Capatina all’inferno e
ritorno
di Paolo Rumiz
Visita alla pozza di fango di Rocca San Felice in
Irpinia. È chiamata Mefite e il nome dice tutto. Quando
la notte del 22 novembre 1980 il parroco la vide
asciutta capì che qualcosa di tremendo stava per
succedere. E successe.
Qui i popoli pre-romani adoravano la dea della
fertilità. E la più forte emissione gassosa di tipo non
vulcanico che si sia mai vista in Europa. Sfiata
anidride carbonica più di Stromboli e Vulcano messi
insieme.
Il parroco di Rocca San Felice in Irpinia lo sapeva
bene. Da secoli nella valletta sotto il paese accadevano
brutte cose. Passanti uccisi da veleni, animali morti,
odore tremendo di uova marce specialmente la sera; e
tutto sempre lì, attorno a una pozza di fango detta
Mefite dove popoli pre-romani avevano adorato la dea
della fertilità. Ma quando la notte del 22 novembre 1980
il prete vide che la pozza s'era disseccata e una
tempesta elettromagnetica stava sparando strani fulmini
globulari, capì che qualcosa stava per succedere. E
difatti arrivò il terremoto.
Poi, gli scienziati ci misero anni a capire che
l'epicentro della cannonata che aveva scardinato il Sud
dalle fondamenta stava proprio lì, in quella valletta
mefitica a due passi dalla via Appia dove Virgilio aveva
collocato una porta dell'inferno e dove il poeta Orazio,
in una locanda lì accanto, aveva tentato di portarsi a
letto una servetta di campagna. Il Terribile era lì,
visibilissimo, mille volte esplorato e raccontato nei
secoli, ma nessuno lo prendeva sul serio. Eppure nel
1980 aveva parlato chiaro: la pozza della morte che si
era disseccata, solo per poi vomitare con maggior
violenza i miasmi che aveva temporaneamente trattenuto.
Una capanna all'inferno! Come farne a meno? Stavolta ho
con me un amico, Livio Sirovich, un sismologo di
prim'ordine dell'Osservatorio Geofìsico Sperimentale di
Trieste che nel 1980 ha battuto l'Irpinia metro per
metro per conto del Cnr. Ora è venuto a rivedere i suoi
luoghi. È un raffinato esploratore, ma nemmeno lui si è
mai avvicinato alla Nera Madre che cucina i veleni e
depista gli scienziati. Così la nostra curiosità è allo
spasimo, unita a un vago timore.
«Nun ci jate, se more», ci avverte una donna
sotto il tiglio della piazza, a Rocca San Felice. C'è da
capirla: è dal XVII secolo che i registri parrocchiali
segnalano decessi di esploratori e ficcanaso. Gli
ultimi, due archeologi, asfissiati mentre cercavano
monete antiche attorno alla palude. Ma noi andiamo lo
stesso. Abbiamo una guida speciale, Giovanni Martinelli,
super-esperto di gas sotterranei, uno che sente la Terra
dall'odore. È lui che,via telefono,ci pilota fin
sull'orlo del cratere e come una Sibilla ci enumera
oscure meraviglie.
«Ah, la Mefite, luogo parlante della profondità. La
più forte emissione gassosa d'Europa di tipo non
vulcanico. Sfiata CO2 più di Stromboli e Vulcano messi
insieme...». Passiamo il cartello con la scritta
"Pericolo di morte" e l'altro incalza: «Ribollendo,
il fango fa riemergere resti sanniti e romani... la
Mefite è il collegamento più diretto al Profondo che
esista in Italia…». Ecco, ora siamo sull'orlo,
l'ambiente è selvaggio, il fondo scroscia come una
cascata; ma non è vapore, è gas, mortale ossido di
carbonio unito ad anidride solforosa.
Perché si adorava un luogo simile? «Morte e fertilità
erano sempre collegate. I fanghi erano rimedi contro le
malattie, si son trovati ex voto antichissimi a forma di
piede o braccio…». Verso il fondo si vedono carcasse. Un
cane, qualche uccello, insetti a non finire, olocausti
involontari. Possiamo scendere? Martinelli: «Attenti al
vento, all'inversione termica, il gas può salire...».
