Dossier sulla condanna del senatore di Forza Italia Marcello dell'Utri
e dei suoi rapporti con Silvio Berlusconi:
scarica la registrazione SCONVOLGENTE tra Berlusconi e Dell'Utri
http://www.brigantino.org/berlusconi-dellutri-mangano-namir.avi
fonte:
http://artenamir.interfree.it/
Dell’Utri, le ragioni della condanna: “Un tramite tra mafia e Berlusconi” I giudici: il premier poteva chiarire, invece ha taciuto Francesco Viviano Alessandra Ziniti articolo tratto da la Repubblica, luglio 2005 Palermo – Marcello Dell'Utri la testa di ponte che consentì a Cosa nostra «di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza», Silvio Berlusconi «un industriale disposto a pagare pur di stare tranquillo», che con i suoi silenzi «ha perso l'imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza». A sette mesi dalla sentenza, i giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo (presidente Leonardo Guarnotta, giudici a latere Gabriella Di Marco e Giuseppe Sgadari) hanno depositato le 1768 pagine delle motivazioni della condanna a nove anni inflitta a Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Negli ultimi trent'anni, la condotta del senatore di Forza Italia «ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo ai fini illeciti di Cosa nostra, sia meramente economici che,lato sensu, politici». Insomma, un accoglimento in toto delle tesi dei pm Nico Gozzo eAntonio Ingroia. Laconico il commento di Dell'Utri. «Un acritico accoglimento delle tesi accusatorie. Tutta la mia vita di formazione, di famiglia e di lavoro dimostra il contrario di ciò che vorrebbero provare 1.800 pagine inutilmente ripetitive». Ma la storia di Dell'Utri raccontata dalla sentenza è un'altra e, oltre alle dichiarazioni delle decine di collaboratori di giustizia (tutti dichiarati attendibili tranne Giovanni Brusca), alle prove documentali e alle intercettazioni, i giudici hanno attinto molto anche dall'autoritratto che lo stesso Dell'Utri ha regalato loro nelle dichiarazioni spontanee rese prima della camera di consiglio. E delle quali i giudici sottolineano il salto del giovane bancario Dell'Utri che «soffriva quando in banca assisteva alle scene pietose dello stipendio, con gli impiegati che sospendevano tutto e guardavano cifra per cifra» a «collaboratore dell'amico Silvio Berlusconi». Berlusconi, «sirena al cui richiamo Dell’Utri non ha saputo resistere». Uno dei sedici capitoli delle motivazioni è dedicato alle holding che fanno capo al presidente del Consiglio, nella cui attività sono state riscontrate «anomalie». L'ipotesi di riciclaggio, che stava a monte dell'inchiesta aperta e poi chiusa dalla Procura di Palermo a carico di Berlusconi e Dell'Utri dopo che alcuni pentiti avevano parlato di ingenti capitali di Cosa nostra ripuliti nelle attività delle holding, viene ripresa dai giudici solo per dire che la testimonianza del premier, ammessa dal tribunale, avrebbe potuto portare un importante contributo di chiarezza. Che è mancato. Come sottolineato nella netta censura per l'atteggiamento del presidente del consiglio. «Berlusconi ha esercitato legittimamente un diritto ma, ad avviso del Tribunale, si è lasciato sfuggire l'imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone e con ben altra autorevolezza e capacità di convincimento, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio». Per il resto, il tribunale ha ritenuto ampiamente provato pressoché tutto: le cene milanesi -tra i capimafia Bontate e Teresi, Berlusconi e Dell'Utri, il ruolo del boss mafioso Vittorio Mangano, portato ad Arcore come stalliere da Dell'Utri ma effettivo «garante» della sicurezza della famiglia Berlusconi. E poi gli affari, sempre mediati da Dell'Utri e dal suo vecchio amico e coimputato Gaetano Cinà, il pagamento delle tangenti per le antenne Mediaset in Sicilia fino ad arrivare alla nascita di Forza Italia. Anche in quel caso - scrivono i giudici - Dell'Utri esercitò il suo ruolo di garante degli interessi «questa volta politici» di Cosa nostra.
