Testo di Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso
Nelle Due Sicilie si assisteva ad un curioso fenomeno per cui alcune
opere pubbliche erano all’avanguardia come innovazione e furono
realizzate per prime in Italia e tra le prime in Europa; quelle
“ordinarie”, al contrario, non erano tenute in conto sullo stesso
piano.
Ricordiamo:
Il ponte Ferdinandeo sul fiume Garigliano del 1832: è stato il
primo ponte ad impalcato sospeso in ferro d'Italia (tra i primi del
mondo), costruito in 4 anni con
68.857 chilogrammi
di ferro
e collaudato dallo stesso Ferdinando II che ci fece passare sopra
due squadroni di lancieri a cavallo e sedici carri pesanti di
artiglieria; orgoglio delle Due Sicilie, resistette fino al 1943
quando i tedeschi, dopo averci fatto transitare il 60 % della
propria armata in ritirata, compresi carri e panzer, lo distrussero;
fu seguito dalla costruzione di un ponte simile sul fiume Calore,
inaugurato nel 1835.
Il primo telegrafo elettrico d’Italia,
inaugurato in pompa magna
il
31 luglio 1852,
che collegava Napoli, Caserta, Capua e Gaeta; nel 1858 veniva
inaugurato il telegrafo sottomarino tra Reggio e Messina, altre
linee con cavi marini collegarono le Due Sicilie a Malta, nel 1859
fu collegata Otranto con Valona e da lì partiva la linea aerea per
Costantinopoli e Vienna.
La prima
rete di Fari con sistema lenticolare d’Europa (1841)
utilissima per al sicurezza della navigazione.
La
prima
ferrovia e prima stazione d’Italia Napoli Portici (1839): lungo questa
prima linea si sviluppano nuovi agglomerati urbani che costituiscono
la struttura del nascente polo industriale attorno alla Capitale;
l’anno dopo fu inaugurata dagli Asburgo
la Milano-Monza,
nel 1845 la prima ferrovia veneta (Padova-Vicenza) e addirittura
bisognerà aspettare nove anni per vedere la prima piemontese (Torino-Moncalieri)
e la prima toscana (Firenze-Prato). L’ingenerosa critica storica ha
fatto prevalere la tesi della costruzione ferroviaria borbonica per
esclusiva vanità della corte di collegare la capitale alle residenze
reali di Caserta e di Portici, altri ancora sostennero che la
ferrovia fu realizzata per spostare più velocemente le truppe della
guarnigione di Capua, in caso di disordini a Napoli; è certamente
vero che tutte le ferrovie dei diversi stati nacquero anche con
finalità strategiche e militari
ma in realtà gli scopi principali erano ben diversi. Ferdinando II,
nel discorso pronunciato nell’ottobre 1839, all’inaugurazione della
Napoli-Portici, ebbe a dire: “Questo cammino ferrato gioverà senza
dubbio al commercio e considerando che tale nuova strada debba
riuscire di utilità al mio popolo, assai più godo nel mio pensiero
che, terminati i lavori fino a Nocera e Castellammare, io possa
vederli tosto proseguiti per Avellino fino al lido del Mare
Adriatico”
e infatti la ferrovia raggiunse nel 1840 Torre del Greco,
Castellammare di Stabia nel 1842, Nocera nel 1844,
contemporaneamente un altro tronco puntava a nord raggiungendo
Caserta nel 1843 e Capua nel 1844; in questo stesso anno sulla
Napoli-Castellammare transitarono ben 1.117.713 viaggiatori,
in gran parte “pendolari“ che quotidianamente si recavano nella
capitale per lavoro, le tariffe erano basse sia per il trasporto dei
passeggeri (diviso in tre classi) che delle merci.
Dalla cronaca del “Giornale delle Due Sicilie“ dell’epoca si legge:
“Ad un segnale dato dall’alto della Tenda Reale parte dalla
stazione di Napoli il primo convoglio composto di vetture sulle
quali ordinatamente andavano gli invitati, gli ufficiali, i soldati
e i marinai … S.M. con
la Real Famiglia
prese posto nella Real Vettura“…”le popolazioni di Napoli e
delle terre vicine - si leggeva sulla cronaca di altri giornali
- accorrevano in grandissimo numero come ad uno spettacolo nuovo,
tutte le deliziose ville attraversate dalla strada si andavano
riempiendo di gentiluomini e di dame vestite in giorno di festa…con
tanto entusiasmo traesse d’ogni parte sulla nuova strada e giunto
colà facesse allegrezza grande come per faustissimo avvenimento”;
erano
7411 metri che furono percorsi in quindici
minuti (velocità
20 km
\ ora) dal convoglio guidato dalla locomotiva “Vesuvio”,
negli anni successivi si toccarono anche punte di 60-80 chilometri
all’ora. Dobbiamo ricordare il progetto borbonico di una rete
ferroviaria diretta a collegare il Tirreno all’Adriatico con due
arterie principali a doppio binario:
la
Napoli-Brindisi
e
la Napoli-Pescara;
le relative concessioni furono stipulate il 16 aprile del 1855, con
un particolareggiatissimo protocollo che prevedeva tempi e modi di
realizzazione; in questa maniera si sarebbero accorciati
notevolmente i tempi di collegamento (previsti in quattro ore al
posto dei giorni di navigazione necessari via mare); la prima linea
tagliava in due parti quasi esatte il regno, erano previste nuove
arterie stradali comunicanti con le varie stazioni ferroviarie in
modo da favorire il trasporto sia dei passeggeri che soprattutto
delle merci e del bestiame, come pure delle diramazioni per
collegare le nuove linee ferrate a quelle dello Stato della Chiesa e
di conseguenza a quelle degli altri stati italiani preunitari e del
resto d’Europa; erano anche progettate due litoranee: una da Napoli
alla Calabria meridionale con diramazione a Taranto e l’altra da
Brindisi ad Ancona (e da lì comunicante con Bologna e Venezia);
previste 60 locomotive, 750 carrozze e circa 1000 carri per il
trasporto merci. Malgrado questi progetti, al momento dell’unità, le
Due Sicilie avevano solo
128 km di linee in
esercizio ma l’ultimo re, Francesco II, diede un’ accelerazione alla
costruzione delle strade ferrate, come prevedeva un suo decreto del
28 aprile 1860, per un totale di altri
1400 km presumibili
,
non ebbe, però, il tempo di completarle per lo sviluppo successivo
degli avvenimenti storici; nello stesso momento il Piemonte aveva
già approntato
866 km di ferrovie, il
Lombardo Veneto
240 km,
la Toscana
324 km, i ducati
emiliani
180 km; ma, se è vero
che la lunghezza complessiva delle ferrovie meridionali, al momento
dell’unità, era inferiore a quella di altri stati italiani
preunitari, anche per le caratteristiche del territorio
prevalentemente montuoso che in nulla assomigliava alle pianure del
Nord, e che non ne facilitava la costruzione, è comunque accettato
da tutti che come qualità tecnico-costruttiva fossero le migliori.
