Testo di
Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di
Alfonso Grasso
Il Meridione possedeva una flotta mercantile pari ai 4/5
del naviglio italiano ed era la quarta del mondo,
ne facevano parte più di 9800 bastimenti per oltre
250mila tonnellate ed un centinaio di queste navi
(incluse le militari) erano a vapore. Erano attivi circa quaranta
cantieri di una certa rilevanza e “tanto prosperò il
commercio in 30 anni, che nel 1856 solo a Napoli vi
erano 25 Compagnie di trasporto, che capitalizzavano
oltre 20 milioni di ducati”. Allo scopo di favorire il
commercio, furono stipulati, dai re meridionali,
numerosi trattati commerciali con tutte le principali
potenze.
Il primo mezzo navale a vapore del Mediterraneo
(una goletta) fu costruito nelle Due Sicilie e fu anche
il primo al mondo a navigare per mare e non su acque
interne: era il Ferdinando I, realizzato nel
cantiere di Stanislao Filosa al Ponte di Vigliena presso
Napoli, fu varato il 24 giugno del 1818; persino
l’Inghilterra dovette aspettare altri quattro anni per
metterne in mare uno, il Monkey, nel 1822.
All’epoca fu tanto grande la meraviglia per quella nave,
una due alberi con fumaiolo centrale sostenuto da
tiranti, che fu riprodotta dai pittori in numerosi
quadri, ora sparsi per il mondo, come ad esempio quello
della Collezione Macpherson o l’altro della Camera di
Commercio di Marsiglia.
“La mattina del 27 scorso salpammo da Napoli, alle
5, malgrado il vento contrario, alle 7 eravamo al faro
di Procida….nella notte essendosi stabilito il vento a S
E ci dirigemmo a Fiumicino dove si giunse a
mezzogiorno.
Colà ci vedemmo venire incontro alcune barche, quasi in
soccorso, perché i marinai di esse ingannati dal fumo
che esalava dalla macchina a vapore, e dall’esser priva
di vele, dubitavano di qualche incendio; più di una
volta ci è avvenuto l’istesso in questo viaggio…..
Malgrado le opposizioni che soglion sempre incontrare
anche le più belle fra le umane scoperte, sembra che si
cominci a riconoscere universalmente l’utilità di quella
dei bastimenti a vapore. E’ innegabile che per mezzo di
essi si ottiene una maggior celerità nel tragitto dei
viaggiatori e nel trasporto delle merci, come pure che
si diminuiscono grandemente le spese, giacchè è provato
dall’esperienza che 10 persone bastano in una nave a
vapore per supplire alle manovre, le quali in una nave
ordinaria di simil grandezza ne richiederebbero almeno
sessanta.”
.
La prima nave italiana che arrivò nel 1854, dopo 26
giorni di navigazione, a New York, era meridionale, il
“Sicilia”; con gli Stati Uniti la bilancia commerciale
delle Due Sicilie era fortemente in attivo e il volume
degli scambi era quasi il quintuplo del Piemonte.
Il cantiere di Castellammare di Stabia, con 1.800
operai, era il primo d’Italia per grandezza. Si
costruivano, inizialmente, imbarcazioni ad uso
mercantile e, successivamente, militare. Fu costruito
nel 1783 su ordine di Ferdinando IV, dopo l’abolizione
del convento dei Padri Carmelitani che sorgeva sul
luogo; la materia prima era ricavata dalle boscose
pendici del Monte Faito ed era conservata in enormi
magazzini; le acque minerali, particolarmente
abbondanti, erano convogliate in grandi vasche e
servivano a tenere a mollo il legname per accelerarne il
processo di stagionatura. Aveva uno scalo stabile per la
costruzione di vascelli e due provvisori adibiti alla
costruzione di corvette. Dal 1843, era attiva una
macchina a dieci argani per tirare in secco navi di
qualunque stazza. Così lo descrive un osservatore del
tempo: “Di buone fabbriche il sussidiò quel principe
e di utensili e macchine necessarie quali a quei tempi
poteansi desiderare. Oggidì è il primo arsenale del
regno, e tale che fa invidia a quelli di parecchie
regioni d’Europa. Sonovi in esso vari magazzini di
deposito, e conserve d’acqua per mettere a mollo il
legname, e sale per i lavori, e ferriere, e macchine ed
argani, secondo che dagli ultimi progressi della scienza
sono addimantati, e mercè dei quali abbiamo noialtri
veduto con poco di forza e di gente tirare a secco un
vascello nel più breve spazio di tempo“
[5] [era il Capri di 1700 tonnellate, il cui
alaggio impegnò agli argani, in turni successivi, 2400
uomini: la grandiosità dell’impresa fu immortalata in un
acquerello].
