Testo di
Giuseppe Ressa
Editing e immagini a cura di
Alfonso Grasso
Nel Sud esistevano circa 100 industrie
metalmeccaniche di cui 15 avevano più di 100 addetti e 6
più di 500
; a Pietrarsa, era attiva
la più grande industria metalmeccanica d’Italia
estesa su una superficie di 34mila metri quadri, l’unica
in grado di costruire motrici navali
e le Due Sicilie erano l’unico Stato della penisola a
non doversi avvalere di macchinisti inglesi per la loro
conduzione poiché, dalla sua fondazione, fu istituita la
“Scuola degli Alunni Macchinisti”.
Erano costruiti, oltre agli oggetti dell’industria
metalmeccanica (torni, fucine, cesoie, gru,
apparecchiature telegrafiche, pompe, laminati e
trafilati, caldaie, cuscinetti, spinatrici, foratrici,
affusti di cannone, granate, bombe) anche locomotive e
vagoni, inoltre solo Pietrarsa, in Italia, possedeva la
tecnologia avanzata per realizzare i binari ferroviari.
Questa officina meccanica, nata nel 1840, tra Portici e
S. Giovanni a Peduccio, precedeva di 44 anni la
costruzione della Breda e di 57 quella della Fiat ed era
molto rinomata in tutta Europa. I Savoia, ben quindici
anni più tardi, a metà dell’800, chiesero e ottennero di
poterla riprodurre in scala, senza pagare i diritti, nel
primo stabilimento metalmeccanico del regno di Sardegna,
la futura Ansaldo di Genova; anche lo Zar Nicola I, dopo
averla visitata, la prese come esempio per la
costruzione del complesso di Kronstadt.
Alla vigilia dell'unità, al Nord solo l'Ansaldo di
Genova è a livello di grande industria, tuttavia essa
aveva 480 operai contro i 1.050 di Pietrarsa di cui 820
“artefici paesani” (disegnatori, modellatori,
cesellatori, tornitori, limatori, montatori) e 230
“operai militari” che alloggiavano in una caserma
all’interno dello stabilimento.
Inoltre, accanto a Pietrarsa sorgevano la Zino ed Henry
(poi Macry ed Henry) e la Guppy entrambe con 600
addetti; la prima specializzata nel produrre materiale
destinato ai cantieri navali, macchine cardatrici per
l’industria tessile, materiale rotabile per le ferrovie;
la seconda, oltre a essere uno dei maggiori fornitori di
prodotti per uso delle navi (guarnizioni, chiodi, viti,
vernice) e la seconda fabbrica italiana di questo
specifico settore, fornì il supporto delle 350 lampade
per la prima illuminazione a gas di Napoli (che fu la
terza città europea ad averla, dopo Londra e Parigi).
Giovanni Pattison, entrato in società con Guppy,
progettò una locomotiva tecnologicamente
all’avanguardia, in grado di superare anche pendenze del
2.5%, come nel tratto collinare Nocera-Cava
e questo dimostrò “il potenziale
raggiunto dall’industria metalmeccanica del
Mezzogiorno, che a passi da gigante
aveva compiuto un ciclo iniziato solo pochi anni
prima…….attrezzi agricoli erano prodotti nel casertano
dall’industria del marchese Ridolfi, che oltre a
fabbricare vomeri, zappe, vanghe, erpici….fu l’ideatore
di un nuovo e più razionale aratro detto “coltro
toscano” che venne anche esportato, perché riconosciuto
perfetto e più agevole”
La statua di Ferdinando II a Pietrarsa
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Nel 1861, al momento dell’unità, vi erano tre fabbriche
in Italia in grado di produrre locomotive: Pietrarsa,
Guppy ed Ansaldo, due erano al Sud e la loro efficienza
e concorrenzialità è comprovata dal fatto che prima
dell’unità
esportassero in Toscana, affrontando maggiori costi di
trasporto rispetto alla più vicina Ansaldo di Genova. La
prima locomotiva italiana fu finita di costruire a
Pietrarsa il
19 giugno
1836; nel 1846
furono vendute al Regno di Sardegna, allora privo di
fabbriche industriali, alcune locomotive che furono
consegnate dal 1847 e regolarmente pagate, i loro nomi
erano: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio,
Maria Teresa, Etna e Partenope ;
alla riunione degli scienziati italiani, tenuta a
Genova nel settembre 1846, si magnificava il fatto che
“artefici italiani costrutte già 30 macchine locomotive,
e macchinisti italiani che le governano”.
