Testo di
Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di
Alfonso Grasso
Mentre gli effetti politici della Restaurazione post napoleonica ebbero piena attuazione in tutti i ricostituiti stati italiani preunitari, col reazionario Piemonte in prima fila, viceversa nelle Due Sicilie re Ferdinando I e i suoi ministri ebbero il merito di lasciare immutate gran parte delle innovazioni dei francesi. Persino Tito Manzi, che era stato un influente esponente del governo del Murat, ebbe ad affermare che, nonostante la presenza nel regno delle truppe austriache fino all’agosto del 1817, Napoli spiccava nel quadro a tinte fosche [della Restaurazione] come la sola capitale italiana dove ci si premurasse con successo di “accrescere la forza del governo“ e di migliorare insieme ad essa “la sorte del popolo…di concentrare saldamente il potere nelle mani sovrane e organizzare amministrazioni efficienti e funzionali, dare forza allo Stato, sottrarne ai vecchi corpi privilegiati, la nobiltà e il clero”
.
Medaglia 1816 in bronzo Ø 50 mm.
coniata a Parigi per le nozze del Duca di Berry con la
Principessa Reale M. Carolina di Borbone, primogenita del Duca
di Calabria (opus: Jean Bertrand Andrieu).
Al dr./ LUDOVICVS.XVIII
FRANC.ET.NAV.REX Busto del re di Francia, con lunga chioma, a
destra; in basso, ANDRIEU F. Al rov./ SPES.ALTERA.REGNI
(L'altra speranza del Regno) Genio alato stante fra una fiaccola
ed un'ara; nelle mani due ghirlande di fiori, entro quella di
sinistra CAROLINA / FERDIN e in quella di destra, CAROLVS /
FERDIN. All' esergo, CAR.FERDINANDA. SICILIARVM.REGIS.NEPTIS /
CAROLO.FERDINANDO.BITVRIGVM.DVCI / LVDOVICI.XVIII.FR. F.NVPTA /
D.XVII.IVN.A.MDCCCXVI. In basso a sinistra, ANDRIEU F. (Ricciardi
110. - D’Auria 130). |
Infatti, rimase intatta l’amministrazione dello Stato, trasformata dai francesi da
feudale (con i mille “poteri” periferici baronali ed ecclesiastici) in
centralizzata. A Napoli vi erano sette ministeri (Interni, Esteri, Grazia e Giustizia, Affari ecclesiastici, Finanze, Guerra e Marina, Polizia). In Sicilia vi erano altrettanti ministri responsabili più un luogotenente generale. In periferia, l’amministrazione era composta da una gerarchia di funzionari, nominati dal Re, che rispondevano al ministro dell’Interno: a capo delle Province vi erano gli intendenti, dei Distretti (frazioni territoriali delle province) i vice intendenti; a fianco dell’intendente c’era un consiglio provinciale responsabile della giustizia amministrativa. I comuni, infine, erano amministrati da un consiglio, chiamato
decurionato, i cui componenti (decurioni, tre per ogni 1000 abitanti o frazione di mille) erano nominati dall’intendente con l’approvazione del Re, sulla base di liste di “eleggibili” (compilate per censo o per capacità personali). Il consiglio proponeva ogni tre anni una terna di candidati tra i quali l’intendente, di concerto con il Re, sceglieva il sindaco. L’amministrazione comunale aveva alle sue dipendenze gli impiegati amministrativi, gli addetti ai pubblici servizi e il medico condotto.
Re Ferdinando I attuò una politica di pacificazione nazionale, la cosiddetta “amalgama”; gli uomini che avevano servito i re francesi vennero in gran parte conservati ai loro posti facendo inorridire i legittimisti più convinti, come Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa, il quale faceva notare che “Trattatasi dello scandalo che miratasi nel confronto di vedere sdraiato in un cocchio adorno e carico di nastri e di ciondoli colui che oltr’essere stato un inimico fiero della Monarchia, era di mille delitti e vessazioni e stragi ricolmo, nel momento che nello stesso
pubblico cammino osservatasi lacero e mendico accattare pane muffito quel vecchio infelice che aveva perduto i figli sotto la scure rivoluzionaria; e non sono figure retoriche”. Si avviò l’avanzata dei funzionari provenienti da ceti non nobiliari, che acquisirono titoli (cavaliere e commendatore) e altre onorificenze del lavoro dal Re (come l’ordine cavalleresco di San Giorgio della Riunione, istituito nel 1818). Le Due Sicilie, in conclusione, erano all’avanguardia in Italia nello sviluppo della nuova istituzione di uno stato moderno fortemente centralizzato e, come vedremo negli avvenimenti del 1820 e 1848, anche nelle successive riforme che portarono per prime a dotarsi di una Costituzione. Per questi motivi il regno del Sud era guardato dai liberali italiani come un punto di riferimento, per stimolare analoghe iniziative negli altri stati italiani.