Dell'Utri, le motivazioni della condanna: per trent'anni mediatore tra mafia e Fininvest di red articolo tratto da l'Unità, luglio 2005 Marcello Dell’Utri è stato per trent''anni anni mediatore tra Cosa Nostra e la Fininvest. Per questo il tribunale di Palermo lo ha condannato nei mesi scorsi a nove anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa. Lo afferma la motivazione della sentenza, depositata mercoledì e che chiama in causa anche il patron della Fininvest, Silvio Berlusconi che era a conoscenza dell’attività del suo fido. Dell’Utri ha in particolare «chiesto ed ottenuto dal capo mandamento mafioso Vittorio Mangano favori, promettendo anche appoggio in campo politico e giudiziario». Mangano è il preteso stalliere della villa di Arcore di Berlusconi. In realtà, scrivono i giudici, l’uomo era stato “assunto” per garantire le relazioni tra Fininvest e l’organizzazione mafiosa. «Queste condotte - scrivono i giudici - sono rimaste pienamente ed inconfutabilmente provate da fatti, episodi, testimonianze, intercettazioni telefoniche ed ambientali di conversazioni tra lo stesso Dell''Utri e Silvio Berlusconi, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà ed anche da dichiarazioni di collaboratori di giustizia». Secondo il tribunale «la pluralità dell''attività posta in essere, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra alla quale è stata, tra l''altro, offerta l''opportunità, sempre con la mediazione di Dell''Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell''economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che, lato sensu, politici. Nella motivazione si parla, naturalmente, a lungo di Silvio Berlusconi, al quale il tribunale rimprovera di aver rifiutato la testimoninanza che avrebbe potuto chiarire i rapporti tra la sua azienda e i mafiosi. «L''onorevole Berlusconi - scrivono i giudici - si è lasciato sfuggire l''imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio». Lunga 1800 pagine, divise in 18 capitoli, la motivazione racconta una storia lunga quasi trent’anni, dai primissimi anni Settanta al 1998, quando il processo era già iniziato da oltre un anno contro lo stesso Dell’Utri e il capo mafioso Gaetano Cinà. Per il Tribunale «l''accurata e meticolosa indagine dibattimentale ha consentito di acquisire inoppugnabili elementi di riscontro alle condotte (anche se non a tutte) contestate ai due imputati». Secondo i giudici gli elementi probatori emersi dall''indagine dibattimentale hanno consentito di fare luce sulla posizione assunta da Dell''Utri nei confronti di esponenti di Cosa nostra, sui contatti diretti e personali con alcuni di essi (Bontate, Teresi, oltre a Mangano e Cinà), sul ruolo ricoperto nell''attività di costante mediazione, con il coordinamento di Gaetano Cinà, tra quel sodalizio criminoso, «il più pericoloso e sanguinario nel panorama delle organizzazioni criminali operanti al mondo», e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo Fininvest». Il collegio si sofferma «sulla funzione di ''garanzià svolta nei confronti di Silvio Berlusconi, il quale temeva che i suoi familiari fossero oggetto di sequestri di persona, adoperandosi per l''assunzione di Vittorio Mangano presso la villa di Arcore dello stesso Berlusconi, quale ''responsabilè (o fattore o soprastante che dir si voglia) e non come mero stalliere, pur conoscendo lo spessore delinquenziale dello stesso Mangano sin dai tempi di Palermo (ed, anzi, proprio per tale sua qualità), ottenendo l''avallo compiaciuto di Stefano Bontate e Girolamo Teresi, all''epoca due degli uomini d''onore più importanti di Cosa nostra a Palermo». Sugli ulteriori rapporti di Dell''Utri con Cosa nostra, «favoriti, in alcuni casi», dalla fattiva opera di intermediazione di Cinà, protrattisi per circa un trentennio nel corso del quale Dell''Utri «ha continuato l''amichevole relazione sia con il Cinà che con Mangano, nel frattempo nominato alla guida dell''importante mandamento mafioso palermitano di Porta Nuova, palesando allo stesso una disponibilità non meramente fittizia, incontrandolo ripetutamente nel corso del tempo, consentendo, anche grazie a Cinà, che Cosa nostra percepisse lauti guadagni a titolo estorsivo dall''azienda milanese facente capo a Berlusconi». |