Le Monografie storiche di Giuseppe Ressa

Il Regno delle Due Sicilie prima dell’Unità

Cantieristica navale [1]

 Medaglia del 1852 per l’inaugurazione del bacino di raddobbo a Napoli. Fronte: Francesco Pinto pricipe di Ischitella (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Testo di Giuseppe Ressa

Editing e immagini a cura di Alfonso Grasso

Il Meridione possedeva una flotta mercantile pari ai 4/5 del naviglio italiano ed era la quarta del mondo, ne facevano parte più di 9800 bastimenti per oltre 250mila tonnellate ed un centinaio di queste navi (incluse le militari) erano a vapore [2]. Erano attivi circa quaranta cantieri di una certa rilevanza e “tanto prosperò il commercio in 30 anni, che nel 1856 solo a Napoli vi erano 25 Compagnie di trasporto, che capitalizzavano oltre 20 milioni di ducati” [3]. Allo scopo di favorire il commercio, furono stipulati, dai re meridionali, numerosi trattati commerciali con tutte le principali potenze.

Il primo mezzo navale a vapore del Mediterraneo (una goletta) fu costruito nelle Due Sicilie e fu anche il primo al mondo a navigare per mare e non su acque interne: era il Ferdinando I, realizzato nel cantiere di Stanislao Filosa al Ponte di Vigliena presso Napoli, fu varato il 24 giugno del 1818; persino l’Inghilterra dovette aspettare altri quattro anni per metterne in mare uno, il Monkey, nel 1822. All’epoca fu tanto grande la meraviglia per quella nave, una due alberi con fumaiolo centrale sostenuto da tiranti, che fu riprodotta dai pittori in numerosi quadri, ora sparsi per il mondo, come ad esempio quello della Collezione Macpherson o l’altro della Camera di Commercio di Marsiglia.

La mattina del 27 scorso salpammo da Napoli, alle 5, malgrado il vento contrario, alle 7 eravamo al faro di Procida….nella notte essendosi stabilito il vento a S E ci dirigemmo a Fiumicino dove si giunse a mezzogiorno. Colà ci vedemmo venire incontro alcune barche, quasi in soccorso, perché i marinai di esse ingannati dal fumo che esalava dalla macchina a vapore, e dall’esser priva di vele, dubitavano di qualche incendio; più di una volta ci è avvenuto l’istesso in questo viaggio….. Malgrado le  opposizioni che soglion sempre incontrare anche le più belle fra le umane scoperte, sembra che si cominci a riconoscere universalmente l’utilità di quella dei bastimenti a vapore. E’ innegabile che per mezzo di essi si ottiene una maggior celerità nel tragitto dei viaggiatori e nel trasporto delle merci, come pure che si diminuiscono grandemente le spese, giacchè è provato dall’esperienza che 10 persone bastano in una nave a vapore per supplire alle manovre, le quali in una nave ordinaria di simil grandezza ne richiederebbero almeno sessanta. [4].

La prima nave italiana che arrivò nel 1854, dopo 26 giorni di navigazione, a New York, era meridionale, il “Sicilia”; con gli Stati Uniti la bilancia commerciale delle Due Sicilie era fortemente in attivo e il volume degli scambi era quasi il quintuplo del Piemonte.

Il cantiere di Castellammare di Stabia, con 1.800 operai, era il primo d’Italia per grandezza. Si costruivano, inizialmente, imbarcazioni ad uso mercantile e, successivamente, militare. Fu costruito nel 1783 su ordine di Ferdinando IV, dopo l’abolizione del convento dei Padri Carmelitani che sorgeva sul luogo; la materia prima era ricavata dalle boscose pendici del Monte Faito ed era conservata in enormi magazzini; le acque minerali, particolarmente abbondanti,  erano convogliate in grandi vasche e servivano a tenere a mollo il legname per accelerarne il processo di stagionatura. Aveva uno scalo stabile per la costruzione di vascelli e due provvisori adibiti alla costruzione di corvette. Dal  1843, era attiva una macchina a dieci argani per tirare in secco navi di qualunque stazza. Così lo descrive un osservatore del tempo: “Di buone fabbriche il sussidiò quel principe e di utensili e  macchine necessarie quali a quei tempi poteansi desiderare. Oggidì è il primo arsenale del regno, e tale che fa invidia a quelli di parecchie regioni d’Europa. Sonovi in esso vari magazzini di deposito, e conserve d’acqua per mettere a mollo il legname, e sale per i lavori, e ferriere, e macchine ed argani, secondo che dagli ultimi progressi della scienza sono addimantati, e mercè dei quali abbiamo noialtri veduto con poco di forza e di gente tirare a secco un vascello nel più breve spazio di tempo [5] [era il Capri di 1700 tonnellate, il cui alaggio impegnò agli argani, in turni successivi, 2400 uomini: la grandiosità dell’impresa fu immortalata in un acquerello].

