Questa canzone ci permette
di fare la conoscenza con uno dei più straordinari e fortunati
autori di musiche per canzoni napoletane: Salvatore Gambardella. È
questi un «fischiatore» cioè uno di quegli autori che, non avendo
alcuna cognizione musicale, creano le loro canzoni con il fischio e,
sempre con il fischio, fanno ascoltare il motivo da loro creato ad
un trascrittore in modo che questi (di mestiere) provveda ad
annotarlo sul pentagramma. Alcuni biografi dicono che egli avesse
imparato a suonare ad orecchio il mandolino e che si servisse di
questo strumento per comporre le sue canzoni. Fatto sta che egli
appare baciato dalla dea della musica, la sua mente sembra possedere
per la canzone un virtuosismo compositivo innato (certo nei limiti
della mancanza di competenze tecniche). La musica più che nel
cervello, Gambardella l’ha nel sangue, nel suo sangue di scugnizzo
napoletano, allegro, malinconico, impertinente, beffardo, simpatico,
positivo, pieno di voglia di vivere, capace esprimere in musica la
più devastante arma mai inventata dall’uomo: la pernacchia. Per la
canzone napoletana egli rappresenta, dopo Di Giacomo e Costa, una
pietra miliare della sua storia, un vero e proprio miracolo
musicale, un talento naturale capace di lasciare ai posteri alcune
tra le più belle canzoni napoletane di tutti i tempi: ’O
marenariello, Furturella, Pusilleco addiruso,
Comme facette mammeta?, Lilì Kangy, Ninì Tirabusciò,
... La leggenda vuole che riuscisse a sorprendere con una sua
canzone, Furturella, perfino il grande compositore Giacomo
Puccini incredulo che un orecchiante potesse essere in grado di
concepire la lunga scala cromatica discendente presente in tale
canzone. La stessa leggenda vuole che Puccini regalasse a
Gambardella un pianoforte per incoraggiarlo a studiare.
Gambardella appare capace di
incarnare lo spirito che anima la Belle Époque ed il Café
Chantant (Lilì Kangy, Ninì Tirabusciò, ...),
esprimendo la voglia di divertimento di quegli anni con una musica
scoppiettante, maliziosa, dispettosa, deliziosa: un vero uragano di
allegria (Albergo ’e ll’allegria!, Comme facette mammeta?,
Furturella, Guì! guì!, Ll’arte d’’o sole,
Tarantella d’’e vase, ’O pizzaiuolo nuovo, Pusilleco
addiruso, Quanno mammeta nun ce sta, ...), fino a
spingersi a disegnare i “tipi” propri della macchietta (Don
Carluccio, Fra’ Brasciola, Madama Chichierchia,
...). Ma egli è capace di eccellere pure nelle canzoni di stampo più
tradizionale (’E trezze ’e Carulina, Serenata a Surriento,
...) ed in quelle di carattere malinconico (Quanno tramonta ’o
sole, ...). Mai si potrebbe pensare, ascoltando la semplicità,
la purezza della linea melodica, l’eleganza, l’equilibrio, la
perfezione di ’O marenariello, che questa possa essere stata
composta da un dilettante. Un brillante diplomato al conservatorio
non avrebbe saputo fare niente di meglio! Dal punto di vista
musicale senza ombra di dubbio ’O marenariello è la più bella
canzone napoletana mai scritta da un orecchiante. E a partire da
questo brano e per tutto il resto della sua breve vita, Gambardella
dominerà la scena canzonettistica partenopea collaborando con i più
importanti autori del suo tempo: Di Giacomo, F. Russo, Capurro, R.
Galdieri, E. Murolo, Cinquegrana, Califano, Capaldo, Ferraro Correra,
Guarino, Irace, V. Russo.
’O marenariello
è una canzone del 1893 su versi di Gennaro Ottaviano e musica, come
abbiamo visto, di Salvatore Gambardella. Il testo è il seguente.
I
Oje ne’, fa prieste, viene,
nun me fa spantecà,
ca pure ’a rezza vene
c’’a mmare sto a menà.
Meh, stienne sti braccelle
aiutame a tirà,
ca stu marenariello
te vo semp’abbraccià.
Vicin’’o mare,
facimme ’ammore,
a core a core
pe ce spassà.
So marenare
e tiro ’a rezza;
ma p’allerezza
stong’a murì.
