Pensiero Meridiano

 

Latte nero per la Lega

Nuova inchiesta a Milano sulla Credieuronord. Per riciclaggio

di Vittorio Malagutti

Nel mirino i rapporti tra la banca e una serie di società tra cui quelle di Robusti, ex senatore leghista e leader dei Cobas Giù le mani dalle vacche padane, scandivano in coro i leghisti ai tempi eroici (per loro) della guerra sulle quote latte. E poi: «Nessuno tocchi gli allevatori del Nord», intimavano al mondo, con il leader Umberto Bossi che minacciava di guidare 50 mila manifestanti sotto le finestre degli eurocrati di Bruxelles. L'esercito è rimasto a casa. I Cobas del latte hanno rinunciato al viaggio. Perché muoversi? A Milano, nel bel mezzo della Padania, c'era già una banca che lavorava per loro. Una banca di sicuro affidamento, leghista al 100 per cento: la Credieuronord, pronta a mettersi al servizio degli allevatori più irriducibili, quelli che proprio non ne volevano sapere di rispettare le norme imposte dall'Europa all'Italia sulla produzione di latte. Un grande affare. Un giro da decine di milioni di euro. Ed è proprio seguendo le tracce di questi movimenti di denaro che la procura di Milano è arrivata a ipotizzare il reato di riciclaggio.

I soldi neri del latte, quelli incassati dribblando la legge sulle quote, venivano incassati dai produttori grazie anche all'attiva collaborazione del piccolo istituto sponsorizzato da Bossi e dai suoi. Questa, in estrema sintesi, la pista seguita dai magistrati milanesi, che si sono mossi anche in seguito a un voluminoso rapporto dell'Ufficio italiano cambi, l'ente a cui spetta la sorveglianza su società finanziarie e affini.

È un'altra brutta storia che tira in ballo la Credieuronord. Un'altra tegola per i vertici della Lega che cinque anni fa avevano lanciato l'idea di una banca popolare tagliata su misura per il popolo padano. E che da mesi tentano di limi tare le conseguenze politiche, ma anche le possibili ricadute giudiziarie, di quella fallimentare avventura nel mondo della finanza. Si spiega anche così il clamoroso voltafaccia su Antonio Fazio. Le critiche intransigenti del recente passato si sono trasformate in un appoggio incondizionato del governatore di Bankitalia, l'uomo che poteva decidere il destino del piccolo istituto leghista.

Nel consiglio di amministrazione di Credieuronord trovarono posto alcuni colonnelli del partito di Bossi, come Maurizio Balocchi, Stefano Stefani e Giancarlo Giorgetti, ma nell'autunno del 2004 solo una complicata operazione gestita dalla Popolare di Lodi allora guidata da Gianpiero Fiorani, ha evitato il crack. Scampato pericolo? Pare di no, perché il salvataggio, gestito con la supervisione di Fazio, si è fermato a metà del guado. Tutta colpa dei guai che hanno costretto alle dimissioni il cavaliere bianco Fiorani. Risultato: centinaia di militanti leghisti attendono ancora, come gli era stato promesso un anno fa, di cambiare le loro azioni della vecchia Credieuronord con quelle del gruppo di Lodi, nel frattempo, ribattezzato Popolare italiana.

Insomma, la brutta storia della banca padana non è ancora arrivata all'ultimo capitolo. E la nuova indagine per riciclaggio riapre vecchie ferite ai vertici della Lega.

Anche perché molte operazioni finite nel mirino dei magistrati riconducono a una galassia di società gestite o controllate da Giovanni Robusti, leader storico dei Cobas del latte, già senatore leghista, candidato del partito di Bossi alle ultime elezioni europee. Dopo una breve apparizione nella primavera del 2003 (amministratore per soli due mesi). Robusti siede dall'aprile dell'anno scorso nel consiglio di amministrazione della Credieuronord, che da poco ha cambiato nome in Euronord holding. Il suo nome spunta anche dalle carte dell'ispezione di Bankitalia alla banca leghista (marzo-maggio 2003). I funzionari della Vigilanza avevano segnalato «gravi carenze nell'erogazione del credito» dovute anche alle facilitazioni accordate a soggetti definiti già «in sofferenza presso il sistema». In altre parole, i vertici dell'istituto avrebbero concesso finanziamenti ad alto rischio. E gli ispettori indicavano anche Robusti tra i beneficiari di questi prestiti.

Del resto va segnalata anche un'altra coincidenza che non appare proprio casuale. Dopo la sede di Milano e uno sportello di tesoreria comunale a Erbusco (Brescia), nel marzo del 2003 la Credieuronord ha aperto la sua seconda filiale a Treviso.

Da quelle parti non mancano certo i militanti leghisti, ma c'è anche il quartier generale della Finanziaria Giovanni Robusti (in sigla FGR spa). Anzi, di più: la società di famiglia dell'uomo simbolo dei Cobas del latte ha cominciato a lavorare giusto un paio di mesi dopo l'inaugurazione della nuova agenzia bancaria, con tanto di cerimonia alla presenza di Bossi.

L'indagine si collega a quella aperta dalla procura di Saluzzo sulle truffe all'Unione europea.

