Un fulmine, durante la notte di
Pasqua, colpisce Dominic, ottantenne protagonista che, anziché perire o
restare invalido dall’incidente, ringiovanisce prodigiosamente colto da
ipermnesia. Sullo sfondo c’è persino un Papini eco nella cronaca, nella
cecità supposta, ma anche una forte predilezione per Dante e Ungaretti
nutrita dal miracolato oramai divenuto superdotato nelle sembianze di un
bel giovinetto, con tanto di “baffi biondi” e “frange sulla fronte che
lo faceva assomigliare a certi poeti”, forse un po’ anche a quel Sean
Bran, poeta, esoterista e irredentista irlandese che, per il suo
centenario, immola la quercia folgorandola ai posteri. Dualismo
cosciente, immagini riflettenti fino ad un vero e proprio sdoppiamento
della personalità con un sosia angelo custode e risvolti profetici sul
destino dell’intera umanità costruiscono man mano il personaggio in una
sorta di esoterismo delle lingue. Sogna per ideogrammi divenendo un
febbrile sinologo, quasi un novello Pound alla ricerca di sé e
dell’anima all’origine di tutti i linguaggi. Si rimbalza da una
dimensione temporale all’altra, trasformando passato e futuro in
coordinate mobili, dove tradizione e spazio si consolidano in una
visione apocalittica ma rigeneratrice per una possibile umanità
post-atomica e più dotata, quella post-storica.
Mircea Eliade,
eminente intellettuale della storia delle religioni del Novecento, nell’
“escatologia dell’elettricità” romanza una “mutazione della specie
umana, l’apparizione del superuomo”. Tematiche che nel libro riconducono
ad un’ambientazione radicata nell’espansionismo nazista in Europa.
Cresce l’interesse al caso di Dominic e, “tra gli intimi di Goebbels”,
quello del dottor Rudolf, sperimentatore da “un milione di volt”.
Sequenze di spionaggio e doppio gioco tra Siguranţâ e Gestapo disegnano
una Romania già da anni nel pieno di vicissitudini tra conservatori e
legionari, minacciata da tedeschi e sovietici come pure da bulgari e
ungheresi. Un paese che, di lì a poco, con Antonescu verrà risucchiato
nello scacchiere di Hitler per questioni strategiche piuttosto che
ideologiche, tanto che, la stessa Guardia di Ferro, nel ’41 sarà messa
per sempre a tacere nell’ordine d’interessi reciproci.
Dominic si
rifugia a Ginevra e, a partire dal ’47, trascrive i suoi appunti in una
“lingua artificiosa”, un sistema non decifrabile prima del 1980,
destinato a tramandare molte civiltà che, prima dell’avvento dell’uomo
post-storico, andranno completamente distrutte nel corso di guerre
atomiche. Sempre in Svizzera, nel ’55, un temporale sorprende due donne
e la sola sopravvissuta, Veronica, viene colta da una sindrome di
regressione che, non a caso, si ricongiunge al destino di Dominic, non
solo a quello linguistico (Veronica è preda di transfert e, come Rupini,
figlia di una delle prime famiglie convertite al buddismo, comunica con
lui in sanscrito) ma anche a quello sentimentale, che riconduce ad un
amore incompiuto della prima giovinezza, quello con Laura che lo
ritrae a Tivoli. Dominic e Veronica si ritireranno a Malta, lontano da
fari puntati e occhi indiscreti, dove le visioni di lei diverranno
sofferte ed oniriche, fino a lambire civiltà primordiali, provocandole
una “senescenza galoppante”. Finale estetizzante e ambivalente, sia sul
piano reale che su quello surreale, per il lettore come per il
protagonista che si ritrova al caffè Select fino ad invecchiare
improvvisamente per essere rinvenuto come un anziano morto assiderato.
Il doppio e la sfida del Faust di Goethe, ma anche palesi riferimenti a
Dorian Gray, ci lasciano nel gusto di una cultura romantico-decadente
filtrata dal Novecento e paradigma di una tragicità d’incomunicabilità
isolazionista.
Enrico Pietrangeli
Mircea Eliade Un’altra giovinezza Rizzoli, 2007 € 15
La pagina
è stata realizzata con testi ed immagini inviatoci da
Enrico
Pietrangeli, giugno 2008 |