II
Vide che sbatte l’onne
comme stu core ccà...
De lacreme te nfonne
ca ’o faie annammurà.
Viene, nterr’’a st’arena
nci’ avimma recrià;
che scenne la Serena
i’ po’ stong’’a cantà.
Vicin’’o mare,
facimme ’ammore,
a core a core
pe ce spassà.
So marenare
e tiro ’a rezza;
ma p’allerezza
stong’a murì.
III
Oie ne’ i’ tir’’a rezza
e tu statt’’a guardà,
li pisce p’’a priezza
comme stann’’a zumpà.
E vide, pur’’e stelle
tu faie annammurà,
ca stu marenariello
tu faie suspirà.
Vicin’’o mare,
facimme ’ammore,
a core a core
pe ce spassà.
So marenare
e tiro ’a rezza;
ma p’allerezza
stong’a murì.
Con questa canzone si ripete
una situazione simile a quella creatasi con Santa Lucia: la
qualità della melodia è nettamente superiore a quella dei versi o,
meglio, i versi sono di qualità così scadente da non reggere alcun
confronto. Ma le similitudini fra le due canzoni non si limitano
solo a questo: per entrambe, infatti, esiste un altro testo: nel
caso di Santa
Lucia
è poco conosciuto,
nel caso
di ’O marenariello è quasi introvabile. Se accettiamo la tesi
di Maria Luisa Stazio secondo la
quale, per la canzone napoletana, la creazione di mitologie fa parte
integrante del suo sistema di produzione
possiamo concludere che anche per la canzone che stiamo esaminando
sono state create ad arte delle leggende.
Secondo una di queste, Gennarino Ottaviano
(1874-1936), diciannovenne garzone di vinaio e modesto
verseggiatore, si reca un giorno alla bottega del fabbro ferraio di
Vincenzo Di Chiara per farsi musicare dei versi che ha scritto. Di
Chiara è
noto a
Napoli per aver musicato canzoni di un certo successo (Rosa
rusella, ’A vongola,
Catarì, ...) e molte altre ne musicherà in seguito (’E tre
chiuove, ’E cataplaseme, ’E zzite cuntignose,
Quanno ll’ommo va a marcià, La spagnola, Popolo...
pò..., ...) e perciò, la sua officina è frequentata da quanti
sperano di entrare nel mondo canzonettistico. Ma quando il nostro
giovane paroliere (chiamarlo poeta sarebbe troppo!) si reca in
bottega non trova il proprietario. C’è, invece, un garzone, il
ventiduenne Salvatore Gambardella, che si offre di musicare cioè i
versi. La leggenda continua dicendo che la musica viene composta su
due piedi ed il giorno dopo presentata al maestro Raimondo Rossi,
direttore dell’orchestra del Teatro Nuovo Politeama e cantata quella
sera stessa da Emilia Persico.
È evidente che questa
storiella non tiene conto del fatto che Gambardella non sa scrivere
la musica e che per presentare la canzone al maestro Rossi ha
bisogno non solo di uno spartito, ma anche, presumibilmente,
dell’orchestrazione, cose difficili da ottenere su due piedi da
qualche trascrittore di musica.
Un’altra versione dello stesso mito viene
raccontata da P. Ricci secondo il quale Gambardella, ricevuto il
foglio con i versi, impiega tutta la notte, passeggiando vicino al
mare per trovare l’ispirazione per la musica. Realizzata la melodia,
la fa sentire al "professore" Trombella il quale la trascrive sul
pentagramma dietro compenso di una lira. Del lancio della canzone si
occupa Vittorio Fassone amico di Gambardella e proprietario di una
fabbrica di "pianini napoletani",
nonché geniale musicista ed autore di splendide canzoni (’O
giuramento, ’A tazza ’e cafè, ’Ncopp’a ll’onna,
...). La premiere del brano avviene, con grande successo, al
"Caffè del Commercio" per opera di un artista detto l’Olandese.
Fassone, inoltre, provvede a "trascrivere" la canzone per il rullo
del pianino,
cioè per il più straordinario mezzo promozionale al momento
disponibile.
Mancando un editore disposto
a dare fiducia al giovane sconosciuto Gambardella, la canzone viene
stampata in proprio presso una piccola tipografia a via Nilo. Ne
vengono stampate, in due fasi, 1500 copie. In seguito l’editore
Bideri scommette sul giovane compositore e pubblica la sua canzone
sul supplemento musicale della rivista "La Tavola rotonda".
