Quando si parla degli interventi dei Borbone in favore
del popolo, delle sue necessità, delle sue aspettative,
insomma del “sociale”, viene subito in mente quello
splendido esempio di realtà economica, umana e sociale
rappresentata da San Leucio. La fama non è immeritata
posto che in quel luogo gli addetti alla lavorazione dei
tessuti godevano di una giornata lavorativa di otto ore
a fronte delle dodici o quattordici dei loro colleghi
inglesi o di altri stati europei; di un’assistenza
sanitaria gratuita, di una pensione di invalidità e
vecchiaia nonché delle abitazioni realizzate e messe a
disposizione dal Re.
E tuttavia altri esempi, forse un po’ meno conosciuti,
fanno da controcanto a quello di San Leucio, come
la Reggia di Carditello; altro splendido esempio
di quel legame stretto ed indissolubile che legava la
Casa dei Borbone al suo Popolo. Ma non andrebbero
dimenticati altri casi simili come quello della Real
Casina di Caccia di Ficuzza presso Palermo, dove la
magnifica residenza regia era ed è circondata assai
significativamente dalle stalle e dalle case dei fattori
e dei contadini che in quella azienda lavoravano. Case,
stalle, magazzini che stranamente, ma umanamente,
facevano da cornice alla Real Casina non solo
materialmente ma, soprattutto, spiritualmente; o le
Reali Cantine Borboniche di Partinico (Pa) e tanti,
tanti altri esempi ancora.
Un ulteriore esempio del particolare rapporto che
esisteva fra “O’ Rre” ed il suo Popolo si ritrova
tutt’oggi anche a Taranta Peligna in provincia di
Chieti, ridente paese lungo la valle dell’Aventino.
Oltre a Taranta Peligna, seguendo la stessa valle e
lungo il fianco orientale della Majella, si trovano a
mezza costa altri centri: Casoli, Fara San Martino, Lama
dei Peligni, Palena.
Sin da tempi remoti la particolare conformazione dei
luoghi, della vegetazione e del clima hanno favorito lo
sviluppo di una intensa attività silvo pastorale. In
particolare lo sviluppo dell’allevamento degli ovini ha
da sempre caratterizzato e scandito la vita e
determinato le economie di quei luoghi. Era quindi
inevitabile chi lì si sviluppasse una particolare
maestria nella lavorazione della lana. Ancora oggi è
possibile reperire dei mirabili esempi di quell’arte
quasi del tutto scomparsa ma non ancora estinta che è
rappresentata in particolare dalla produzione, anche se
ormai solo a carattere familiare, di uniche coperte
ricamate, più che cucite, rigorosamente a mano. Si
tratta delle famose “Tarante”, coperte di lana che oltre
a ricordare più un merletto che ad una coperta, hanno la
particolare caratteristica di non avere né “dritto” né
“rovescio”: da qualunque faccia le si guardi presentano
lo stesso splendido aspetto. La qualità di queste
lavorazioni raggiunse, al tempo dei Borbone, livelli
elevatissimi e le “Tarante” venivano esportate a
Salerno, a Napoli e perfino all’estero. Ma oltre alle
coperte venivano qui realizzati altri prodotti e tessuti
utilizzati financo dai reparti dell’esercito borbonico a
dimostrazione della loro resistenza e qualità.
Va da sé che una simile peculiarità non poteva
sfuggire all’attenzione di una dinastia da sempre
attenta alle realtà economiche ed umane ed alle loro
esigenze ed aspettative. Ed ecco che anche qui si
ritrovano i resti dell’intervento regio volto a
migliorare, ottimizzare ed accrescere le potenzialità di
una società certo agricola e rurale, ma proiettata verso
un futuro che si prospettava roseo e ricco di promesse.
Nella periferia del paese, dal lato ovest, ci si imbatte
infatti, e con stupore, in un piccolo quartiere di case
realizzate dalla Monarchia e donate ai lavoranti della
lana. Certo, si tratta di case piccole, ma sono ben
realizzate con materiali che hanno retto quasi
perfettamente fino ad oggi e, soprattutto,
rappresentavano oltre che un sicuro e confortevole
rifugio, anche l’interessamento e l’attenzione del Re.
Si tratta per lo più di casette ad uno o due piani in
pietra; le coperture, ove ancora esistenti, sono a
spioventi con tegole in terracotta; i portali degli
ingressi e delle finestre sono delineati da massicce
orlature in pietra squadrata; su ogni porta d’ingresso
una targhetta in pietra riporta il numero dell’alloggio.
Ma le sorprese non finiscono qui. In altra zona del
paese la toponomastica ci ricorda che in questo centro
il lavoro ferveva dall’alba al tramonto; ritroviamo così
la Via Tiratore dove si distendevano i manufatti dopo la coloritura;
la Via Gualchiera che era la via dove erano sistemate le
gualchiere, macchine per la follatura della lana, ed
infine la Via Tintoria. Dal lato sud del paese poi
alcuni ruderi, accanto all’immancabile chiesetta, ci
ricordano che anche lì c’era stato l’intervento Reale.
Oggi quelle case non ospitano più donne, bambini
gioiosi, operai; non fanno più parte della vita del
paese. Alcune sono diventate piccole case di
villeggiatura, altre magazzini, altre sono abbandonate
ed altre ancora in pericolo di crollo. E’ un peccato
anzi, un sacrilegio che una simile testimonianza di
storia e civiltà sia caduta nel dimenticatoio o quasi.
Non ci resta che far voti affinché le Autorità
Competenti, Comunali e Regionali ed i privati trovino di
comune accordo un modo per restituire a quelle piccole
grandi case il posto che meritano nella storia del paese
ed in quella del Regno delle Due Sicilie.
Giovanni Maduli
17/06/2011
Riferimenti Internet
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