Pensiero Meridiano

La Concordia e l’Obelisco

di Gherardo Mengoni

I televisori di moltissimi italiani sono rimasti accesi nella notte tra 16 e 17 settembre di quest’anno. Gli occhi a scrutare la lenta rotazione dello scafo, l’ascolto delle numerose interviste, la cui monotonia tecnica si bilanciava con le scene di attività d’intorno e con le immagini della “Concordia” lentamente emergente alla luce delle fotoelettriche. Poi il suono garrulo della sirena che annunciava “angolo 0” e allineamento dello scafo.

Non abbiamo nascosto la trepidazione che ha trattenuto fino a quel momento fatidico commenti e considerazioni di chi, da tecnico, ha assistito, con ansia, alla gigantesca operazione di ingegneria che ha riportato in assetto ordinario una nave imponente e con essa la dignità di un “popolo di marinai” calpestata da uno scapestrato cialtrone. Il silenzio fino a quell’urlo di sirena era, dunque, d’obbligo. Poi è esplosa la gioia e l’ammirata riconoscenza verso uno staff perfetto dal piglio militaresco, come era giusto che fosse, data la assoluta delicatezza del cimento. Grande entusiasmo, dunque, per un opera costosissima ma necessaria e “unica” nel suo genere.

Forse “unica” non proprio! Si sono fatti molti tentativi per andare con il pensiero ad altre operazioni di sollevamento e rotazione che avessero l’importanza, la complessità e le difficoltà della operazione “Costa Concordia”. Non c’è nulla di paragonabile.

Tenuto conto dei tempi e delle “risorse tecnologiche” disponibili forse l’unico episodio paragonabile mi è apparso quello verificatosi in un altro settembre, in quel 10 settembre del 1584 durante il quale si concluse a Roma, in quella che sarebbe diventata piazza San Pietro, la collocazione dell’obelisco nel punto dove tuttora si trova. Esso domina l’immenso “agorà mistico” a decretare, nei propositi di Sisto V, la definitiva vittoria della Cristianità sull’Oriente.

Era stato proprio il “Papa tosto”, come lo chiamava nei suoi sonetti satirici Gioacchino Belli, a commissionare all’ingegnero-architetto Domenico Fontana il trasporto e l’innalzamento del mostruoso, pesantissimo manufatto di granito lungo 25 metri e più sul piedistallo predisposto al centro della piazza.

Fontana ideò una vera e propria macchina da tiro, costituita da una colossale torre di legno, usando cerchiature, carrucole e cordami, con l’impiego di 900 uomini e 75 cavalli. Dopo il trasporto durato varie settimane si giunse al giorno fatidico nel corso quale sarebbe stato eretto l’obelisco. Una folla enorme si assiepò intorno alla piazza. La tensione era palpabile!

Sisto V emanò un editto che comminava la pena di morte a chi avesse “pronunciato verbo” durante l’esecuzione della manovra. In un momento cruciale della operazione i canapi cominciarono a “fare fumo” per il terribile attrito. Allora si levò intemerata una voce che gridò: “acqua alle corde”. E così fu fatto, di corsa! Risultato positivo per l’obelisco che ancora sta lì e per l’uomo della “voce” che non fu decapitato ma, al contrario premiato dal Papa.

Al Giglio voci improvvise nel silenzio attonito non ce ne sono state ma il patos dell’attesa deve aver rinnovato quello della Roma papalina di fine ‘500.

Il Cavalier Fontana qualche anno dopo della brillante operazione “obelisco”, vittima di invidie di miseri concorrenti, lasciò Roma e, per nostra fortuna, se ne venne a Napoli dove nei primi anni del ‘600 provvide tra l’altro alla sistemazione dei Regi Lagni e alla realizzazione della grande Reggia, più tardi migliorata da Luigi Vanvitelli.

Gherardo Mengoni

Settembre 2013


Testo trasmesso dall'autore nel mese di settembre 2013

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