Questa versione del mito sembra più
credibile della prima, se non che esiste ancora un’altra leggenda
che vuole quale primo autore dei versi della canzone il picaresco
verseggiatore popolare Diodato Del Gaizo.
È costui che si reca nel 1893 alla bottega dove presta opera il
garzone Gambardella. I versi da musicare hanno titolo ’O Mare e
ba! e sono questi che ispireranno la musica che accompagna ’O
marenariello. Successivamente questo testo verrà sostituito da
quello di Gennaro Ottaviano.
Questa storia sembra più verosimile delle
precedenti un po’ perché Del Gaizo e Gambardella si conoscono ed è
frequente la collaborazione tra loro,
poi perché nella Biblioteca musicale governativa del
Conservatorio di musica S. Cecilia di Roma è conservato lo
spartito di ’O mare e ba! (musica di Gambardella) con la
dedica sul frontespizio al baritono Gennaro Olandese recante la data
1893 (Editore Maddaloni). Questo sparito seppure non prova la
primogenitura di questa versione della canzone quantomeno ci indica
una quasi contemporaneità fra i due testi e ci porta a pensare che
un editore del calibro di Bideri probabilmente non avrebbe tollerato
che una canzone di sua proprietà e di tanto successo potesse essere
plagiata. Anzi a recriminare
sul
plagio è proprio Del Gaizo che rivendicherà sempre la canzone come
sua.
Ma a
tagliare la testa al toro in favore di quest’ultima versione del
mito è proprio l’editore Bideri con un album di 25 spartiti per
piano edito nel 1957 dagli eredi di Ferdinando Bideri dal titolo
Canzoni Celebri di Salvatore Gambardella – una vita per la
canzone – Vol I. In questo album (che io di rado apro per non
danneggiarlo, visto il cattivo stato di conservazione della carta) a
pag. 3 è inserito il seguente box (che trascrivo integralmente):
Il numero
33 de «La Tavola Rotonda», 6 agosto 1893, pubblicava la canzone del
Del Gaizo, affiancata da quella dell’Ottaviano. Sotto il pentagramma
figuravano versi di ’O mare e ba’ !. Ma questa canzone,
precedente l’altra, non ebbe successo, quello che invece incontrò
’O marenariello, i versi del quale adattàtivi quasi
contemporaneamente, rimasero in definitiva legati alla celebrità
della musica di Gambardella.
’O mare e ba’!...
Versi di DIODATO DEL
GAIZO
1.
Cuncè, mmiez’’a stu mare
putimmo pazzià
e ciento cose care
te voglio
raccuntà.
Dinto a
stu vuzzariello
nisciuno
vedarrà
si
quacche carezziello
i’ te
vulesse fa.
Mo ca stu mare
nce cunnulea
i’ me recreo
vicino a tte!
Cu sta chitarra,
Cuncè,
sunammo
e po’
cantammo:
“ ’O mare
e ba’ ! „
2.
’E stelle a una a una
e sto sentenno ’e di’,
ca bella cchiù d’’a luna
Cuncetta mia tu sì.
’O ssape
sulo Dio
sentenno
chesto ccà,
int’ a
stu core mio
stasera
che nce stà.
Mo ca stu mare, etc. etc.
3.
’O suonno, nenna bella
nun me fa
cchiù capì,
sotto a
sta capannella
mettimmece a durmì.
Guarda, faccella tonna;
stu mare che te fa ?
nce sta cantanno ’a nonna
pe nun nce fa scetà !
Mo ca stu mare, etc. etc.
Come si vede anche per
’O mare e ba’!
abbiamo un testo poetico dillettantesco, forse un po’ meno
sconclusionato di ’O marenariello, ma sicuramente sullo
stesso livello qualitativo. Forse il fatto di aver dovuto costruire
dei versi su una musica preesistente potrebbe
rappresentare per Ottaviano
un’attenuante per il risultato conseguito.
Viene,
comunque, da chiedersi dove si siano documentati tanti storici e
tanti critici della canzone napoletana che raccontano la favola del
garzone di vinaio che si reca alla ferramenta di Vincenzo Di Chiara!
