È insito nella curiosità di molti di noi il desiderio di conoscere
aspetti della vita di coloro che ci hanno preceduto: i loro riti, le
loro usanze quotidiane.
Chi si dichiara indifferente a questo genere di curiosità o non dice
il vero, oppure respinge quei tasselli di conoscenza che tentano di
delineare la Storia dell’uomo sulla Terra.
Orbene, indagare andando a ritroso nel tempo è cosa abbastanza
agevole se si pensa di “scalare” una decina di generazioni
(all’incirca trecento Anni). Già cominciano, invece, a manifestarsi
gravi dubbi, lacune ed imprecisioni se ci portiamo all’anno Mille
(33 generazioni fa). Ma tutto davvero si annebbia, con solo flebili
segni sul mistero delle origini e delle tradizioni, quando cerchiamo
di accostarci in maniera ideale ai nostri più antichi “nonni”, a
quegli Italici che, tra i 14.000 ed i 1000 anni a.C., popolarono le
terre del Sud d’Italia. Chi erano e da dove venivano; dove si
stabilirono in prevalenza?
Oggi, per scoperte relativamente recenti, alcune delle idee sono più
chiare, ma molte sono le vicende che restano nel mistero. Non sono
scomparse, infatti, vaste ombre relative alle modalità ed ai tempi
delle migrazioni; alle lotte fratricide ed alle calamità che i
popoli Italici dovettero affrontare nei tanti secoli, anzi nei
millenni, che li videro progressivamente avanzare e prendere
possesso dei territori del Meridione d’Italia. Alcuni rivoluzionari
metodi di indagine e l’adozione di tecnologie sofisticate hanno,
tuttavia, conferito connotazioni “moderne” alla ricerca archeologica
di settore, producendo un forte impulso alla conoscenza sistematica
di questo mondo lontano che pure, in certe sottili sfumature, appare
a noi “familiare”.
Esaminiamo, in sintesi, quello che gli studi recenti indicano:
-
Circa 15. 000 anni fa ebbe
inizio il lento, progressivo insediamento sulle coste italiane
di popolazioni indoeuropee provenienti dall’Illiria (ex costa
Jugoslava). Il processo di spostamento delle popolazioni ebbe,
dunque, origine nella fase secondaria della Glaciazione Wurmiana,
che ha termine 9000 anni a.C. Per opera della Glaciazione
predetta tutto l’attuale Alto Adriatico, fino alle prime coste
pugliesi, costituiva un enorme ponte ghiacciato che consentiva
la migrazione di popoli, spinti dal desiderio di raggiungere
terre a clima temperato.
-
Queste masse, originarie
dell’Est Europeo, organizzate in tribù; raggiunta la terra
ferma, si suddivisero e dettero origine a nuclei distinti: i
Dauni, gli Enotri, ed i Messapi si distribuirono sul territorio
dell’odierna Puglia (Apulia – Japigia). Gli Ausoni occuparono il
basso Lazio e la Campania fino al fiume Sele . Gli Ausoni
inoltre, essendo, come probabile, anche buoni marinai,
raggiunsero per mare la costa calabra insediandosi nella zona di
Reggio, come attestano recenti ritrovamenti ed i riferimenti
classici di Dionigi di Alicarnasso. Bisogna attendere fino a
1300 anni a.C. per raccogliere testimonianze sul progressivo
insediamento nell’odierna Sicilia dei Siculi, altra popolazione
italica con caratteristiche paragonabili a quelle degli Enotri e
dei Messapi.
L’attendibilità della ripartizione, così come appena riportata, dei
territori del Meridione d’Italia fra le distinte entità etniche
Italiche, derivanti dallo stesso ceppo originario indoeuropeo,
presenta, ovviamente, vistose lacune, labilità ed incognite. Si
tratta di tanto tempo fa!
Non dimentichiamo che stiamo parlando del periodo terminale del
Paleolitico Superiore, nel quale l’Homo sapiens sta appena
modificandosi in Homo religiosus. Il pensiero primordiale di
questi nostri antenati comincia a soffermarsi sul perché della
morte, sui fenomeni naturali come il tuono; la pioggia ed il calore
del Sole. Nasce la sensazione panica di voler conoscere “ciò che c’è
al di là della vita”. Con essa si profila una prima intuizione del
trascendente; del divino, al quale bisogna dare, -
come vedremo - una connotazione antropomorfa, non essendo ancora
evoluto il pensiero degli uomini del Paleolitico Superiore, al punto
da elaborare il concetto di divino in astratto.
Da questa considerazione nasce, forse, il filo conduttore che
giustifica l’affermazione sull’unicità del ceppo di provenienza
delle popolazioni italiche. Si tratta, peraltro, di una connotazione
estremamente significativa, che si ritrova, puntualmente, in tempi
successivi, anche in popolazioni come quella degli Osci, che vengono
considerate “derivate” dagli Ausoni e che fino al V secolo a.C.
occupano la Campania.
Il fil rouge è dunque di natura religiosa. Ha origine dal
culto dei morti che, pur presentando modalità e rituali differenti,
attesta, che nell’immaginario collettivo esiste il concetto di una
vita ultraterrena. Ma il punto essenziale è costituito dalla forma
monoteistica di religione primordiale che accomuna le
popolazioni italiche e le loro ascendenze indoeuropee.
