Testo di
Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di
Alfonso Grasso
Circa la produttività della terra i dati
[1] indicano che nel 1860 il Sud,
che conta il 36.7 % della popolazione d’Italia, pur
non avendo nulla che si possa paragonare alla
pianura padana produce: il 50.4% di grano, l’80.2%
di orzo e avena, il 53% di patate, il 41.5% di
legumi, il 60% di olio, favorito in questo anche dal
clima che consente spesso due raccolti l’anno; di
enorme importanza le coltivazioni di agrumi
siciliani e di piante idonee al suolo arido:
l'olivo, la vite, il fico, il ciliegio ed il
mandorlo
[2].
Nelle Due Sicilie non si moriva di fame, l’ultima
vera grande carestia fu negli anni 1763-64 e
successivamente, dai dati dei chilogrammi
complessivi prodotti, divisi per numero di abitanti
e per i 365 giorni dell’anno si ricava che un
meridionale, tra grano e granaglie ha una razione
quotidiana di 418 grammi di carboidrati i quali scendono a
270 nella restante parte della penisola che è
costretta a ricorrere all’importazione; la dieta del
meridionale dell’epoca era quella tipica
mediterranea, ricca di verdura, ortaggi, frutta,
pesce, latte e derivati, pane e pasta.[3]
Particolare risalto è da dare all’opera di re Carlo
di Borbone che introdusse una particolare riduzione
delle tasse per i proprietari che avessero coltivato
i loro terreni ad uliveto, fu così che da ogni
albero di ulivo furono tagliati giovani rametti che,
piantati nella buona terra pugliese, presto misero
radici e oggigiorno di 180 milioni di alberi
italiani ben 50 milioni sono localizzati in Puglia
facendone la regione olivicola più importante del
mondo con il 10% della produzione totale; un decreto
emanato il
12 dicembre 1844
da Ferdinando II prescriveva la necessità di un
“certificato di origine“ per l’olio di oliva (una
specie di marchio DOC) che era esportato in tutto il
mondo, Stati Uniti compresi, rappresentava la metà
del valore delle esportazioni meridionali.
L’industria alimentare meridionale, nel 1860,
contava, nel suo complesso, oltre 1000 opifici
[4].Vantava i migliori pastifici
d’Italia, in tutto un centinaio, molti dei quali con
impianti azionati a vapore (a Gragnano, Torre
Annunziata, i comuni della Costiera Amalfitana,
Crotone e Catanzaro) che esportavano in molti paesi
stranieri compresa Russia, America, Svezia e Grecia
e che impiegavano tutta la manodopera locale. Nel
Cinquecento e Seicento i meridionali erano definiti
sprezzantemente “mangiafoglie” per il loro largo
consumo di verdure, dal Settecento i maccheroni
divennero un vero e proprio piatto nazionale e
nell’Ottocento cominciarono ad essere conditi col
pomodoro.
Nel 1856 la produzione della pasta meridionale fu
premiata all’Esposizione Universale di Parigi, anche
se la “cassetta con collezioni di paste”, consegnata
dal rappresentante delle Due Sicilie, era, per
sbaglio, quella sua personale. Vivacissima era anche
l’attività dei caseifici la cui lavorazione
riguardava particolarmente il latte di pecora, ma il
cui fiore all’occhiello era naturalmente la
mozzarella di bufala, presente nelle tavole
meridionali fin dal Quattrocento col nome di
“mozza”.
Numerosissimi gli stabilimenti ittici che
sfruttavano l’abbondante pesce pescato di cui il più
rinomato era il tonno, solo in Sicilia esistevano 80
impianti (famose le tonnare di Favignana); l’animale
veniva intrappolato con reti speciali che lo
convogliavano nella “camera della morte”, uno
specchio d’acqua delimitato dalle imbarcazioni dei
pescatori, lì avveniva il rito della mattanza agli
ordini del “rais” (il capo dei pescatori).
Fiorentissima l’industria alimentare del pomodoro,
famose le fabbriche di liquirizia in Calabria e dei
confetti a Sulmona, gli allevamenti delle ostriche
le cui tecniche furono insegnate ai francesi. Un
accenno alla pizza che, pur presente da secoli sulle
tavole mediterranee, ha celebrato i suoi trionfi
proprio nella Napoli capitale delle Due Sicilie;
presente anche nella mensa dei re Borbone, questi
l’apprezzarono ma non imposero nessun nome di
famiglia
[5].
Citiamo anche le distillerie, le 10 birrerie,
l’esportazione del vino con una Società enologica
che raccoglieva notizie sui siti e sull’estensione
delle vigne, nonché sulle quantità prodotte e sui
metodi di coltivazione, essa pubblicava anche un
periodico specializzato. Infine segnaliamo la
coltivazione e la lavorazione del tabacco dove il
Sud è all'avanguardia con la importante manifattura
di Napoli che occupa agli inizi degli anni '50 più
di 1.700 operaie, poi ridotte per introduzione di
macchinari più moderni, che esporta ed è conosciuta
in tutta Europa. Quando nel 1887-88 il protezionismo
economico chiuderà gli sbocchi esteri, l’agricoltura
del Sud subirà un colpo mortale questa non era,
infatti, un’agricoltura di sussistenza e autoconsumo,
bensì mercantile, destinata all’esportazione, a
quel punto questa enorme massa di operai agricoli
non ha più lavoro e non può far altro che emigrare.
Per quanto riguarda l’allevamento, considerando il
numero dei capi, il Sud è in testa in quello ovino,
equino e dei maiali, poco al di sotto del resto
dell’Italia per quello caprino e molto al di sotto
per quello bovino.[6]
Tra gli Abruzzi e la Puglia continuava, come fin
dall’epoca romana, la transumanza delle
greggi che si svolgeva su sentieri chiamati
tratturi; regolata da un codice molto
particolareggiato, prevedeva il pascolo nel
Tavoliere dal 29 settembre all’otto maggio, in quel
mese si svolgeva la grande fiera zootecnica di
Foggia alla quale era tradizione partecipasse il Re,
vestito alla maniera paesana; per quanto riguarda i
cavalli interessante l’allevamento dei siti reali di
Persano e di Carditello con una razza che era
considerata tra le primissime del mondo.
Giuseppe Ressa
Annuario Statistico Italiano 1864 di
Maestri-Correnti riportato in Svimez, “Cento
anni di vita nazionale attraverso la
statistica delle regioni”, Roma, 1961;
ISTAT, Annuario Statistico Italiano, 1938.
[2]
l’unità di misura di superficie della terra
era il moggio, chiamato anche
tomolo, equivalente di 33 are, cioè
3.300 metri quadri; l’unità di peso per i
prodotti della terra era l’oncia che
equivaleva a 26,75 grammi.
[3]
Nicola Zitara, “L’unità truffaldina”, opera
inedita pubblicata su “Fora”, rivista
telematica (http://www.duesicilie.org)
[4]
A. Mangone, L’industria del regno di Napoli
1859-1860, Fiorentino, 1976, pag. 41
[5]
diversamente dai Savoia ai quali fu dedicato
il piatto nazionale tipico del Sud
battezzando con il nome della regina
Margherita una variante della pizza in cui
erano presenti i “colori nazionali”.
[6]
Annuario Statistico, cit.
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