Uno spirito smaliziato potrebbe pensare che ad alimentare leggende
come questa ci sia lo zampino dell’editore musicale, se non
addirittura che sia proprio questo ad architettare tali miti.
A
questo punto, prima di entrare nell’esame della canzone sarà
opportuno fare una considerazione: i brani in questo quarto album
della Napoletana fin qui esaminati, con l’eccezione di
Funiculì
funiculà,
hanno una solida e ben inspirata base poetica tanto da essere
identificate comunemente con l’autore dei versi e non con quello
della musica. Con le composizioni di Gambardella, invece, il più
delle volte, il testo poetico è poca cosa se non addirittura
qualcosa da dimenticare come nel caso di ’O marenariello. La
canzoni di Gambardella, alcune delle quali veri e propri capolavori,
per la maggior parte hanno di bello solo la componente musicale.
Orbene, nell’atto creativo non sempre Gambardella sviluppa la
melodia in funzione dei sentimenti espressi nel testo verbale e
forse egli non ha nemmeno la necessaria preparazione per farlo. Le
sue canzoni, in qualche modo, anticipano una tendenza moderna che
vede quasi sempre la musica precedere il testo verbale che poi un
"paroliere" provvederà ad adattare alla melodia. Con questo non si
vuol dire che il nostro autore componga la musica senza disporre del
testo poetico ma semplicemente che la melodia ha spesso una vita
indipendente dai versi.
Comunque,
visto le carenze del testo poetico, dobbiamo ritenere il risultato
conseguito con la musica come un miracolo di Gambardella, capace, su
versi mediocri, a tratti privi perfino di senso logico, di dare vita
a uno splendido idillio marino.
È, però,
qui opportuno osservare
che l’idillio ha come requisito essenziale la rimozione della
percezione temporale, l’idillio cioè vive in un attimo senza tempo
proiettato in un presente che esclude l’esistenza simultanea di un
passato e di un futuro: la rivisitazione del passato è, infatti, un
rischio per lo stato di beatitudine che si sta vivendo come lo è il
futuro visto quale ripetizione del passato ovvero come possibilità
di sperimentare solo possibilità già date. Perciò, nonostante
l’inconsistenza dei versi, Gambardella può comunque realizzare con
’O marenariello un insuperato idillio, coinvolgendo
l’ascoltatore nell’incanto dell’ambiente marino, dove va a cogliere
l’attimo per trasformarlo in emozione, riuscendo a trasfigurare
perfino un’affermazione scialba come Vicin’ô mare, / facimmo
’ammore, nell’incanto amoroso, nella sospensione del tempo,
nella gioia di vivere, negli elementi stessi della natura: la musica
della risacca, il
profumo
delle alghe, la brezza marina, il dolce cullare delle onde. Il mare
evocato dalla melodia, è sinfonia di onde, magia incantatrice, canto
profondo e disteso.
La
composizione, una meravigliosa
barcarola, su movimento andante in tempo di 6/8,
ci immerge in una dimensione
arcadica ricca di liquescenze sonore,
richiamando il movimento cullante di una barca, lo sciabordio delle
onde, la profondità del mare, la sfumatura dei tramonti, il ritmo
quasi di un carezzevole respiro.
Il delicato
profilo
melodico, focalizza subito i due nuclei tematici intorno ai quali
essa è costruita:
il tema del mare e quello dell’amore. Il richiamo a distesa del
giovane pescatore all’amata (Oje ne’, fa prieste, viene)
appare come una chiazza sonora, una pennellata di colore in cui
respira insieme al soffio vitale del protagonista tutta la maestà
del mare, lo scintillio degli spruzzi dei flutti sugli scogli.
Questa intensa frase d’apertura, sapida della freschezza delle
alghe, ha destato l’ammirazione perfino di un grande compositore
come Pietro Mascagni che l’ha
ritenuta “degna di Beethoven”. Ma tutta la composizione è di una
qualità, di una eleganza e di una perfezione incredibile per essere
opera di un semplice orecchiante. Il delicato e cullante motivo è
semplice ma adatto a far da eco al canto pacato e affettuoso del
protagonista: il canto suadente, ora
piano ora mezzo forte,
ad un tempo gioioso e malinconico,
germoglia sulle note di una melodia perfetta nello stile e nella
misura e di un equilibrio perfetto anche per una composizione
classica, e che sembra affondare le proprie radici nei più riposti
sentimenti dell’anima napoletana, o, meglio, della componente
borghese
di quest’anima, sentimenti riconducibili a quell’antica disposizione
psicologica che si suole indicare come «solare».