I guai di Robusti però non nascono a Treviso. A Saluzzo, provincia di Cuneo, un'altra cittadina del profondo Nord, il procuratore Maurizio Ascione lavora da mesi all'inchiesta "Black milk", latte nero, un titolo che è già un programma. Gli investigatori piemontesi sospettano che decine e decine di allevatori siano riusciti ad aggirare le norme sulle quote latte grazie a un ingegnoso artificio finanziario messo in pratica da numerose società, quasi tutte cooperative. In pratica, queste ultime compravano per intero la produzione delle stalle clienti, compresa la quantità in eccesso rispetto ai tetti fissati dalla legge, per poi girarla ai trasformatori, cioè le imprese casearie. A questo punto, per aggirare i controlli, il latte extra quota veniva comunque pagato dalle cooperative prime acquirenti ai produttori sotto forma di corrispettivo per altri servizi, ovviamente fittizi.

Nel 2003 con il cosiddetto decreto Alemanno sulle quote latte, duramente contestato in Parlamento dalla Lega che arrivò a minacciare la crisi di governo, le norme in materia vengono in parte modificate. Gli artifici contabili utilizzati fino ad allora diventano più difficili da applicare. Niente paura. Si cambia strada. Le cooperative acquirenti vengono in parte sostituite da alcune finanziarie che, con il meccanismo della cessione dei crediti, riescono comunque, secondo la ricostruzione degli investigatori, ad aggirare le multe per la produzione in eccesso.

Il sistema funzionava. Alla grande. Tanto che in base alle stime della Guardia di Finanza gli allevatori coinvolti nell'affare avrebbero guadagnato in totale oltre 150 milioni di euro. Tra il 2001 e il 2004 la moda del Black milk si era diffusa da un capo all'altro della Padania. Dal Monferrato alla Marca trevigiana, da Mantova, Crema e Cremona fino alle campagne torinesi. Le aziende sotto inchiesta sono molte decine e tra le carte dell'indagine spunta più volte il nome di Robusti che negli ultimi anni aveva promosso un gran numero di aziende, in buona parte cooperative, con lo scopo dichiarato di commerciare latte all'ingrosso fornendo anche servizi di consulenza agli allevatori. Per esempio le Coop Latte Savoia Uno, Savoia Due e Savoia Tre, tutte con sede a Saluzzo. E poi le cugine Savoia Quattro e Savoia Cinque, con base poco distante, a Carmagnola in provincia di Torino. Della stessa galassia fanno parte anche una mezza dozzina di cooperative (Coop produttori latte della Pianura Padana) attive a Crema e dintorni, un territorio ad altissima densità di allevamenti dove ha messo radici il movimento di Robusti, nativo proprio di quella zona.

A Treviso, invece, la società controllata dall'ex senatore leghista si era specializzata in quella che, nella relazione di bilancio, veniva definita «anticipazione di crediti sul latte». Somme importanti. Nei conti della Finanziaria Giovanni Robusti, alla voce "crediti ceduti da terzi" viene indicata la cifra di 60 milioni di euro. Poche pagine più avanti l'amministratore unico, cioè Robusti, segnala che la Guardia di Finanza ha richiesto l'esibizione di scritture contabili e rapporti bancari, «nell'ambito di indagini in corso per un procedimento penale circa la gestione del latte fuori quota a carico di un cliente» della società. A quanto pare, insomma, l'inchiesta Black milk ha finito per colpire anche la finanziaria personale di Robusti. A questo punto, però, è l'indagine milanese che potrebbe riservare novità clamorose. Tutto ruota intorno alla Credieuronord. Gli investigatori hanno individuato flussi di denaro in entrata e in uscita riconducibili a società coinvolte nell'inchiesta nata a Saluzzo. Da qui l'ipotesi di riciclaggio. Le operazioni sospette sono state tutte registrate come movimenti in contanti. Un fatto piuttosto singolare, visto che riguarda milioni e milioni di euro.

C'è un elemento in più che ha finito per attirare l'attenzione dei magistrati. Le modalità di queste transazioni bancarie appaiono molto simili a quelle che pochi mesi hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio di Giancarlo Conti, ex direttore generale di Credieuronord, e del funzionario Alfredo Molteni. Secondo i pm Giulia Ferretti, Margherita Taddei e Riccardo Targhetti, la banca promossa dalla Lega si era prestata a riciclare il denaro sottratto a una lunga serie di procedure fallimentari dalla commercialista Carmen Gocini, per anni braccio destro del professionista milanese Giancamillo Naggi, indagato per falso e peculato.

Parte dei soldi rubati era andata ai fratelli Angelo e Caterino Borra, ex proprietari di Radio 101, e questi avevano poi provveduto a versare oltre 13 milioni di euro su conti della Credieuronord. Le operazioni, tutte interne alla banca, venivano fatte passare come prelevamenti in contanti da un conto e versamenti su altri, sempre cash. Lo scopo? «Ostacolare», si legge nelle carte giudiziarie, «l'individuazione della provenienza illecita del denaro». Lo stesso schema torna d'attualità adesso. Questa volta però è di scena il latte. Latte nero.


Tratto da L’Espresso, 20 ottobre 2005

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