Si tratta della identificazione del potere divino nella “Madre
Terra”, unica padrona della vita e della morte; origine di ogni
cosa; protettrice della salute e della fertilità degli uomini e
della bontà dei raccolti.
Ed ecco che la rappresentazione antropomorfica della Madre-feconda,
non può che essere quella di una “Venere primordiale”, nella quale
confluiscano, in forma essenziale, le componenti esoteriche
dell’idolo e l’emblematica attribuzione dei segni della fertilità.
Dunque una Venere, rappresentata in forma naturalistica di donna
nuda, i cui attributi sessuali vengono esaltati nelle forme, per
dare giusto risalto alle funzioni magiche della fecondità e della
fertilità.
La Venere di Willendorf
La scoperta casuale in Austria, nel 1908 di una statuina femminile,
subito battezzata Venere di Willendorf e risalente a circa
23.000 anni a.C., dette l’avvio alle ricerche sull’esistenza del
culto della Madre-feconda tra le antiche popolazioni europee dalla
quali sarebbero stati generati gli Illiri e poi gli Italici. La
Venere di Willendorf sarà la prima di una serie di statuine
ritrovate in Europa con caratteristiche analoghe, che verranno
classificate come Veneri steatopigiche, per la caratteristica
comune dei larghi fianchi (Es. la Venere di Lespungue in Francia).
La Venere steatopigica di Lespungue (Francia)
La certezza del trasferimento alle popolazioni italiche di una
ritualità magica, simbolicamente immutata e rappresentativa della
Madre-feconda, si ebbe con la eccezionale scoperta, nel 1966, in una
cavità, sita presso Parabita nel Salento, di due statuine femminili
di osso, di piccole dimensioni, che vennero denominate Veneri di
Parabita. Si tratta di due oggetti rituali, databili intorno
a 15.000 anni a.C. che rientrano nel novero delle cosiddette
Veneri del Paleolitico Superiore, e che stanno a testimoniare la
diffusione nei territori meridionali del culto della Madre-feconda o
Dea-madre, origine dell’umanità e regolatrice della vita sulla
Terra.
Le Veneri di Parabita (Salento)
Il tempo passa. Dal Paleolitico Superiore si giunge a 5000 anni a.C.
e nei popolosi aggregati umani dell’Italia Meridionale, ormai ben
identificabili come popolazioni italiche, si perpetua invariato il
culto monoteistico della Dea – madre, sviluppando e sottolineando,
in taluni casi, altri aspetti magici connessi alla divinità.
Così la credenza che alla Dea-madre si dovesse attribuire, fra gli
altri, il potere di guarire le malattie degli uomini e degli animali
con acque medicamentose e quello, drammatico, di poter togliere di
colpo la vita, fa sorgere il rapporto fra magico e fenomeni naturali
inconsueti, come quelli di natura vulcanica.
Le acque termali sono un toccasana per l’uomo e, quindi, sono
considerate manifestazioni della Dea-madre. Se poi, accanto alle
acque termali si individuano emanazioni di gas venefici che possono
uccidere, si conferma ancor più la potenza della unica Dea-madre
alla quale, in tal caso, viene attribuito il nome di Mefite.
Ed ecco che sorgono nella Valle dell’Ansanto presso Rocca S.Felice
in Irpinia; in un impenetrabile bosco di Eraclea; ai Bagni di
Contursi ed in altri siti analoghi, luoghi di culto dedicati alla
Dea Mefite. Questa non è che una diversa rappresentazione della
Venere steatopigica, in forma più materna e consolatoria, perché
allevia le malattie con le acque magiche, ma, come dicevamo innanzi,
anche in veste di severa dispensatrice di morte con i gas venefici.
Le statuine di terracotta della Dea Mefite che si ritrovano presso i
luoghi votivi sono figure di donne, avvolte in ampi mantelli.
La bocca della Mefita di Rocca S.Felice (Irpinia)
Più tardi, quella fede in una entità unica; quel culto monoteistico,
immutato per millenni, con l’arrivo dei Greci e poi dei Romani,
dovrà fare i conti con la chiassosa e variegata compagine degli Dei
dell’Olimpo.
Tra Giove, impenitente donnaiolo, Apollo effeminato e vanesio e un
caleidoscopio di tante divinità femminili, non c’è posto per
un’unica Dea-madre onnipotente. Tutto viene travolto dalle novità
imposte dai conquistatori. Le Veneri steatopigiche scompaiono.
Resta, tuttavia, a lungo nella memoria degli Irpini, discendenti
degli Osci, e finanche nello stesso Virgilio (Eneide VII 562 sgg) il
timore reverenziale per la Mefite. Ad Essa, dell’intero Mito greco -
romano, si possono avvicinare solo le figure Demetra e della di lei
figlia Persefone, ciascuna delle quali raccoglie parte dei poteri
ancestrali, conferiti alla Venere primordiale
dall’immaginario dei nostri progenitori italici.
Gherardo Mengoni
aprile 2008 |