Per ciò che concerne le strade, esse erano, senza dubbio, del
tutto insufficienti e molto al di sotto, come lunghezza, dal resto
dell’Italia, il sistema viario era funzionale alle esigenze della
Capitale dalla quale partivano 4 assi principali: uno per lo Stato
Pontificio, uno per gli Abruzzi, uno per
la Puglia
e uno per
la Calabria,
la viabilità provinciale era incentrata in molte zone su cammini
naturali o su tratturi
Ma anche in questo campo le Due Sicilie pagavano lo scotto della
conformazione del Paese, prevalentemente montuoso, che rendeva più
rapido ed economico lo sviluppo delle vie marittime; comunque il
governo borbonico si era seriamente impegnato nella costruzione di
nuovi tracciati progettati da ingegneri che erano alle dirette
dipendenze dello Stato, tra di essi ricordiamo Carlo Afan de Rivera
e Ferdinando Rocco. Alcune arterie sono dei veri e propri capolavori
come la Civita Farnese (tra Arce e Itri) che, pur correndo quasi
completamente in territorio montano, in nessun tratto superava la
pendenza del 5% il che permetteva l’agevole trasporto di merci su
carri e
la Pescara-Sulmona-Napoli
dove ancora oggi si possono osservare le pietre miliari che indicano
la distanza dalla antica capitale; la meravigliosa Costiera
Amalfitana, considerata tra i 10 posti più belli del mondo, fu
dotata della strada panoramica nel 1854; l’ossatura di alcune strade
viene ancora oggi sfruttata per il passaggio di veicoli molto
pesanti come i TIR a testimonianza della validità dei loro progetti.
Altre interessanti realizzazioni furono: l’illuminazione a gas di
Napoli, prima in Italia (1840) e terza in Europa (dopo
Londra e Parigi) (Napoli fu anche la prima città d’Italia ad
organizzare nel 1852 un esperimento d’illuminazione elettrica);
la bonifica e conseguente sistemazione idrogeologica delle paludi Sipontine (Manfredonia), di quelle di Brindisi, del bacino
inferiore del Volturno e della Terra di Lavoro (Regi Lagni): in
quest’ultimo territorio furono restituite al lavoro agricolo
53 miglia
quadrate di paludi, realizzati 100 miglia di canali di bonifica, muniti
d’argini e controfossi, lungo i quali furono posti a dimora 150.000
alberi; costruite
70 miglia
di strade, decorate da "ponti in fabbrica" e da altri 120.000 alberi
che attraversavano la campagna in tutti i sensi; fu iniziato il
prosciugamento del lago del Fucino in Abruzzo.
Menzioniamo l’istituzione: dei Monti di Pegno e Frumentari in
tutto il Regno, veri e propri crediti agrari che prestavano
denaro ad interessi bassissimi, del primo Corpo dei vigili del
fuoco italiano, l’Istituzione di Collegi Militari come la
“Nunziatella”, creato da Ferdinando IV nel 1786 come “Real Accademia
Militare” ben prima della più celebrata Modena.
Ricordiamo inoltre la realizzazione del confine terrestre:
col trattato firmato a Roma il 27 Settembre 1840 e ratificato il
15 Aprile 1852
fu stabilita la linea di separazione con l’unico stato confinante,
quello pontificio, Papa Gregorio XVI e re Ferdinando II decisero di
posizionare nel terreno ben 686 cippi che partivano da Gaeta sul
Tirreno e giungevano fino a Porto d’Ascoli sull’Adriatico. Erano
piccole colonne cilindriche in pietra con incisa sulla sommità la
direzione del confine, sul lato dello Stato Pontificio due chiavi
incrociate e l’anno di apposizione (1846 o 1847) e verso il regno
borbonico un giglio stilizzato ed il numero progressivo della
colonnina, crescente verso il nord. Alti un metro, del diametro di
quaranta centimetri e del peso di 700/800 chili furono realizzati da
ambedue i confinanti; sotto ogni cippo era stata sotterrata una
medaglia di lega metallica recante lo stemma dei due Stati. Questa
semplice, ma allo stesso tempo elegante e civile demarcazione fu
abbattuta all’arrivo dei piemontesi, ma alcuni di essi sono stati di
recente restaurati e riposizionati grazie all’opera di un gruppo di
ricercatori coordinati da Argentino D’Arpino.
Giuseppe Ressa
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