Massimo Troisi è stato un grande
attore, regista e cabarettista. Ha rappresentato con
la sua arte, personalità e simpatia il riscatto di
Napoli dagli anni del colera, riguadagnando
popolarità e centralismo artistico. Dovremmo
ricordarlo come l’Ultimo dei Napoletani,
perché finora nessuno è stato in grado di
raccoglierne il testimone. Ma forse lui non
vorrebbe, così anche noi ci aggrappiamo alla
speranza che il futuro ci riservi una nuova
generazione di grandi, come Eduardo. Come Massimo.
Nel 1996 fu candidato ai premi Oscar
come miglior attore e miglior sceneggiatura non
originale per il film Il postino. Scomparve
prematuramente, a quarantuno anni, per un fatale
attacco cardiaco, conseguente a febbri reumatiche di
cui soffriva sin dall'età di dodici anni. Da una
classifica stilata dalla federazione italiana
psicologi nel 1997, Massimo Troisi risultava essere
un mito per la maggior parte dei giovani.
L'infanzia e la
malattia cardiaca
Nacque il 19 febbraio 1953 a San
Giorgio a Cremano, cittadina alle porte di Napoli,
da Alfredo Troisi, macchinista ferroviario, e da
Elena Andinolfi, casalinga. Crebbe in una famiglia
molto numerosa; abitò infatti nella stessa casa con
i genitori, cinque fratelli, due nonni, gli zii e i
loro cinque figli. Troisi si diplomò geometra
all'Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri
"Eugenio Pantaleo" di Torre del Greco.
Contemporaneamente scrisse anche alcune poesie in
dialetto ispirate a Pasolini, il suo autore
preferito.
Nel 1972 a Troisi venne diagnosticata
un'anomalia cardiaca che lo obbligò, nel 1976, a
recarsi negli Stati Uniti per un intervento alla
valvola mitralica; alle spese del viaggio contribuì
una colletta organizzata, tra gli altri, dal
quotidiano di Napoli Il Mattino. L'operazione venne
eseguita a Houston dal professor Michael E. DeBakey
ed ebbe buon esito, tanto è vero che Troisi riprese
la sua carriera teatrale poco tempo dopo. Troisi non
amava parlare della sua malattia, tanto è vero che
solo i familiari e gli amici intimi erano a
conoscenza dei suoi problemi di salute.
I primi anni in
teatro
Troisi cominciò la sua carriera di
attore, dal 1969, nel teatro parrocchiale della
Chiesa di Sant'Anna insieme ad alcuni amici
d'infanzia (tra cui Lello Arena, Nico Mucci, Valeria
Pezza). Successivamente il gruppo affitterà un
garage in via San Giorgio Vecchio, 31 che verrà
chiamato Centro Teatro Spazio, dove verranno
rappresentati diversi spettacoli in stile
pulcinellesco, al quale si aggiunge una commedia
scritta dallo stesso Troisi: Si chiama Stellina.
Al gruppo si aggiungerà successivamente anche
Vincenzo Purcaro, che più tardi cambierà il suo
cognome in Decaro.
Dopo il ritorno di Troisi dagli Stati
Uniti, dove si era recato per l'intervento
chirurgico, il gruppo del Centro Teatro Spazio
si assottiglia e nasce quello de I Saraceni
che, oltre all'attore napoletano, comprende anche
Enzo Decaro e Lello Arena. In seguito il gruppo
cambierà definitivamente nome in La Smorfia,
voluto proprio dallo stesso Troisi in quanto
«è un riferimento, tipicamente
napoletano, a un certo modo di risolvere i propri
guai: giocando al Lotto, e sperando in un terno
secco... la "smorfia", infatti, non è altro che
l'interpretazione dei sogni e dei vari fatti
quotidiani, da tradurre in numeri da giocare a
lotto».
