L’idea di
battere moneta nacque 600 o 700 anni a.C. in Anatolia, l’attuale
Turchia, più precisamente nel regno di Lidia.
Le prime
monete erano già fabbricate per “coniazione”, utilizzando cioè un
principio non dissimile a quello usato ancor oggi: un “tondello” di
metallo incandescente veniva posto tra un “conio di incudine” ed un
“conio di martello”; veniva poi data una martellata sul
quest’ultimo, imprimendo così sul metallo le effigi che erano incise
sui due coni. Non esistendo uno stampo di contenimento, i bordi
della moneta erano irregolari e spesso le immagini erano mal
centrate, ma il peso della moneta era comunque molto accurato e
costante… Era il peso infatti a garantirne il valore.
Le prime
monete erano di “elettro”, una lega naturale di oro ed argento che
si rinveniva nei fiumi dell’Anatolia: ciò però costituiva un
problema, poiché già in epoca antica l’oro era molto più prezioso
dell’argento, e la percentuale dei due metalli nella lega era
variabile… La soluzione al problema fu escogitata, secondo la
tradizione, dal mitico Creso, re di Lidia, alla metà del VI secolo
a.C.: Creso, molto semplicemente, decise di coniare separatamente
monete d’oro e monete d’argento…
Subito le
città greche della Ionia (cioè le colonie fondate dai Greci sulle
coste turche) capirono i vantaggi della nuova monetazione
bimetallica ed adottarono l’uso delle monete, coniando grandi
quantità di monete d’argento.
Entro
pochi decenni non vi fu città Greca in cui non si coniassero monete…
ciò, ovviamente, riguarda anche le città della Magna Grecia, che
iniziarono, a partire dalla fine del VI secolo a.C., una serie di
emissioni spettacolari di monete d’argento: ogni città aveva i
propri simboli, che identificavano la moneta come emessa dalla zecca
cittadina, anche se esistevano molte varianti.
Erano in
uso nel mondo greco diversi sistemi ponderali monetari leggermente
diversi tra di loro, ma la base era costituita dalla “dracma”, che
aveva un peso di circa 4 g.
L’abitudine però era di coniare multipli della dracma, in
particolare “stateri” o “didrammi” (del peso di circa 7-8 g.) o
“tetradrammi” (del peso di 15-17 g.).
Le colonie
greche in Italia coniavano specialmente stateri: le prime emissioni
di alcuni di questi stateri, come quelli di Metaponto, raffiguranti
la spiga, o quelli di Crotone con il tripode, erano di una tipologia
del tutto particolare. Essi avevano infatti da entrambi i lati la
stessa raffigurazione: da un lato impressa in rievo, dall’altra
incavata. Queste monete, chiamate “incuse”, furono coniate solo da
poche città greche dell’Italia meridionale per un periodo di circa
50 anni, a cavallo del 500 a.C., e furono tra le prime monete
coniate in Italia.
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Statere
incuso in argento di Metaponto, di stile arcaico (circa 500 a.C.).
Su entrambe le facce è raffigurata la spiga di frumento, simbolo
della città per tutto il periodo in cui fu attiva la zecca. Quando
questo statere fu coniato, la monetazione in Magna Grecia era
iniziata da non più di 30 anni. |
Poiché le
città della Magna Grecia batterono moneta per alcuni secoli –
grossomodo dal 500 a.C. fino a quando vennero via via conquistate
dai Romani, nel corso del III secolo a.C. – lo stile dell’incisione
del conio varia di conseguenza: le prime emissioni sono di stile
“arcaico”, per passare poi allo stile “classico” ed infine a quello
“ellenistico”.
Tuttavia,
pur evolvendo lo stile, rimaneva talvolta del tutto invariato il
soggetto: infatti ciascuna città aveva un simbolo che, rappresentato
sulle monete, le rendeva immediatamente riconoscibili: vediamone
alcuni esempi.
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Statere in
argento di Taranto, di stile classico (circa 300 a.C.). Su di una
faccia è raffigurato Taras salvato da un delfino, simbolo della
città; sull’altra è raffigurato un giovane a cavallo. Taranto,
allora la più importante città del Sud Italia, raffigurava spesso un
cavaliere sulle proprie monete: la cavalleria tarantina infatti era
molto rinomata e fu lo strumento con cui la città guadagnò la
supremazia. |
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Statere in
argento di Napoli, di stile classico (circa 300 a.C.). Su di una
faccia è raffigurata la ninfa Partenope, patrona della città;
sull’altra è raffigurato un toro con testa umana: questo tipo di
moneta venne coniato per molti anni. |
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Moneta di Crotone. Clicca sull'immagini per ingrandire |
Statere
“suberato” di Crotone, di stile classico. Su di una faccia è
raffigurato un tripode, simbolo della città; sull’altra è
raffigurata un’aquila. Questa moneta, emessa prima del 277 a.C.