“La libertà di parola e di stampa rimase piuttosto ampia, anche se intervallata da periodi di aggravata censura; a patto di non toccare le istituzioni della monarchia, si poteva dire tutto e scrivere quasi tutto. Le società segrete furono messe fuori legge … Seppure reazionario, Ferdinando I non fu un fanatico … ritenne di poter promuovere una certa modernizzazione senza concedere la liberalizzazione politica. Il pomo della discordia tra il trono e l’intellighentia nel periodo 1815-1848 furono le questioni della costituzione e del governo rappresentativo che generò una storia di cicli ripetuti di promessa, negoziato, rivoluzione, concessione, abrogazione, repressione e perdono. Il clima culturale in quel periodo era vivace e gli spiriti accesi. Soprattutto tra i giovani delle scuole e delle università si sentiva un gran fermento. Luigi Settembrini, che andò a Napoli per studiare nel 1828, ricorderà i suoi compagni di studio come “buoni, dotati di un cuore generoso pronto ad ogni azione bella e tutti liberali”… i giovani provinciali erano da sempre andati a Napoli per studiare, ma in quegli anni furono più numerosi che mai … in aggiunta all’Università era sorta una moltitudine di scuole pubbliche e private, istituti Reali ed accademie … circa ottocento istituti d’insegnamento privati nel regno, a Foggia, Teramo, Lecce, Altamura, Salerno, Cosenza, Troppa, e in tante altre città oltre che Napoli. Tutte queste istituzioni cercavano di attirare i giovani provinciali di talento con borse di studio, libera ammissione e premi di incoraggiamento … andavano a studiare legge, medicina, arti militari, e filosofia, ma anche economia politica, storia, ingegneria ed architettura ...si gettarono sulla letteratura francese divorando tutti i romanzi…leggevano anche Manzoni e Hegel, le tragedie di Alfieri e quelle di Shakespeare e la Divina Commedia … infine i salons intellettuali la cui importanza nella vita letteraria e teatrale della capitale cresceva con l’inasprirsi della censura. Nel Regno si pubblicava molto e vi circolavano oltre ai giornali, riviste, libri e opuscoli; anche nelle province operarono altri veicoli del discorso culturale: i caffè letterari ed artistici … importante il ruolo di convitti e di collegi che facevano parte del sistema universitario. La vita nelle provincie “era di una meravigliosa monotonia”[Raffaele De Cesare]. Eppure , in quegli anni apparve meno noiosa … le “vendite” della Carboneria si moltiplicarono … e si cospirava molto, le cospirazioni erano spesso seguite da arresti, processi, prigioni, pene esemplari, persino esecuzioni … ma malgrado la severità delle pene, l’esperienza di rivolta, di carcere, di fuga e di esilio generò una certa aura romantica che continuò ad attrarre i giovani. Quella della repressione brutale non fu peraltro l’esperienza di tutti. Nei “tempi normali” c’era spazio per la circolazione di idee e di opinioni”
Nel frattempo, lo scenario politico europeo postnapoleonico era dominato dalle solite superpotenze: l’Inghilterra, la Francia, l’Austria, la Russia e la emergente Prussia, tutte in lotta tra loro per la supremazia . Dopo il Congresso di Vienna, fu sancita, il 26 settembre 1815, la Santa Alleanza tra Russia, Prussia e Austria che si impegnavano a darsi reciproco soccorso per il mantenimento dello status quo; il 15 novembre 1818 le quattro potenze vincitrici: Gran Bretagna, Austria, Russia e Prussia firmarono un Protocollo ad Aquisgrana in cui si ratificava l’impegno reciproco al “mantenimento della tranquillità generale fondata sull’inviolabilità dei diritti e dei patti sottoscritti e non riconoscere da quel momento alcun cambiamento nei titoli dei Prìncipi sovrani che dopo aver preventivamente stabilito a questo riguardo un concerto tra loro”. Due anni più tardi, il 19 novembre 1820, venne firmato il Protocollo di Troppau che sanciva il “principio di intervento” armato per la repressione di svolte rivoluzionarie, l’Inghilterra ufficialmente non firmò ma, nella prima parte del 1800, di fatto lo appoggiò.
Il primo stato europeo a subirne le conseguenze furono proprio le Due Sicilie dove re Ferdinando I, nel luglio del 1820, era stato costretto a concedere la Costituzione: “Venerdì, 7 luglio 1820. Passata la nottata e mattinata in forte agitazione ed angustia. A Mezzogiorno preso un boccone e poi messomi a riposare. Mentre dormivo venuto a svegliarmi Francesco [il principe ereditario]
con un foglio in mano, col quale io promissiono di formalmente giurare la diretta osservanza della costituzione di Spagna del 1812, che era quella desiderata dalla nazione; sulla minaccia che non firmandola subbito, il generale Pepe alla testa di tremila uomini della già organizzata armata costituzionale sarebbe piombato sopra Napoli. Per il bene e la tranquillità della nazione, alzatomi dal letto e firmato il foglio, che subito pubblicatosi”.