Dopo alcuni spettacoli al Teatro
Sancarluccio di Napoli, il gruppo ha un rapido
successo che gli consente di approdare prima al
cabaret romano La Chanson e ad altri
spettacoli comici in tutta Italia, poi alla
trasmissione radiofonica Cordialmente
insieme, e infine in televisione, dove il trio
partecipa ad alcuni programmi tra i quali Non
stop (1977), La sberla (1978) e Luna
Park (1979). L'ultimo spettacolo teatrale del
trio è Così è (se vi piace), citazione del
Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello.
Il successo al cinema
Dopo aver lasciato la Smorfia, Troisi
decise di intraprendere la carriera cinematografica.
Mauro Berardi gli propose un film di Luigi Magni,
’O Re, dedicato a re Francesco II di Borbone,
che lui però rifiutò in favore di Ricomincio da
tre, pellicola nella quale debuttò sia come
attore che come sceneggiatore e regista. Il film,
acclamato dalla critica, consentì a Troisi di
ottenere due Nastri d'argento per il miglior regista
esordiente e per il miglior soggetto e due David di
Donatello per il miglior film e per il miglior
attore.
Troisi
con Lello Arena in Scusate il ritardo
L'anno seguente accettò di dirigere
uno speciale televisivo trasmesso da Rai Tre per la
serie Che fai, ridi?, dedicato ai nuovi
comici italiani di inizio anni ottanta, Morto
Troisi, viva Troisi!, con Marco Messeri, Roberto
Benigni, Lello Arena e Carlo Verdone.
Sempre nel 1982, tornò a recitare al
fianco di Lello Arena nel film No grazie, il
caffè mi rende nervoso, nel quale un fanatico e
invasato difensore delle tradizioni napoletane
(pizza, sole e mandolino), cercando in tutti i modi
di impedire lo svolgimento del "Primo Festival Nuova
Napoli", simbolo della novità usurpatrice della
tradizione, finisce col provocare la morte di Troisi,
in un vicolo, dentro un organetto e con la pizza in
bocca. Di questo film sono da ricordare in
particolare i monologhi di Troisi nell'albergo, al
commissariato e dal giornalaio.
La successiva tappa della carriera
cinematografica è del 1983, con Scusate il
ritardo, nel quale il protagonista è simile nei
caratteri al Gaetano del film precedente, ma più
timido e impacciato; è incapace di consolare un suo
amico in crisi affettiva ma è a sua volta incapace
di amare la sua donna. Il titolo del film è un
riferimento sia al troppo tempo trascorso dal film
precedente, del 1981, sia ai diversi tempi
dell'amore e alla non sincronia dei rapporti di
coppia.
Troisi
con Paolo Bonacelli e Roberto Benigni in Non ci
resta che piangere
Altro grande successo di pubblico (ma
non di critica) lo ottenne nel 1984 con Non ci
resta che piangere, unico film a fianco di
Roberto Benigni, da lui molto lontano per lingua e
gestualità. Il film - basato su una trama elementare
- è ricco di citazioni storiche e rimane comunque
nell'immaginario collettivo per le invenzioni e le
gag di Troisi e Benigni. Mario (Troisi) e Saverio
(Benigni), trovato chiuso un passaggio a livello,
passano la notte in una locanda, ma la mattina
scoprono di essersi risvegliati a "Frittole", nel
1492. Devono adeguarsi alla vita dell'epoca pur
sperando di rientrare nel loro mondo. Fra le tante
gag è da menzionare la scena della scrittura di una
lettera a Girolamo Savonarola, chiara citazione
dell'analoga scena interpretata da Totò e Peppino De
Filippo in Totò, Peppino e... la malafemmina.
Inoltre, nel 1986 Troisi ebbe un
piccolo ruolo nel film diretto da Cinzia Torrini,
Hotel Colonial, girato in Colombia, nel quale
tenta la carta del cast internazionale. Troisi
interpreta un traghettatore napoletano emigrato in
Sudamerica che aiuta il protagonista nella ricerca
del fratello.