La delicata tessitura orchestrale,
tutta raccolta in sonorità
contenute, fino ad esprimersi a tratti in un
«pianissimo»,
si muove in una straordinaria gioia in una specie di lirismo
radioso, mai languido, ma pacato e robusto proiettando l’ascoltatore
in un mondo di serenità, di abbandono, di passione, fuori dello
spazio e del tempo, in cui i sensi, catturati e stimolati, riescono
a “gustare” ed “assimilare” ogni suono che li accarezza e, in una
sorta di
"contaminazione" della percezione,
per stupore e incanto, si perdono nei profumi e nella magica
evocazione del canto del mare.
La limpidezza della struttura è uno degli esiti più interessanti di
questo piccolo miracolo musicale che si rende
interprete di un quid che si nutre di stupore e di curiosità per un
incanto che sospende il tempo poiché il bello produce meraviglia e
distacco dall’ordinario.
Questo sviluppo melodico
fluido, che enfatizza le
suggestioni del brano,
evolve, quindi, in un ritornello «animato» che rivela la
grande creatività di Gambardella,
creatività che unita ad una non comune sensibilità fanno di questa
sezione della barcarola una pagina musicale estremamente
coinvolgente.
Ma la
melodia si mantiene unitaria e, stimolando le più profonde corde
interiori, suggerisce atmosfere di incantamento ma anche stati
emozionali di grande energia del cuore.
Tanta capacità di
definizione del tema rende perciò, ’O marenariello una
barcarola di più immediata presa rispetto ad altre pur belle
prodotte a Napoli in quegli anni e nei successivi.
La canzone, dedicata al
tenore Fernando De Lucia, ha riscosso consensi anche all’estero: la
versione con il testo in francese Le jeune Pecheur ha avuto
un larghissima diffusione. Questo enorme successo l’ha fatta
inserire nel repertorio di numerosissimi interpreti: tra questi
alcuni tenori di fama internazionale (Andrea Bocelli, Jose’
Carreras, Luciano Pavarotti, Placido Domingo, Franco Corelli,
Fernando De Lucia, Giuseppe Di Stefano, Tito Schipa), ottimi
cantanti lirici (Gino Bechi, Enzo De Muro Lomanto, Giuseppe Krismer,
Marko Lampas, Muslim Magomaev, Maria Ausilia D’Antona, Giovanni
Assante, Franco Capaldo, Francesco Daddi, ...) quasi tutti i big
della canzone classica napoletana del secolo scorso (Sergio Bruni,
Fausto Cigliano, Aurelio Fierro, Nunzio Gallo, Roberto Murolo,
Giacomo Rondinella, Mario Trevi, Bruno Venturini, Lino Mattera,
Mirna Doris, Claudio Villa, ...), cantanti di grande successo
(Massimo Ranieri, Peppino Di Capri, Consiglia Licciardi, Maria
Nazionale, NCCP, Renzo Arbore, Giulietta Sacco, Mario Da Vinci,
Giuseppe Godono, Miranda Martino, Tullio Pane, Vittorio Parisi,
Ferdinando Rubino, Gabriele Vanorio, Piero Nigido, Franco Nico, Enzo
Di Domenico, Mario Maglione, Leopoldo Mastelloni, Mauro Nardi, Enzo
Romagnoli, Carmelo Zappulla, Angelo Dei Visconti, ...), grandi
stelle internazionali (Frank Sinatra, Dean Martin, Perry Como, Vic
Damone, Karel Gott, Junko Matsumoto, ...), interpreti con repertorio
non propriamente napoletano (Carlo Buti, Al Bano, Fred Bongusto,
Irene Fargo, Il giardino dei semplici, Gianni Morandi, Nilla Pizzi,
Giorgio Consolini, Mia Martini, Nini Rosso, Peter Van Wood, ...) e
un numero incalcolabile di cantanti meno famosi.
Tra tutti quelli che hanno
inciso la canzone merita una citazione particolare il posteggiatore
Pietro Mazzone, ’O romano (cfr. pag. 99), l’unico tra quelli
dell’Ottocento (nasce nel 1868) che abbia potuto incidere dischi.
