Le Pagine di Storia

Pio IX e gli Ebrei

Pio IX

Le persecuzioni della Chiesa cattolica nei confronti degli Ebrei hanno origini remote e rappresentano un continuum nella storia del Papato. Le scuse ufficiali fatte da papa Giovanni Paolo II qualche tempo fa, riconoscono le nefandezze compiute nei secoli dalla gerarchia ecclesiastica, che in ben pochi momenti storici è sembrata, sia pur lontanamente, ispirarsi al Cristianesimo. Il re di Sicilia ed imperatore Federico II fu tra i primi a bandire Ebrei ed Arabi (gli “Infedeli”) per compiacere i Papi. Nel Regno di Sicilia (poi delle Due Sicilie), considerato da sempre dalla Chiesa uno stato vassallo, l’accanimento e lo zelo nel perseguitare gli Ebrei fu tale che ancor fino a qualche anno fa non esisteva alcuna sinagoga o comunità ebraica a Sud di Napoli. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se alcuni potentati ebrei appoggiarono il Risorgimento, inteso come superamento del potere temporale, assoluto e tenebroso, dei papi e dei suoi vassalli.

Alfonso Grasso


La vicenda di Edgardo Mortara, convertito a forza da Pio IX, rievocata nel libro di David Kertzer

Edgardo Mortara, tolto ai genitori ebrei a 6 anni perché una domestica l'aveva battezzato, si fece sacerdote

Il rapimento del bimbo ebreo che segnò la fine del Papa Re

di Massimo Zamorani [1]

È ancora buio. quando nelle prime ore del mattino del 22 gennaio 1944 il VI Corpo d'armata americano sbarca sulla costa laziale, tra Anzio e Nettuno. Il rabbino Morris Kertzer è fra i soldati che pongono piede sulla spiaggia, spazzata dal fuoco dei granatieri tedeschi della 29° Divisione.

Nelle settimane successive il cappellano è impegnatissimo nell'assistere e seppellire centinaia di giovani soldati ebrei che incontrano la morte su quella semiluna di costa divenuta un inferno ribollente, ma sopravvive e nel pomeriggio di domenica del successivo 4 giugno ha la soddisfazione di entrare in Roma, incontrare il rabbino capo della capitale Israel Zolli e insieme a lui celebrare il rito del Sabato, di fronte a 4000 persone che affollano la sinagoga centrale.

Cinquant'anni dopo, nella sala di lettura dello stesso tempio israelita romano, sedeva David I. Kertzer, figlio del cappellano di guerra, intento a esaminare la corrispondenza intercorsa un secolo prima tra Sabatino Scazzocchio, segretario della comunità ebraica romana e Momolo Mortara, padre diperato di un bambino rapito dai gendarmi di Papa Pio IX nel 1858.

Dalla ricerca di David Kertzer è scaturito un libro sconvolgente, dedicato dall'autore alla memoria del padre, appena ripubblicato nella Biblioteca Universale Rizzoli ("Prigioniero del Papa Re"). Della vicenda è pervenuta qualche eco al tempo della pubblicazione del volume, uscito in edizione originale con il titolo forse di maggior impatto: The Kidnapping of Edgardo Mortara, il rapimento di Edgardo Mortara. In effetti fu proprio un rapimento, anche se attuato con tutti i crismi di quella che a quel tempo, negli Stati della Chiesa di cui l'Emilia faceva parte, era ritenuta legalità.

La vicenda ha inizio la sera di mercoledì 23 giugno 1858 a Bologna, quando i gendarmi si presentano in casa dei coniugi Momolo e Marianna Mortara, con l'ordine di prelevare uno dei loro otto figli: Edgardo di sei anni. Il bambino era stato battezzato segretamente, all'insaputa dei genitori, ma l'inquisitore era venuto a saperlo e aveva decretato che il piccolo, divenuto cristiano per effetto del sacramento somministrato di sua iniziativa da una domestica di casa Mortara, non poteva vivere in una famiglia di infedeli ebrei. Da ciò l'ordine di prelevarlo dalla casa dei genitori, trasferirlo di autorità a Roma e internarlo coattivamente in un istituto, qualcosa di mezzo tra il collegio e la prigione, ove il bambino sarebbe stato allevato e istruito secondo i dettami di Santa Romana Chiesa.

I genitori del piccolo rapito, disperati, si rivolgono innanzi tutto all'inquisitore che ha ordinato il sequestro, poi al vescovo, infine al cardinal legato che è il governatore di Bologna, ma il muro è compatto. Forti del sostegno della comunità israelita bolognese, poi di quella romana, pervengono al vertice della gerarchia vaticana, ottengono un incontro persino con il cardinale Giacomo Antonelli, Segretario di Stato per il cui tramite le invocazioni raggiungono addirittura il Pontefice, il Papa Pio IX, ma la risposta è sempre una, la stessa: la legge non consente che un piccolo cristiano viva in una famiglia di ebrei. Neppure se il battesimo è stato somministrato per caso, per errore, all'insaputa dei genitori, da una servetta che a un certo momento ha temuto che il bambino, ammalato, potesse morire e in tutta semplicità ha creduto giusto salvargli l'anima.