Nel 1987 fu attore e regista in Le
vie del Signore sono finite, ambientato durante
il periodo fascista; interpretò il ruolo di Camillo
Pianese, un invalido "psicosomatico", assistito dal
fratello Leone (l'inseparabile amico di sempre Marco
Messeri), lasciato dalla sua donna e che si trova a
consolare un suo amico, malato autentico e
innamorato della stessa donna senza essere
ricambiato. Il film vinse il Nastro d'argento alla
migliore sceneggiatura.
Nel triennio seguente collaborò come
attore con Ettore Scola in tre film, i primi due con
Marcello Mastroianni: Splendor (1988), in cui è
proiezionista di un cinema prossimo alla chiusura;
Che ora è? (1989), sui rapporti conflittuali tra
padre e figlio, per il quale venne premiato con la
Coppa Volpi per la migliore interpretazione
maschile, ex aequo con Mastroianni, alla Mostra del
Cinema di Venezia; e Il viaggio di Capitan Fracassa
(1990), dove interpretò Pulcinella, presentato in
anteprima alla 41ª edizione al "Berlin International
Film Festival".
L'ultima regia di Troisi, dove è
anche sceneggiatore e protagonista, è quella di
Pensavo fosse amore... invece era un calesse del
1991, con Francesca Neri e Marco Messeri.
Il postino
e la morte prematura
«Ed è stata
un'esperienza umana grandissima, perché lui stava
male e ha voluto fare questo film a tutti costi:
tutti gli dicevano "ma dai, fai il trapianto e poi
lo farai", e lui diceva "No, questo film lo voglio
fare con il mio cuore". [...] E poi questo film è il
suo testamento morale.»
(Renato Scarpa su Massimo Troisi)
L'abitazione del poeta Pablo Neruda.
A detta del padrone dell'abitazione, Pippo Cafarella,
fu proprio Troisi a proporre alla produzione questo
luogo come set del film.
All'inizio del 1994 Troisi, recatosi
ancora una volta negli Stati Uniti per dei controlli
cardiaci, apprese di dover sottoporsi con urgenza a
un nuovo intervento chirurgico, ma decise di non
rimandare le riprese del suo nuovo film: Il
postino (1994), girato a Procida e Salina e
diretto da Michael Radford, liberamente tratto dal
romanzo Il postino di Neruda di Antonio Skármeta,
che tratta dell'amicizia tra un umile portalettere e
Pablo Neruda (Philippe Noiret) durante l'esilio del
poeta cileno in Italia. Troisi riuscì a terminare le
riprese del film con enorme fatica e con il cuore
stremato, facendosi sostituire in alcune scene da
una controfigura.
Troisi morì nel sonno, nella casa
della sorella Annamaria e in compagnia del suo più
grande amico sin dall'infanzia, Alfredo Cozzolino,
ad Ostia, quartiere marino di Roma, per attacco
cardiaco, il 4 giugno 1994, 12 ore dopo aver
terminato le riprese de Il postino.
Due anni dopo la morte di Troisi,
Il postino venne candidato a cinque Premi Oscar
(tra cui Troisi come miglior attore, il quarto di
sempre a ricevere una nomination per l'Oscar
postumo), ma delle cinque nomination si concretizzò
solo quella per la migliore colonna sonora (scritta
da Luis Bacalov).
La critica
Troisi, nel corso della sua carriera,
è stato accolto in maniera favorevole da gran parte
della critica cinematografica italiana, ma anche
internazionale. Già il suo primo film, Ricomincio da
tre, ricevette grandi consensi da parte della
critica, con particolare attenzione per lo stesso
Troisi, che venne definito a quel tempo come il
"salvatore del cinema italiano", allora ritenuto in
crisi. Inoltre, già all'uscita di Ricomincio da tre,
Troisi venne paragonato a Totò e a Eduardo de
Filippo, paragone che con franchezza egli così
commentò: «No, a me sembra
anche irriverente fare questo paragone. Ma non lo
dico per modestia, perché non si fa il paragone con
Totò o con Eduardo, questa è gente che è stata
trenta-quaranta anni e quindi ci ha lasciato un
patrimonio.»