’O romano, che ha la barcarola come genere musicale preferito, è
il primo (e forse l’unico) cantante a registrare ’O Mare e ba’!,
la variante della canzone con i versi di Diodato Del Gaizo.
Note
esempi in questo senso ve ne sono diversi: da Salvator Rosa
presunto autore di Michelemmà, a Bellini e Rossini
compositori inconsapevoli di Fenesta ca lucive, da
Donizetti indiziato per Te voglio bene assaie a
Raffaele Sacco che si affaccia al balcone per ricevere gli
applausi dei presenti in strada per la sua creazione, a
Turco e Denza che incontrandosi in un albergo scrivono in
poche ore Funiculì funiculà, a Di Giacomo che canta
Marechiaro senza conoscerla, a Tosti che plagia il
motivo di un posteggiatore, a d’Annunzio che compone ’A
vucchella per scommessa, ...
Nasce a Napoli nel 1874. È ricordato esclusivamente per la
canzone ’O marenariello e per le polemiche che ne
sono seguite per l’accusa di plagio mossagli. Compone anche
altri versi per musica, ma nessuna altra sua canzone
raggiungerà il successo di questa. Apre un negozio di vini
attivo per anni in via Maddalena e successivamente tenta
anche di fare l’editore musicale, ma senza successo. Oltre a
’O marrenariello scrive ’O paese ’e Maria,
Tu lieve ’o quadro e ’i levo ’o chiuovo. Muore nel 1936.
Con il nome di pianino napoletano si indica un piano
meccanico verticale a rullo. In esso il rullo messo in
rotazione da una manovella, causa l’azione dei martelletti
sulle corde con il risultato di riprodurre una melodia. Il
pianino, trainato a braccia (quasi sempre) oppure da un
asino (raramente), prospera soprattutto in Italia, Francia,
Belgio e Olanda, ma ha a Napoli il suo maggior splendore. Il
suonatore di pianino, in giro per la città, viene sempre
accompagnato da un aiutante, ’o guaglione ’e pianino,
che ha il compito di sovrapporre la sua voce alla musica
dello strumento, di vendere le copielle con i testi
delle canzoni oltre che di mendicare. L’ampia diffusione di
cui lo strumento gode a cavallo dei due secoli (XIX e XX),
coincide in gran parte con il dramma dell’emigrazione: le
melodie del pianino portano alla memoria degli emigrati la
patria lontana ed evocano ricordi. Si potrebbe quasi dire
che quanto lo strumento prende da quella povera gente, in
forma di angoscia e solitudine, restituisce in forme sonore
che richiamano legami lontani.
Il pianino è
espressione di una sensibilità schiettamente popolare quanto
profondamente emotiva. Esso rappresenta una delle più
sentite e durevoli manifestazioni di gusto musicale en
plain air.
Il pianino rappresenta a Napoli non solo un’attività
economica (seppure di nicchia, di pura sopravvivenza) ma
anche e soprattutto un’importante mezzo di diffusione della
canzone napoletana. La nascente industria canora sfrutta,
infatti, a volte in modo anche pionieristico, tutti i mezzi
mediatici disponibili. All’inizio trova solo i giornali, i
posteggiatori, i manifesti e i pianini, ma poi aggiunge, via
via che vengono sviluppati, il grammofono, la radio e il
cinematografo.
Diodato del Gaizo è un personaggio così particolare e così
poco conosciuto che vale la pena di spendere qualche parola
su di lui prima di andare avanti.
Del Gaizo, monaco,
autore di canzoni e verseggiatore, ma completamente
analfabeta, nasce a Napoli il 7 luglio 1868 da un’umile
famiglia. Giovanissimo indossa il saio e gli viene affidato
l’incarico di monaco questuante. In giro per le strade di
Napoli rivela ben presto una personalità molto singolare:
porta, infatti, con sé un inseparabile pianino, compone
poesie (che qualcuno gli trascrive, visto il suo
analfabetismo) e si adopera tanto da raggiungere una certa
notorietà con il soprannome di Fra’ Diurato ’o piccerillo
(Frate Diodato il piccolino). Il personaggio è anomalo,
anticonformista, forse anche, diremmo oggi, un po’ schizzato
per la società nella quale vive e produce: quella società
fondamentalmente bigotta dell’epoca Umbertina. È un poeta
della plebe, senza istruzione ma capace di versi efficaci
per il suo pubblico, le classi popolari. La sua mansione di
monaco girovago lo mette in contatto con posteggiatori,
cantastorie e suonatori ambulanti, personaggi ai quali
ricorre per far circolare le sue composizioni, poesie che ha
provveduto a farsi musicare.