La prima nave impostata fu la corvetta Stabia, varata il 13 maggio 1786, seguita, il 16 agosto, dalla Partenope; sotto Ferdinando II  ci fu un ampliamento e rimodernamento del cantiere e si portò avanti lo sviluppo su larga scala del vapore. I motori provenivano non solo dalla Reale Fonderia di Pietrarsa ma anche da stabilimenti privati come la Zino; la prima nave a possedere una macchina da 300 cavalli costruita a Pietrarsa fu la fregata a vapore Ettore Fieramosca nel 1850. Seguirono altre unità e alla fine, con Francesco II, il 18 gennaio 1860 fu varata la Borbone, di 3680 tonnellate, che chiuse l’era dei pesanti vascelli di legno a poppa tonda, potenti ma non molto veloci; dal 1840 al 1860 furono costruite, nel cantiere di Castellammare, navi per un totale di oltre 43mila tonnellate di stazza; già dal 1850 era pronto il vascello Monarca da 70 cannoni, la più grande nave da guerra costruita in Italia, trasformata, dieci anni dopo, dotandola di  propulsione ad elica.

Il cantiere navale di Napoli era l'unico in Italia ad avere un bacino di carenaggio in muratura lungo 75 metri, in dotazione all’Arsenale della Marina, questa struttura permanente era molto più comoda delle precedenti in legno che venivano montate e poi rismontate dopo il varo delle navi; il cantiere possedeva numerose macchine utensili tutte meccanizzate: piallatrici, foratrici, piegatrici, presse idrauliche, fuochi di fucina [6]. Entrò in funzione il 15 agosto del 1852.

Va segnalato che la costruzione del bacino napoletano, fu accompagnata da scetticismo e dibattiti infuocati in seno ai consiglieri del sovrano. Infatti taluni opinavano che le grandissime difficoltà tecniche, implicite in una simile realizzazione, fossero troppe e che vi fosse il concreto rischio di investire risorse economiche in una impresa tanto pionieristica quanto altamente rischiosa. E quando, il 2 settembre del 1850, una tremenda burrasca distrusse tutto il lavoro sin allora eseguito, le “Cassandre” si fecero subito avanti per rivendicare crediti. Fu solo l’abnegazione del maggiore del Genio Navale Domenico Cervati, progettista dell’opera, e l’orgoglio di Ferdinando II che permisero di riprendere i lavori, di salvare l’investimento compiuto e di completare l’opera mettendo in atto una operazione di recupero ancora più ardita e innovativa rispetto allo stesso progetto iniziale. In questo modo essi consentirono di ascrivere al Regno delle Due Sicilie, il primato di possedere il primo bacino di raddobbo prodotto nell’ambito della penisola italiana [7]. Era costato oltre 300mila ducati e impiegato 1600 operai, rendeva il regno del Sud completamente indipendente dalle superpotenze marinare (Inghilterra e Francia) nella manutenzione del suo imponente naviglio commerciale e militare.

Sono patrimonio delle Due Sicilie anche: la prima compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo (1836) che svolgeva un servizio regolare e periodico compreso il trasporto della corrispondenza, la prima flotta italiana giunta in America e nel Pacifico e la stesura del primo codice marittimo italiano del 1781 (ad opera di Michele De Jorio da Procida, che fu plagiato da Domenico Azuni il quale se ne assunse la paternità), ultimo prodotto di una tradizione che risaliva ai tempi delle Tavole della Repubblica marinara di Amalfi e delle legislazioni meridionali successive.