Il secondo film, Scusate il
ritardo, è stato definito dalla critica italiana
come "l'opera migliore dell'autore partenopeo".
Antonio Tricomi su "Cinemasessanta" del 1983
scrisse: «Ancora una volta Troisi ha saputo
cogliere gli umori della sua generazione, passata
dalle aperture utopistiche ad un sedentarismo
domestico e claustrofobico, dalla foga contestataria
fino ad un'insofferenza flebile e diffusa, dai miti
della rivoluzione sessuale ad una paralizzante
insicurezza nei confronti delle donne». L'unico
insuccesso è il film con Benigni, Non ci resta
che piangere, il quale venne accolto
tiepidamente dalla critica, nonostante il
grandissimo successo al botteghino. Troisi apparve
successivamente in Il viaggio di Capitan Fracassa
nel ruolo di Pulcinella, personaggio paragonato
spesso a Troisi per la comicità, per l'uso del
dialetto, ma anche per l'aspetto e il modo di
recitare. Roberto Vecchioni, in un'intervista a Vite
straordinarie, ha definito Troisi un "Pulcinella
moderno".
«Massimo è
Pulcinella senza maschera. A parte che Pulcinella è
stato, nel pieno del suo vigore, della sua vita
centrale, censurato, e ha operato lo stesso senza
maschera. Per me Troisi rappresenta il Pulcinella
che porta. Poiché Pulcinella è stato internazionale,
Pulcinella è stato francese, Pulcinella è stato
inglese, Pulcinella ha superato il Volturno. Massimo
ha fatto la stessa cosa, l'unico napoletano con la
napoletanità che ha superato il Volturno, quindi per
me rappresenta un'ultima possibilità che abbiamo
avuto, da un punto di vista teatrale e
cinematografico, di superare, di uscire dallo
stereotipo della napoletanità, fine a se stessa.»
(Federico Salvatore)
Probabilmente il maggiore successo di
Troisi è Il postino, il suo ultimo film.
L'attore ricevette ottime critiche da moltissimi
attori internazionali, tra i quali Sean Connery, che
rivelò che gli «avrebbe fatto piacere girare un
film con Troisi», e inoltre ottenne anche
numerose recensioni favorevoli da giornali
americani, come The Washington Times («Il Postino
rappresenta quel trionfo internazionale che Troisi
sperava di avere e che non ha fatto in tempo a
godersi») e anche The New York Times («Troisi
dà al suo personaggio una verità e una semplicità
che significa tutto»).
La questione della
lingua
Nella sua carriera teatrale e
cinematografica, Troisi ha sempre parlato con la sua
lingua napoletana. La parlata di Troisi è come una
"lingua confidenziale", con la quale l'attore
napoletano si sentiva a suo agio. Agli esordi Troisi
non ritenne prioritaria la questione della
comprensibilità e perciò continuò a parlare
unicamente in napoletano.
Nonostante in quel periodo la parlata
dell'attore suscitasse immediatamente attenzione
nella cinematografia italiana, in quanto gli
elementi dialettali venivano proposti con
intransigenza ed estremismo, Troisi non se ne curò
molto e affermò più volte, nel corso di interviste o
apparizioni televisive, di saper parlare unicamente
il suo dialetto. Ad esempio si ricorda l'intervista
per Mixer di Isabella Rossellini, nella quale la
giornalista chiese a Troisi «Ma perché parli
sempre in napoletano?» ricevendo da quest'ultimo
la risposta: «Perché è l'unico modo in cui so
parlare». In seguito, Troisi ebbe l'urgenza di
voler comunicare anche a un pubblico maggiore e per
questo la presenza del dialetto dai suoi film dopo
Scusate il ritardo si affievolisce Troisi,
quindi, realizza una lingua "italiana popolare", ma
comunque ricca di venature dialettali.