Così dopo un po' ce ne andiamo, prima che la dea si
accorga di noi e ci catturi.
Trent'anni fa c'era un asino che viveva in un cunicolo
scavato sotto il castello di Calitri. Per arrivare alla
stalla, che aveva una finestrella sul precipizio, la
bestia doveva passare per la cucina, la camera da letto
e la cantina dei padroni. Un po' come nella rupestr
eMatera, anche sulle alture irpine uomini e animali
talvolta dividevano gli stessi spazi. «Ma quando alle
19.34 del 23 novembre 1980 il terremoto arrivò come
un'onda di tempesta, lo strapiombo e un pezzo di
castello vennero giù con tutta la stalla. Ore dopo, nel
marasma dei soccorsi, il padrone andò a vedere che ne
era del ciuco, e lo trovò vivo sessanta metri sotto.
Malfermo e con i denti rotti, ma incredibilmente in
piedi».
Torniamo a caccia dei luoghi sulla linea dell'Ofanto, e
intanto Livio ripesca dalla memoria le storie di quei
giorni in prima linea. Prodigi, coincidenze, salvataggi
funambolici, furbizie di speculatori, guerre di
resistenza al cemento. Storie di un'altra Irpinia, che
ha saputo uscire talvolta migliore dalla prova del
fuoco. Sant'Angelo dei Lombardi, sbarrata alle ruspe
dalla determinazione di un funzionario della
soprintendenza, Vito De Nicola, e oggi centro delizioso,
con castello medievale, chiesa madre e basilica
paleocristiana. Ca litri, in bilico su una frana
antichissima, con corso Matteotti piazzato sulla linea
di distacco dello smottamento e il resto del paese che
scivola di metri a ogni sisma, ma in modo così compatto
che tutti ci hanno fatto l'abitudine. E che dire del
destino di Caposele, nell'alta valle, uscita solo
malconcia dalla catastrofe e immediatamente condannata
dai geologi a un sommario abbattimento per via delle
faglie individuate sotto le case?
Qualcuno chiese delle verifiche, vennero i tecnici
triestini dell'Ogs, e presto si vide che le faglie
c'erano davvero, ma non erano attive, dunque il paese
poteva tranquillamente essere ricostruito nel vecchio
posto. Così Caposele si salvò, e per la contentezza il
sindaco offrì ai tecnici forestieri una delle cene più
memorabili dellaloro vita.
Un chiavistello, un lucchetto che si apre, ed ecco i
ruderi di Conza proibiti agli occhi degli uomini. Con
Livio e Vito De Nicola scendiamo come palombari nel
fondo dei secoli, fino al ciclopico basamento romano,
una solidità che ridicolizza tutto quello che è stato
costruito dopo. L'evidenza stratigrafica è sconvolgente.
Più si sale verso il recente, più la friabilità aumenta,
come se dopo l'Evo Antico nulla fosse stato più
costruito a rego la d'arte. De Nicola: «È come se la
distruzione aumentasse col rarefarsi della memoria delle
tecniche edilizia antiche».
Per quali misteriosi canali la Bestia colpisca un paese
e non un altro a poca distanza, è spesso un mistero.
Sirovich mostra una mappa della "microzonazione sismica"
dell'Irpinia, dove - a farla breve - si individuano i
punti dove è sensato costruire e quelli dove invece è
pericoloso farlo. «Ci sono aree proibite in partenza,
per esempio quelle su terreni soffici e sabbie che
possono fluidificarsi in certe condizioni. Ma spesso
tutto dipende da geometrie profondissime che fanno
concentrare diverse onde sismiche in un certo posto e
non in un altro. Un po' come uno specchio ustorio fa con
i raggi del sole». Ma lì ogni previsione è un temo
al lotto.
Tratto da La Repubblica, 19 agosto 2009, pag. 35. |