Si riaprirono porti come quello di Brindisi (1775) che erano chiusi da secoli, se ne ammodernarono altri come quello di Bari; le principali scuole nautiche erano a Catania, Cefalù, Messina, Palermo, Riposto (CT), Trapani, Bari, Castellammare, Gaeta, Napoli, Procida, Reggio [8]; navi come il “Real Ferdinando” potevano trasportare duecento passeggeri da Palermo a Messina e Napoli, veniva anche stipulata la prima convenzione postale marittima d’Italia.

Nel 1831 entrò in servizio la Francesco I che copriva la linea Palermo, Civitavecchia, Livorno, Genova, Marsiglia; con essa fu anche effettuata la prima crociera turistica del mondo, nel 1833, in anticipo di più di 50 anni su quelle che la seguirono, che durò tre mesi con partenza da Napoli, arrivo a Costantinopoli (con lo sbigottito sultano che la ammirava col binocolo da una terrazza) e ritorno tramite diversi scali intermedi; fu così splendida per comodità e lusso che fece dire “Non si fa meglio oggi“ e “Il Francesco I è il più grande e il più bello di quanti piroscafi siansi veduti fin d’ora nel Mediterraneo, gli altri sono inferiori, i pacchetti francesi “Enrico IV” e “ Sully” hanno le macchine di forza di 80 cavalli (mentre la macchina del Francesco I è di 120) … i due pacchetti genovesi si valutano poco, il “Maria Luisa” (del Regno di Sardegna) è piccolo, la sua macchina non oltrepassa la forza di 25 cavalli, e quantunque una volta siasi fatto vedere nei porti del Mediterraneo, adesso è destinato per la sola navigazione del Po.”[9]. Sempre la Francesco I, il 18 giugno 1834, trasportò re Ferdinando II e la sua prima moglie Maria Cristina di Savoia da Napoli in Sicilia; il viaggio nel Tirreno fu rapido “con una velocità in quel momento considerata meravigliosa, arrivò a Palermo il giorno seguente [10] cogliendo i suoi abitanti di sorpresa, mentre erano ancora intenti nell’allestimento dei preparativi per i festeggiamenti.

Regolari servizi passeggeri erano operativi e collegavano i principali porti delle Due Sicilie. Isole come Ponza, Ustica, Lampedusa, Linosa furono ripopolate, affrancando la popolazione residente dallo stato di schiavitù in cui erano state ridotte dai pirati barbareschi. “Il primo che scrisse un serio lavoro a Napoli sul taglio dell’istmo di Suez, considerato in rapporto ai vantaggi possibili per il commercio napoletano, fu Guglielmo Ludolf…riteneva incalcolabili i frutti, che l’Italia meridionale avrebbe tratto…. notando che il regno delle Due Sicilie era uno Stato essenzialmente produttore e non consumatore [11].

Giuseppe Ressa


[1] Con il contributo delle ricerche archivistiche di Claudio Romano

[2] Lamberto Radogna, “ Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie”, Mursia, 1982, pag.111

[3] Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie, Del Grifo, 2004, pag.29

[4] dal Giornale delle Due Sicilie del 16 ottobre 1818, in Radogna op.cit. pag.51

[5] Achille Gigante, “ Viaggi artistici per le Due Sicilie “, Napoli, 1845

[6] A. Mangone, L’industria del Regno di Napoli 1859-1860, Fiorentino, 1976, pag. 51

[7]Antonio Formicola-Claudio Romano, Pittori di Marina alla Corte dei Borbone di Napoli, allegato alla Rivista Marittima della Marina Militare italiana, marzo 2004

[8] L'istruzione nautica in Italia, pagg. 10/15, anno 1931, a cura del Ministero dell'Educazione Nazionale

[9] Michele Vocino, Primati del Regno di Napoli, Mele editore, Napoli

[10] Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, Giunti, 1997, pag.101

[11] Raffaele de Cesare, op. cit., volume I, pag 266


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