Pensiero Meridiano

 

Il trucco finale contro la democrazia

di Andrea Manzella

La legge elettorale attuale fu scritta "sotto la dettatura" del referendum popolare con cui 29 milioni di cittadini avevano chiesto, il 18 aprile 1993, l'abbandono del sistema proporzionale. Il progetto di maggioranza che ora ne vuole la modifica è invece scritto "sotto la dettatura" degli ultimi sondaggi elettorali. Sondaggi, come sempre, da prendere con cautela: ma complessivamente sfavorevoli al governo e alla sua maggioranza. A pochissimo tempo dalla fine prevista della legislatura è ormai strappato, dunque, quel "velo di ignoranza" che da sempre i classici della democrazia prescrivono perché si possano varare nuove leggi elettorali "neutre", e perciò accettabili da ogni parte politica. È utilizzando quello strappo che la maggioranza cerca l'autoconservazione con uno struménto elettorale congiunturale.

In Germania, contro i sondaggi sfavorevoli, il Cancelliere anticipa le elezioni e si getta nella mischia per rimontare, come sta facendo, con argomenti politici. In Italia il governo in carica tenta invece di rovesciare i sondaggi manipolando il sistema elettorale. Una scelta di rimonta "artificiale" che ci allontana dalla Germania (e da tutto quello che la Germania rappresenta nella civiltà costituzionale dell'Unione europea) e ci avvicina a certe repubbliche ex-sovietiche dove i tentativi dell'autocrate del momento di perpetuarsi con colpi di mano last minute contro le regole elettorali sono abbastanza frequenti. Che il progetto sia confezionato su misura, continuando la serie di leggi a "scopo privato" iscritte nel libro nero di questa legislatura, risulta da elementi già rilevati a prima lettura.

Innanzitutto, naturalmente, la cancellazione dei collegi uninominali, statisticamente meglio appropriati al più sentito "spirito di coalizione" del centrosinistra, a favore di un sistema proporzionale di partito dove è invece più forte la tradizione partigiana del centrodestra.

In secondo luogo, il tentativo di annullare, sterilizzandoli, i voti dei partiti minori della Coalizione di centrosinistra. Amputata di questi voti, la coalizione dell'Unione, sempre in base ai sondaggi, diverrebbe, da vincente, perdente: e viceversa. Vince chi perde, insomma. E sarebbe questo il bel risultato di questo bizzarro ritorno al proporzionale: non più prova regina della corrispondenza tra geografia parlamentare e geografia elettorale (ma l'enormità della cosa, più scritta che pensata, sembra che dia già luogo a ravvedimento operoso). In terzo luogo,il tentativo di porre un tetto alla maggioranza. I sondaggi dicono che il centrosinistra potrebbe arrivare al 60 per cento dei voti? Bene, intanto vediamo di non farlo andare al di là del 54 per cento: non più di 340 seggi alla Camera e 170 al Senato...

Deformata da questi scopi partigiani, la scelta del proporzionale perde ogni sua intrinseca e pur degna ragione. Siamo in presenza di una strumentazione che non propone una discussione ma cerca di bloccare o rallentare il corso previsto (dai sondaggi) delle cose politiche. Una legge-provvedimento che per il tempo prescelto è di per sé irricevibile. Specie ora che la scienza sempre più esatta dei sondaggi avvalora, sino a renderla insuperabile, la vecchia norma per cui alla vigilia delle elezioni non se ne possono cambiare le regole. I sondaggi non sono più esercizi di mercato elettorale. Entrati da tempo nella legislazione sulle regole del giuoco, là loro influenza deve essere dunque tenuta presente in ogni valutazione giuridica.

Senonché i progetti elettorali hanno una invasività che va ben oltre la loro specificità tecnica. Essi toccano in realtà il cuore delle Costituzioni. I congegni della rappresentanza politica, il modo con cui i voti si trasformano in seggi, il rapporto tra elezione e dimensione territoriale incidono immediatamente sulla vita costituzionale, sul rapporto parlamento-governo.

Anche da questo più ampio angolo virtuale, il progetto risulta concepito in una gabbia di indifferenza verso l’esperienza politica degli ultimi anni e verso le abitudini e le percezioni dei cittadini elettori.

Il falò degli attuali collegi elettorali di Camera e Senato significa fare terra bruciata di rapporti tra eletti ed elettori, imperniati anche sulle identità locali, in stretta connessione con le nuove forme dei governi diretti territoriali. Le grandi dimensioni regionali che si vogliono introdurre cancellano questa relazione identitaria, tolgono ai parlamentari la freschezza e gli stimoli della prossimità al territorio. Impoveriscono la politica e, insieme e soprattutto, i cittadini.

Il ritorno ai partiti, decisori assoluti su liste bloccate e su liste a «preferenza», è cosa perfettamente contraria di quella rinascita di partiti capaci di nuova cultura politica, rinascita che deve essere alla base della rivitalizzazione del nostro sistema politico. Di più: in questo rinvigorimento elettoralistico dei partiti, arretrano sia l'idea di coalizione, sia quel primato del primo ministro, che sono acquisizioni cittadine di questi anni trascorsi.

Ancora: il progetto proporzionalizza il Senato in maniera che viene ad un certo punto smarrita la stessa nozione costituzionale della sua elezione "su base regionale" (art. 57 Cost.): sia per quanto riguarda le liste che superano lo sbarramento sia per quanto riguarda l'attribuzione del premio di maggioranza (l'uno e l'altro calcolati su base nazionale). Qui la precisa percezione di un vizio di legittimità va di pari passo con quella dell'arretramento rispetto ai progetti di Camera territoriale che pure la maggioranza dice di volere in un futuro assetto parlamentare. Anche qui è la nozione di prossimità di governo che va in crisi.

Come ultimo atto di una tristissima legislatura, questo progetto è minacciosamente concepito in due soli articoli (che però ne modificano 18 dell'attuale testo elettorale e ne sopprimono altri 6). Due maxi-accorpamenti dunque in previsione delle inevitabili, e già iniziate, battaglie parlamentari. E' l'estrema prova di forza di una maggioranza-cicala che ha sperperato il suo enorme vantaggio nelle Camere (150 parlamentari in più): in leggi ad personam (per sottrarre imputati al giusto processo) in leggi finte (come per il conflitto di interessi e la riforma televisiva) in leggi incostituzionali (come la devolution o il disordinamento giudiziario). E che, ora che si avvicina l'inverno elettorale, cerca rifugio in meccanismi truccati per evitare l'alternanza. Cioè, in definitiva, per opporsi alla democrazia.


Andrea Manzella, La Repubblica, 15 settembre 2005

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