Dopo alcuni anni da
frate girovago-musicale abbandona la tonaca e diventa
musicista ambulante e diffusore delle proprie canzoni
vivendo del ricavato della vendita delle copielle coi
versi e la musica.
Del Gaizo, oltre che
autore di canzoni, è anche creatore delle cosiddette
“canzoni a risposta”, che sono una specie di sequel
di canzoni di successo oppure una loro parodia che ne lascia
inalterata la musica. Ma egli è anche un abile
rimaneggiatore di testi di canzoni altrui pescando tra
quelle che non hanno avuto successo.
Le canzoni di
Diodato Del Gaizo, dalla forma estremamente semplice, sono
dirette al sottoproletariato urbano e trattano spesso di
carcerati o delle sciagurate spedizioni militari in Cina e
Africa Orientale. Ma egli oltre che essere un cantatore di
strada girovago sa essere anche un cantastorie. Il suo
repertorio è composto da storie colpiscono la fantasia
popolare come truci fatti di cronaca nera o avventure
guerresche. Suo personaggio preferito in questo genere è il
Brigante Musolino per il quale crea un ciclo di
almeno cinque composizioni.
La canzone ’O
marenariello fa nascere una lunga diatriba poiché Del
Gaizo contesta a Ottaviano di averlo plagiato: il testo
originale della canzone è il suo. Purtroppo per lui, non
riesce a ricavare niente. È un’amarezza questa che si somma
all’estrema povertà in cui vive oltre che a dei guai
giudiziari. Viene, infatti, trascinato in Tribunale da
alcuni benpensanti che lo accusano di aver scritto canzoni
volgari ed oscene: Oi ma’, i’ voglio ’o lazzo!,
’A cestunia ’e Cuncettella (La "passera"
di Concettina), e simili. Il processo ha un epilogo a dir
poco paradossale: l’imputato viene assolto dall’accusa di
aver scritto versi osceni in quanto non sa scrivere, è
analfabeta!
Muore in miseria
all’età di 75 anni in una modesta casa del quartiere
Mercato; le sue spoglie finiscono in una fossa comune al
cimitero di Poggioreale.
Ha lasciato oltre
300 canzoni molte conservate in varie biblioteche italiane
(a Roma, Milano, Napoli, Genova, ...). I suoi versi sono
stati musicati oltre che da Gambardella, anche da Capolongo,
Montagna, Fragna, Fanti, Giannelli, Corvino, De Luca,
Capaldo, ecc. per citare solo i nomi più noti. Addirittura
Del Gaizo ha composto la musica per un testo del canzoniere
Vincenzo Cipro, Tramonto …
L’opera di Diodato
Del Gaizo resta tutta da riscoprire ed eventualmente da
rivalutare.
Sono conservate in varie biblioteche diverse canzoni
musicate da Gambardella per Del Gaizo (Povero core mio,
Funtana mia, Quanno sponta ’o sole, Abbrile
mio, ’A partenza d’ ’e suldate, ’E majateche,
L’aria d’’o mare, ’A voce ’e primmavera, ’O
suonno de marenare, Povera vita mia!,
Varchetta mia, ...) e la canzone Funtana mia
conservata nella "Biblioteca musicale governativa del
Conservatorio di musica S. Cecilia" a Roma ed edita da
Francesco Maddaloni reca sul frontespizio "Piedigrotta ’93"
proprio lo stesso anno di ’O marenariello.
come abbiamo già avuto modo di osservare la cultura
dominante borghese si arroga la pretesa di rappresentare con
i suoi sentimenti quelli di tutto il popolo. È in
quest’ottica che Biagio Chiara nel Gambardella (Ed.
Bideri) afferma: «Tutta la popolare anima egli comprende,
assimila, elabora, esprime: la popolare anima di Napoli; e
il popolo è suo per mille e mille voci che lo cantano, per
mille e mille affetti che lo esaltano, per mille e mille
tenerezze che lo festeggiano....»
Renato Gargiulo
Pubblicazione de Il Portale del Sud, maggio 2016 |