Il rapimento del piccolo ebreo suscita reazioni indignate che dilagano a macchia d'olio da Bologna all'Italia intera, all'Europa, al mondo. I giornali denunciano quello che viene definito un intollerabile sopruso; l'opinione pubblica in Francia, Inghilterra, Austria, Prussia, Olanda, persino in America, si indigna. Napoleone III imperatore dei francesi ordina all'ambasciatore a Roma di far pressione sul Pontefice perché Edgardo sia restituito alla famiglia, ma al diplomatico viene opposto un rifiuto anche se la Francia è la Nazione che in maggiore e più concreta misura difende il potere temporale papale, mantenendo una guarnigione militare nella Stato della Chiesa.

I banchieri ebrei Rothschild di entrambi i rami, francese e britannico, ai quali la Santa Sede si era rivolta per chiedere - e ottenere - un cospicuo prestito per risanare il bilancio dello Stato della Chiesa intervengono con insistenza, ma anche per loro il rifiuto è netto. Da Londra sir Moses Montefiore, originario di una famiglia israelita italiana, titolare di una delle più cospicue fortune finanziarie dell'epoca, creato baronetto dalla regina Vittoria, arriva a Roma per chiedere la restituzione di Edgardo. Tutto inutile. Il pontefice neppure lo riceve e il cardinale Antonelli gli dice che «le leggi della Chiesa impediscono che un bambino battezzato sia restituito ai genitori infedeli».

Il rapimento verrà anzi replicato con identiche modalità, strappando alla famiglia un altro piccolo ebreo: Giuseppe Coen. romano di nove anni.

Ormai si diffonde nel mondo la convinzione che il governo dello Stato della Chiesa, il potere temporale dei pontefici, le norme morali imposte siano un anacronismo e addirittura un ostacolo al progresso civile e culturale. La reazione della Santa Sede verso un movimento di opposizione che si solleva come una marea sembra espressione di una deliberata volontà di sfida ed ecco la discussa enciclica Quanta cura con annesso Sillabo degli errori, autentico rifiuto di tutto ciò che sa di moderno, dettagliato inventario di quello che in fatto di pensiero e comportamento è condannabile dalle leggi della Chiesa.

A questo punto si manifestano conseguenze di grande rilievo sul Risorgimento nazionale italiano. È accertato che il caso Mortara abbia contribuito in modo sostanziale all'avvicinamento di Parigi a Torino con conseguente alleanza franco-sabauda sfociata nella guerra antiaustriaca del 1859 e, soprattutto, all'appoggio concesso al piano piemontese di invadere e annettere nel 1860 quella parte di Stato della Chiesa definita Legazioni e comprendente Marche ed Emilia. Solamente qualche settimana dopo il rifiuto vaticano alla richiesta francese di restituire il piccolo Giuseppe Coen venne siglato l'accordo con il governo piemontese per il ritiro delle truppe francesi da Roma.

Questo aspetto, efficacemente trattato nel libro di Kertzer non era - si può dire - mai stato rilevato nei profili della storia del Risorgimento. L'ipotesi che tra i padri della patria, accanto ai Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II, vi sia un quarto personaggio, un bambino ebreo rapito dai gendarmi pontifici, non è mai stata adombrata.

In quanto alla vita del piccolo Edoardo, divenuto a forza cattolico, ma rimasto tale per sua volontà una volta raggiunta la maggiore età, il Papa Pio IX se ne occupò personalmente, lo volle accanto, gli scrisse lettere affettuose ed è logico pensare che tutto ciò non poteva non influenzare drasticamente la psiche del bambino. Il pontefice evidentemente attribuì al piccolo ebreo un significato di simbolo, un ruolo esemplare, personificò in lui le aspirazioni della Chiesa al proselitismo, alla conversione universale. Edgardo divenne sacerdote, attivo predicatore, difensore rigidissimo della Santa Sede. Quando, il 20 settembre 1870, il fratello Riccardo. tenente dei bersaglieri penetrati attraverso la breccia di Porta Pia piombò in Vaticano con le braccia aperte, per abbracciarlo dopo tanti anni, Edgardo lo respinse senza esitazione. «Sono tuo fratello!» gli gridò Riccardo.«Prima di avvicinarti a me, levati codesta uniforme da assassino!», ribatté il diciannovenne sacerdote.

Due fratelli, due mondi in conflitto in un momento storico decisivo. Da una parte una Chiesa, una morale, una concezione impegnati nella difesa disperata del potere temporale, dall'altra la nuova ideologia liberale, laica, moderna, che aveva conquistato il pianeta al tramonto del XIX secolo.

Per gli ebrei di tutto il mondo il caso Mortasa è diventato un simbolo, l’emblema dell’intolleranza mostrata dalla Chiesa per secoli.


Note

[1] Massimo Zamorani, il Secolo XIX, 20 novembre 2005


Bibliografia

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