Nel cuore dell’aspra montagna calabra, attorno a Serra
San Bruno, sorgeva, in un’area di 12.000 metri quadrati,
il Complesso siderurgico di Mongiana, il cui primo
nucleo era stato creato nel 1768 e che, in tempi
successivi, andò a comprendere, oltre alla fonderia, le
ferriere di San Bruno, San Carlo, San Ferdinando e Real
Principe, era il primo produttore in Italia di
materia prima e semi-lavorati per l'industria
metalmeccanica, lavorando a pieno regime 13.000
cantaja di ghisa annue (1.167 tonnellate) senza alcun
segnale di crisi; la materia prima era fornita dai
giacimenti calabresi di Pazzano, ricchi di ferro e
grafite. Oggi Mongiana è un piccolo borgo con pochi
abitanti e Ferdinandea è spopolata, ma nel trentennio
che precedette la fine del regno il fermento era
vivissimo; il numero massimo di operai raggiunse le 1500
unità
(che salivano a 2000, compreso l’indotto) e si produceva
ghisa e ferro malleabile d’ottima qualità,compreso quello che servì per la
realizzazione delle catene, di circa 150 tonnellate, dei
due magnifici ponti sul Garigliano e sul Calore,
costruiti rispettivamente nel 1832 e nel 1835. La
regione Calabria annoverava, insieme ad altri
stabilimenti siderurgici minori: industrie tessili con
11 mila telai complessivi (solo quella della seta
impiegava tremila persone), estrattive (sale a Lungro
con più di mille operai, liquirizia, tannino dal
castagno), industria manifatturiera (cappelli,
pelletteria, mobili, saponi, oggettistica in metallo,
fino ai fiori artificiali), distillerie di vino e
frutta; tutto questo ne faceva la seconda regione più
industrializzata del Sud dopo la Campania
.
Trecento operai (fonditori, staffatori, fuochisti,
forgiatori) lavoravano nella Real Fonderia di
Castelnuovo producendo cannoni, fornaci ed altri
utensili di tipo industriale; un altro impianto
metallurgico notevole era la Real fabbrica d’Armi di
Torre Annunziata, attiva già dal 1759, che produceva
fucili e armi varie comprese alcune di lusso considerate
tra le migliori d’Europa.
Citiamo anche lo stabilimento Oomens (macchine agricole
e tessili), la fonderia di S.Giorgio a Cremano,
l’opificio di Atina, quello della Società ferroviaria
Bayard, 8 ramerie e 4 ferriere nel salernitano ma altre
fabbriche erano attive in tutti il Sud ma è “impossibile
elencare tutti i piccoli e medi opifici metalmeccanici
sorti grazie all’intraprendenza degli artigiani locali o
di imprenditori del settore tessile interessati ad
acquistare le macchine necessarie”
Giuseppe Ressa
Note
Gennaro De Crescenzo, op..cit. pag 112
[2] “perchè il braccio straniero \ a
fabbricare le macchine mosse dal vapore \ il
Regno delle Due Sicilie più non abbisognasse”,
così era scritto nell’epigrafe della lapide a
ricordo della fondazione.
[3] N.Ostuni, Iniziativa privata e
ferrovie nel Regno delle Due Sicilie, Giannini,
Napoli, 1980, pag.72
[4] D. Capecelatro Gaudioso, Una
capitale un re un popolo, , Gallina, Napoli,
1980, pag.88
[5] Cfr. Il centenario delle ferrovie
italiane 1839-1939 (Pubblicazione celebrativa
delle FF.SS.), Roma 1940, pp.106,137 e 139
[6] D.Mack Smith, Il Risorgimento
italiano, Laterza, 1999, pag. 122
[7] da “Sole 24 ore” del 12\03\2004
Eduardo Spagnolo in “Due Sicilie”
settembre-ottobre 2001
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