Un uomo senza pace
di
Maurizio Maggiani
Non è morto in pace. Pare che nessuno pensi che avrebbe dovuto farlo; forse non era neppure nei suoi desideri: ha cercato, chiesto, implorato la pace ogni giorno della sua vita ma non credo che ne abbia passato uno solo dei suoi giorni in pace, in quella speciale e comunissima forma di quiete che si godono gli uomini che possono assentarsi dal loro destino.
È morto negli inverosimili colori di centinaia di milioni di televisori nelle case e morirà ancora tre dita sopra la pubblicità in decine di migliaia di prime pagine di giornale abbandonate sui tavolini dei bar.
Il rumore di questa sua morte saliva da giorni fino alla sua camera, un frastuono insopportabile all'udito di qualunque malato, ma io credo che lo avrà sopportato come ha sopportato ogni cosa che il mondo ha scaraventato sul suo corpo, pallottole comprese. Come le pallottole penso che abbia saputo sopportare il cumulo di lasciva ipocrisia che ha avuto tempo di accumularsi in questi giorni in montagne ben visibili fin dal suo letto.
No, non è morto in pace, non era nell'ordine delle cose; lui lo sapeva e non l'ha preteso. Molto raramente la vita di un grande uomo conosce la pace, ma mai la sua morte. Come se richiamasse alla luce ancestrali riti di cannibalismo, la morte di un grande uomo diventa un banchetto a cui aspirano di nutrirsi tutte le mediocrità, le piccolezze, le vacuità.
Al capezzale di un uomo grande fa la coda una scandalosa folla che chiede spazio per accostarsi alle spoglie e staccarne un lembo e di quello farsi grande e potente. E se quell'uomo oltre ad essere stato molto grande è stato anche molto amato, allora le folle sono due. Soffocata dalla vanità della prima, cerca con disperata umiltà di farsi spazio con la sua preghiera la folla degli uomini buoni, delle anime dolci, degli innocenti di amore casto; quelli che i media vanno cercando in piazza San Pietro e nei mercati rionali per farli piangere in diretta, e dimostrare così a sé stessi e a quelli della pubblicità che il loro lubrico interesse è al sevizio della bontà.
Quest'uomo che muore senza che gli venga concesso anche un solo istante di requie, è stato senz'altro molto grande e molto amato. E anche molto, odiato, visto che non ha mai concesso lui stesso tregua a chi era agli occhi della sua fede e della sua ragione oppressore di fede e ragione, nemico degli uomini e nemico del disegno divino, il perfetto disegno di pacificazione tra gli uomini e tra gli uomini e l'universo creato. In questa sua grandezza è stato a lungo solo, e questa è stata per lui e per il mondo una condanna. Se ha potuto godere del privilegio di nascere ed iniziare ad agire in un'epoca di grandi tragedie ma anche di grandi uomini con cui contendere e dialogare e operare, è stato condannato a vivere molto più a lungo della sua epoca, in un tempo nuovo senza grandezza alcuna se non nella vastità delle sue tragedie senza voce.
Lo chiamavano da tempo qui da noi il vecchio Papa - ma ha la stessa età del nostro presidente che nessuno si sogna di appellare in questo modo - ed era in verità troppo vecchio per questo tempo. L'epoca sua è stata quella delle grandi battaglie per grandi idee, e è stata l'epoca delle responsabilità. Quell'uomo non ha mai rinunciato un solo istante ad assumersi il peso della responsabilità del suo agire. Gli uomini che oggi si guadagnano - o si comprano, come usa in questo tempo - una posizione alla sua paragonabile sono uomini di insulse idee o nessuna, di mediocri battaglie e nefande. E di nessuna responsabilità. Con chi ha potuto confrontarsi davvero quest'uomo negli ultimi vent'anni della sua vita?
Ricordo la morte di un altro Papa, la ricordo bene. Papa Giovanni XXIII. Allora, dalla voce e dal sentimento degli adulti avevo capito quanto la sua morte fosse vissuta e temuta non solo come la fine di un grande amato uomo, ma come la fine di un'epoca intera. In un grumo di mesi morì il papa buono, fu ucciso J. F. Kennedy e fu mandato in esilio dal potere Kruscev.
Erano i tre uomini che avevano costruito il loro tempo, uomini che avevano agito in nome della responsabilità per il mondo intero, contendendo tra loro ma in nome di qualcosa che era comprensibile ed accettabile agli occhi di ogni uomo. La loro fine parve una congiura della storia contro se stessa, la cessazione della speranza e dell'ottimismo come ragione dell'agire.
Oggi muore papa Giovanni Paolo II e muore solo lui. E per lui i casti, i buoni, piangono. L'epoca da piangere assieme a lui è già morta da un pezzo. Al cospetto di miliardi di sguardi, con tutti i potenti della Terra al suo capezzale, quest'uomo è morto solo.
Io non posso dirmi cattolico romano, ho condiviso con la fede di questo Papa non tutto e non molto, ma oggi so cosa perdo e per chi piango.
il Secolo XIX, aprile 2005 |