La prima nave impostata fu la corvetta Stabia,
varata il 13 maggio 1786, seguita, il 16 agosto, dalla
Partenope; sotto Ferdinando II ci fu un
ampliamento e rimodernamento del cantiere e si portò
avanti lo sviluppo su larga scala del vapore. I motori
provenivano non solo dalla Reale Fonderia di Pietrarsa
ma anche da stabilimenti privati come la Zino; la prima
nave a possedere una macchina da 300 cavalli costruita a
Pietrarsa fu la fregata a vapore Ettore Fieramosca
nel 1850. Seguirono altre unità e alla fine, con
Francesco II, il 18 gennaio 1860 fu varata la Borbone,
di 3680 tonnellate, che chiuse l’era dei pesanti
vascelli di legno a poppa tonda, potenti ma non molto
veloci; dal 1840 al 1860 furono costruite, nel cantiere
di Castellammare, navi per un totale di oltre 43mila
tonnellate di stazza; già dal 1850 era pronto il
vascello Monarca da 70 cannoni, la più grande
nave da guerra costruita in Italia, trasformata, dieci
anni dopo, dotandola di propulsione ad elica.
Il cantiere navale di Napoli era l'unico in
Italia ad avere un bacino di carenaggio in muratura
lungo 75 metri, in dotazione all’Arsenale della Marina,
questa struttura permanente era molto più comoda delle
precedenti in legno che venivano montate e poi
rismontate dopo il varo delle navi; il cantiere
possedeva numerose macchine utensili tutte meccanizzate:
piallatrici, foratrici, piegatrici, presse idrauliche,
fuochi di fucina
[6]. Entrò in funzione il 15 agosto del 1852.
“Va segnalato che la costruzione del bacino
napoletano, fu accompagnata da scetticismo e dibattiti
infuocati in seno ai consiglieri del sovrano. Infatti
taluni opinavano che le grandissime difficoltà tecniche,
implicite in una simile realizzazione, fossero troppe e
che vi fosse il concreto rischio di investire risorse
economiche in una impresa tanto pionieristica quanto
altamente rischiosa. E quando, il 2 settembre del 1850,
una tremenda burrasca distrusse tutto il lavoro sin
allora eseguito, le “Cassandre” si fecero subito avanti
per rivendicare crediti. Fu solo l’abnegazione del
maggiore del Genio Navale Domenico Cervati, progettista
dell’opera, e l’orgoglio di Ferdinando II che permisero
di riprendere i lavori, di salvare l’investimento
compiuto e di completare l’opera mettendo in atto una
operazione di recupero ancora più ardita e innovativa
rispetto allo stesso progetto iniziale. In questo modo
essi consentirono di ascrivere al Regno delle Due
Sicilie, il primato di possedere il primo bacino di
raddobbo prodotto nell’ambito della penisola italiana”
[7]. Era costato oltre 300mila ducati e
impiegato 1600 operai, rendeva il regno del Sud
completamente indipendente dalle superpotenze marinare
(Inghilterra e Francia) nella manutenzione del suo
imponente naviglio commerciale e militare.
Sono patrimonio delle Due Sicilie anche: la prima
compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo
(1836) che svolgeva un servizio regolare e periodico
compreso il trasporto della corrispondenza, la prima
flotta italiana giunta in America e nel Pacifico e la
stesura del primo codice marittimo italiano del
1781 (ad opera di Michele De Jorio da Procida, che fu
plagiato da Domenico Azuni il quale se ne assunse la
paternità), ultimo prodotto di una tradizione che
risaliva ai tempi delle Tavole della Repubblica marinara
di Amalfi e delle legislazioni meridionali successive.
