Note sull'artista
“[…] Livio Marino presenta dodici
busti di terracotta, nei quali ritrae se stesso, in atteggiamento fermo e
autorevole, con impietosa descrizione dei propri difetti, dalle rughe che
incidono la fronte ai capillari spezzati nella zona orbitale. Sono i segni
del tempo, della fatica, della passione, che l’artista ha voluto registrare
fedelmente, senza nulla concedere alle lusinghe di un’appagante
idealizzazione. Il verismo della resa ci riporta ai capolavori della
ritrattistica romana, come il rude Ritratto di Patrizio di collezione
Torlonia, che vuole testimoniare, nelle profonde rughe e nell’espressione
ferma degli occhi, l’orgoglio di aver ottenuto la stima sociale attraverso
una dura vita di servizio alla repubblica. Ma l’autoritratto di Livio
Marino, moltiplicato come un prodotto seriale e ossessivamente riproposto in
rigorose composizioni geometriche, sembra perdere la sua identità,
suscitando una drammatica riflessione sulla negazione dell’io nel contesto
alienante e omologante della società globalizzata. Ogni autoritratto è
inserito in una gabbia di ferro senza chiavi né serrature, che sembra
evocare quelle prigioni, come lo Spielberg o Guantanamo, da cui non si esce
se non dopo la morte. Ma anche la società in cui viviamo, nonostante lo
spettro deformante dei mass-media, appare all’artista come una prigione
trasparente, che offende l’individuo e la sua creatività“.
[Marco di Mauro]
Tratto da "“Espressioni a
confronto”, Museo Minimo, Napoli 15 marzo al 15 aprile 2009. |