(anno in cui la città cadde sotto la dominazione romana) rappresenta
l’estremo tentativo di mantenere la propria indipendenza: esaurite
le possibilità finanziarie la zecca emette infatti monete in rame
ricoperto da una leggera lamina d’argento – definite oggi “suberati”.
Sotto il tripode si intravede il rame che affiora. |
Le città greche della Sicilia, al
contrario di quelle del Sud Italia, non coniarono monete “incuse”
prediligendo la coniazione di tetradrammi di tipo più tradizionale…
in particolare Siracusa, la più potente città della Magna Grecia,
iniziò l’emissione di un’impressionante serie di monete che
costituiscono probabilmente la serie artisticamente più avanzata
dell’intera storia numismatica di tutti i tempi: i tetradrammi
siracusani più tipici raffiguravano da un lato la testa della ninfa
Aretusa, patrona della città, contornata da 4 delfini, dall’altro
una quadriga, anche se la varietà della monetazione siracusana è
notevole.
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Tetradramma in argento di Siracusa (circa 480 a.C.). Sulla faccia
principale è raffigurata la testa della ninfa Aretusa, contornata da
4 delfini: l’incisione è ancora di tipo arcaico, successive
emissioni di questi tetradrammi sono considerate tra le più belle
monete mai coniate. |
Altre città siciliane ebbero una
vasta produzione di monete, ad esempio Agrigento, che emise dei
bellissimi stateri raffiguranti il granchio e l’aquila, oltre a vari
altri tipi.
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Statere in
argento di Agrigento, di stile arcaico (circa 500 a.C.). Su di una
faccia è raffigurato il granchio, simbolo della città; sull’altra è
raffigurata un’aquila. |
Anche se raramente, oltre all’argento
le città della Magna Grecia fecero qualche emissione in “elettro”,
tornando ad una pratica arcaica. Queste monete in elettro erano di stile
particolarmente raffinato.
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Moneta da
50 litre in elettro di Siracusa (circa 350 a.C.). Sulla faccia
principale è raffigurata la testa di Apollo; sul retro un tripode,
simile a quello di Crotone. |
La più importante innovazione da
attribuire alla Magna Grecia fu però l’introduzione di un nuovo
materiale nell’ambito della monetazione: infatti fu proprio nel sud
Italia ed in Sicilia che si incominciò, circa 400 anni prima di
Cristo, a coniare “spiccioli” utilizzando bronzo. Fino ad allora le
città greche, tra cui Atene, erano solite coniare sottomultipli
della dracma sempre in argento, diminuendone le dimensioni fino al
punto di emettere monete poco più grosse della capocchia di uno
spillo…
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Moneta di Reggio. Clicca sull'immagini per ingrandire |
Moneta in
bronzo, di Reggio (circa 300 a.C.). Sul fronte è raffigurata la
testa di Apollo, sul retro lo “scalpo” di leone, simbolo ricorrente
sulle monete di questa città. Quando questa moneta fu coniata la
monetazione in bronzo non era iniziata se non da pochi decenni. |
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Moneta in
bronzo, di Entella (circa 340 a.C.). Sul fronte è raffigurata la
testa di Demetra, sul retro il pegaso. Entella, all’epoca della
coniazione di questa moneta, era sotto il dominio di un gruppo di
mercenari Campani che, rimasti senza “impiego”, si erano impadroniti
della città. |
Quando poi Roma, città di
agricoltori e pastori che non conoscevano in pratica l’uso del
denaro, venne in contatto con il mondo della Magna Grecia, ne adottò
il tipo di monetazione. Incominciò così ad emettere, all’epoca delle
guerre puniche (230 a.C. circa) una serie di didracme, definite
“romano-campane” di cui il tipo più caratteristico raffigurava da un
verso il capo di Giano bifronte, dall’altro una quadriga…. da cui il
nome di “quadrigati”. Solo un centinaio d’anni dopo nacque il
denaro, la tipica moneta romana di epoca tardo repubblicana ed
imperiale, che seguiva un suo tipo ormai originale.
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