fatto che fosse, era in quegli anni una impresa disastrosa sotto il profilo economico. Le edicole non esistevano: il giornale veniva venduto per abbonamento o presso il tipografo…mille copie erano già una buona tiratura: nel decennio 1861-1871 la tiratura complessiva di tutti i giornali del Regno si aggirava sulle 400.000 copie…la soluzione per far quadrare i conti era molto semplice: ottenere un appalto per la pubblicazione di notizie ufficiali, da parte del Governo, Ministro o Prefetto che fosse…naturalmente occorreva dare qualcosa in cambio, ciò che significava non criticare mai e per nessun motivo l’autorità ed anzi tesserne il più possibile gli elogi, specie quando si trattava di Sua Maestà il Re. La”Gazzetta piemontese”di Torino, ad esempio, ebbe per molti anni vita tranquilla per aver ottenuto l’appalto della pubblicazione dei dibattiti e delle decisioni del Parlamento, che aveva allora sede in Torino.”[11]

Infine ricordiamo la componente legittimista della reazione, il partito borbonico, che pur non raggiungendo l’obiettivo fondamentale di riportare la dinastia legittima sul trono, riuscì per anni ad aggregare quasi tutte le componenti sociali intorno a un sentimento patriottico e nazionale; molti soldati delle milizie borboniche, rifiutando l’arruolamento nel nuovo esercito italiano e il giuramento al nuovo Re, si ponevano l’obiettivo di restaurare Francesco II; spesso essi si davano alla macchia e si univano agli insorgenti perché respinti dalla”società civile“, già prona ai voleri dei conquistatori piemontesi; con loro si aggregarono addirittura ex garibaldini, delusi dalla piega che avevano preso gli avvenimenti.”Ero sergente di Francesco II, ritornato a casa come sbandato, mi si tolse il bonetto, mi si lacerò l’uniforme, mi si sputò in viso, e poi non mi si dette più un momento di pace, perchè facendomi soffrire sempre ingiurie e maltrattamenti, si cercò pure di disonorarmi una sorella; laonde accecato dalla rabbia e dalla vergogna non vidi altra via di vendetta per me che quella dei boschi…”[12]

Il brigante Carmine Crocco

Inoltre alcuni rappresentanti della nobiltà lealista europea accorsero dal re in esilio nella difesa”per il trono e l’altare",”per la fede e la gloria“, e già durante l’assedio di Gaeta si erano visti francesi, belgi, austriaci, sassoni e anche qualche americano; il loro contributo fu però marginale poiché i”briganti”, contadini e pastori in massima parte, non avevano una”cultura militare”tale da accettare le direttive di questi soldati stranieri che non riuscirono ad inquadrarli in formazioni paramilitari né tanto meno a coordinarne le azioni sotto un comando unico; ben noto è il contrasto tra il brigante Carmine Crocco e lo spagnolo Borges che, anche per questo motivo, abbandonò la partita, cercò di raggiungere Roma ma fu preso dai piemontesi a pochi chilometri dal confine e fucilato a Tagliacozzo l’8 dicembre del 1861.

José Borges

Nei primi mesi del 1861, quando le ultime piazzeforti borboniche, Gaeta, Messina e Civitella del Tronto, si arrendono dopo un’eroica quanto sconosciuta resistenza, l’opposizione lealista ha radici ben salde nel regno; a Napoli, l’ex-capitale travagliata da una grave crisi economica, agisce la propaganda dell’agguerrito comitato borbonico della città che riesce a organizzare una manifestazione pubblica a favore della deposta dinastia; nel mese di aprile 1861 è sventata una cospirazione antiunitaria e sono arrestate oltre seicento persone, fra cui 466 ufficiali e soldati dell’esercito napoletano e il duca di Caianello, trovato in possesso di una lettera di Francesco II; la strategia della resistenza borbonica mira a mostrare la fragilità del potere di Vittorio Emanuele e a tenere desta l’attenzione degli Stati europei nella speranza di sviluppi internazionali sulla questione italiana che possano determinare un intervento armato o almeno diplomatico dell’Austria o delle altre potenze europee.

Francesco II, però, non ebbe la capacità di essere capo militare e politico, di centralizzare e dirigere il movimento di restaurazione in modo coerente e credibile; suo zio, il conte di Trapani, aveva fondato la cosiddetta ”Associazione religiosa” che in realtà era la ”Centrale” del movimento partigiano, e di essa facevano parte alcuni ufficiali fedeli al monarca meridionale (Ulloa, Bosco, Statella, Clary, Vial); essi provvedevano all’acquisto di armi, alla distribuzione di fondi per i ”briganti” e all’elaborazione di piani di riconquista; non ci furono mai problemi di reclutamento di uomini fedeli alla causa, mancava però il denaro perché il patrimonio personale di Francesco II era stato saccheggiato dai garibaldini; per sostenere la loro causa i lealisti arrivarono a coniare”nuove monete meridionali recanti la data del 1859 ed opportunamente annerite”.

Giuseppe Ressa


Note

[1] Angela Pellicciari, op. cit.

[2]“Sulle condizioni morali e materiali delle province del Mezzogiorno d’Italia”, Napoli, Stab. Tipografico Largo Trinità Maggiore riportato da Tommaso Pedio, Brigantaggio meridionale, Capone editore, 1997, pag. 49

[3] citato da Angela Pellicciari,”L’altro Risorgimento”, Piemme, 2000, pag 273

[4] Franco Molfese nella presentazione del libro di Antonio Chiazza”Giuseppe Tardio”, Tempi Moderni edizioni, Napoli, 1986

[5] Francesco Pappalardo, Civiltà del Sud, luglio 2003

[6] De Jaco,”Il brigantaggio meridionale”, Editori Riuniti, Roma, 1969

[7] De Jaco,”Il brigantaggio meridionale”, Editori Riuniti, Roma, 1969, modif.

[8] dalla autobiografia del brigante Carmine Donatelli,”Crocco”, riportata da De Jaco, op. cit., modif.

[9] De Jaco, op. cit., modif.

[10] ibidem

[11] Mario Pacelli, Cattivi esempi, Sellerio, 2001

[12] Orazione del brigante Pasquale Cavalcante davanti al plotone di esecuzione, citata da Tommaso Pedio, op. cit. pag. 49


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