Seguì la sfilata a Napoli delle truppe costituzionali guidate dal generale Guglielmo Pepe, che inalberavano la bandiera tricolore rossa, turchina e nera, il 13 luglio Ferdinando giurò fedeltà ala Costituzione, ma è chiaro che lo fece sotto la minaccia della forza perché in cuor suo la aborriva: si sentiva, come tutti i monarchi dell’epoca, re per
diritto divino. In concomitanza della rivoluzione incruenta avvenuta a Napoli sotto la guida di Guglielmo Pepe, ci furono moti indipendentisti nella Sicilia, dove si voleva riottenere la costituzione del 1812. Fu inalberata la bandiera della Trinacria e venne formato un governo provvisorio. La rivolta fu repressa nel sangue dalle truppe napoletane. Ma l’Europa conservatrice non stava a guardare e il re fu convocato a Lubiana, dove giunse l’8 gennaio 1821. Gli fu imposto di revocare lo Statuto (con sua gioia), e l’Austria, per ottenere lo scopo, invase il regno,
batté le truppe guidate dal Pepe e trattenne nelle Due Sicilie i suoi quasi quarantamila soldati per ben sette anni (con enorme aggravio dell’erario meridionale che doveva provvedere al loro sostentamento).
Il Regno delle
Due Sicilie era già all’avanguardia, dal punto di vista dell’istituto della
Costituzione, tanto che quella siciliana era stata promulgata addirittura
nel 1812, tra le primissime in Europa e, comunque, la prima Costituzione
italiana in assoluto; per questo motivo fu guardata da tutti i rivoluzionari della Penisola come un esempio. Non si sottolinea mai abbastanza, che il Sud era considerato, dai liberali del tempo, come il faro che indicava la nuova strada nello sviluppo delle istituzioni dalla monarchia assoluta a quella costituzionale. Questa leadership politica del Sud è generalmente molto poco considerata nei libri di testo ufficiali di storia, fu addirittura ignorata nelle celebrazioni del centenario dell’unità d’Italia del 1961.
Fu così che, sull’onda degli avvenimenti meridionali, anche negli altri stati italiani preunitari ci furono dei moti analoghi, al grido di “Viva Napoli, Viva la Sicilia”, repressi dai propri governanti.
In Francia, uscita sconfitta nelle guerre napoleoniche che causarono il ritorno dei Borbone nella persona di Luigi XVIII al quale succedette Carlo X, nel luglio del 1830 ci fu una nuova rivoluzione e prese il potere il nuovo “Re Cittadino” Luigi Filippo d’Orleans, figlio di colui che aveva votato a favore della decapitazione di Luigi XVI. Il suo ministro Sebastiani dichiarò, nel 1831 “La Santa Alleanza si fondava sul principio dell’ Intervento, distruttore dell’indipendenza degli stati minori, la Francia dovrebbe invece imporre il principio contrario, assicurando così la libertà e l’indipendenza di tutti”: era nato il “principio del non intervento”; i successivi avvenimenti nello scenario europeo dimostrarono che questa era ovviamente un’enunciazione puramente strumentale che aveva solo la funzione politica di opporsi allo strapotere delle potenze vincitrici.
L’Inghilterra, dal canto suo, cominciava ad elaborare una strategia politica diversa da quella delle potenze conservatrici, tendente a favorire la nascita di nazioni nuove, dotate di statuti costituzionali simili ai suoi, le quali potessero fare da cuscinetto alle pretese egemoniche della Francia e dell’Austria; ovviamente era un espediente politico per contrastare lo strapotere franco-austriaco sull’Europa continentale; in realtà l’Inghilterra, dietro il paravento delle costituzioni e del liberalismo badava, come tutte le potenze, esclusivamente alla salvaguardia dei propri interessi, in politica non c’è spazio per i sentimentalismi.
Nel 1846, con la famosa
Corn Law, i latifondisti inglesi avevano, dopo cinquanta anni di resistenze, ceduto al Parlamento che impose la sua visione economica liberista la quale prevedeva l’abolizione dei dazi di importazione dei prodotti esteri e contemporaneamente tendeva a favorire in Europa la caduta delle barriere doganali delle singole nazioni: il commercio inglese ne avrebbe tratto enorme giovamento perché aveva alle spalle la già solida economia (la
rivoluzione industriale era nata per prima in Inghilterra) e la flotta mercantile che era la più potente del mondo.
Liberalismo politico e liberismo commerciale formavano un tutt’uno inscindibile che l’Inghilterra tentò, con la tutta la sua forza, di esportare in Europa.