Si riaprirono porti come quello di Brindisi (1775) che
erano chiusi da secoli, se ne ammodernarono altri come
quello di Bari; le principali scuole nautiche erano a
Catania, Cefalù, Messina, Palermo, Riposto (CT),
Trapani, Bari, Castellammare, Gaeta, Napoli, Procida,
Reggio
[8]; navi come il “Real Ferdinando” potevano
trasportare duecento passeggeri da Palermo a Messina e
Napoli, veniva anche stipulata la prima convenzione
postale marittima d’Italia.
Nel 1831 entrò in servizio la Francesco I che
copriva la linea Palermo, Civitavecchia, Livorno,
Genova, Marsiglia; con essa fu anche effettuata la
prima crociera turistica del mondo, nel
1833, in anticipo di più
di 50 anni su quelle che la seguirono, che durò tre mesi
con partenza da Napoli, arrivo a Costantinopoli (con lo
sbigottito sultano che la ammirava col binocolo da una
terrazza) e ritorno tramite diversi scali intermedi; fu
così splendida per comodità e lusso che fece dire “Non
si fa meglio oggi“ e “Il Francesco I è il più
grande e il più bello di quanti piroscafi siansi veduti
fin d’ora nel Mediterraneo, gli altri sono inferiori, i
pacchetti francesi “Enrico IV” e “ Sully” hanno le
macchine di forza di 80 cavalli (mentre la macchina del
Francesco I è di 120) … i due pacchetti genovesi si
valutano poco, il “Maria Luisa” (del Regno di Sardegna)
è piccolo, la sua macchina non oltrepassa la forza di 25
cavalli, e quantunque una volta siasi fatto vedere nei
porti del Mediterraneo, adesso è destinato per la sola
navigazione del Po.”[9].
Sempre
la Francesco I, il
18 giugno 1834, trasportò re
Ferdinando II e la sua prima moglie Maria Cristina di
Savoia da Napoli in Sicilia; il viaggio nel Tirreno fu
rapido “con una velocità in quel momento considerata
meravigliosa, arrivò a Palermo il giorno seguente”
[10] cogliendo i suoi abitanti di sorpresa,
mentre erano ancora intenti nell’allestimento dei
preparativi per i festeggiamenti.
Regolari servizi passeggeri erano operativi e
collegavano i principali porti delle Due Sicilie. Isole come
Ponza, Ustica, Lampedusa, Linosa furono ripopolate,
affrancando la popolazione residente dallo stato di
schiavitù in cui erano state ridotte dai pirati
barbareschi. “Il primo che scrisse un serio lavoro a
Napoli sul taglio dell’istmo di Suez, considerato in
rapporto ai vantaggi possibili per il commercio
napoletano, fu Guglielmo Ludolf…riteneva incalcolabili i
frutti, che l’Italia meridionale avrebbe tratto….
notando che il regno delle Due Sicilie era uno Stato
essenzialmente produttore e non consumatore”
[11].
Giuseppe Ressa
[1]
Con il contributo delle ricerche archivistiche
di Claudio Romano
[2]
Lamberto Radogna, “ Storia della Marina
Mercantile delle Due Sicilie”, Mursia, 1982, pag.111
[3]
Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Del
Grifo, 2004, pag.29
[4]
dal Giornale delle Due Sicilie del 16 ottobre
1818, in Radogna op.cit. pag.51
[5]
Achille Gigante, “ Viaggi artistici per le Due
Sicilie “, Napoli, 1845
[6]
A. Mangone, L’industria del Regno di Napoli
1859-1860, Fiorentino, 1976, pag. 51
[7]Antonio
Formicola-Claudio Romano, Pittori di Marina alla
Corte dei Borbone di Napoli, allegato alla
Rivista Marittima della Marina Militare
italiana, marzo 2004
[8]
L'istruzione nautica in Italia, pagg. 10/15,
anno 1931, a cura del Ministero dell'Educazione
Nazionale
[9]
Michele Vocino, Primati del Regno di Napoli,
Mele editore, Napoli
[10]
Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli,
Giunti, 1997, pag.101
[11]
Raffaele de Cesare, op. cit., volume I, pag 266
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