Lussuria
di Nicola Lo Bianco
La lussuria a molti sembra lo stesso che il lusso.
Un errore, che però inconsapevolmente coglie l’affinità
della radice etimologica e del significato:
lussuria-lusso dal latino luxus: eccesso,
intemperanza, sovrabbondanza. Un “eccesso”, una ricerca
incessante, assillante, di piaceri sensuali, un
“peccato” di avidità, che, come gli altri “vizi
capitali”, subordina le priorità sociali ad un esaltato
individualismo, al godimento esclusivo dell’ imperante
passione, fino a turbare l’equilibrio psichico e la
capacità di controllo.
È un certo modo di sentire di chi considera e tratta gli
altri come possibili strumenti per soddisfare le proprie
bramosie. Che, poi, a ben guardare, la possibilità di
soddisfare i “capricci” personali è in rapporto diretto
con la quantità di denaro e potere.
Ben altra cosa la sessualità, e lo vogliamo precisare,
perché in tempi di storpia e fasulla libertà, quella che
tutti oggi chiamiamo libidine invece che lussuria, è
intesa come irrefrenabile “divertente” privatissimo
fatto personale. E certamente c’è un aspetto privato e
personale inviolabile, ma c’è anche un risvolto sociale
che non è meno importante.
Noi ci limitiamo a osservare che, ad esempio, si crede e
si lascia credere che l’amore, cioè l’attrazione fisica,
il desiderio reciproco, il “raptus” dei sensi,
giustifica tutto. Un atto così carico di significato e
implicazioni, questo come tanti altri, viene così
sottratto a un irrinunciabile principio di
responsabilità, senza il quale la convivenza umana si
riduce a un’accozzaglia di individui che si arrangiano.
Una tendenza disastrosa, le cui conseguenze le
constatiamo giorno dopo giorno, anche tra certi vecchi
che pretendono di comportarsi ignobilmente come
irresistibili conquistatori.
Una “ruina” Dante definisce il vento impetuoso che
trascina senza requie i lussuriosi. I quali appartengono
a quella schiera di dannati che, dice il Poeta, “la
ragion sommettono al talento”: quelli che cedono
agli istinti personali , mettendo a tacere qualsiasi
ponderata voce in contrario.
La “ragione”, di cui parla Dante, non è la capacità di
capire, ma quel modo di essere che ci accomuna agli
altri, che ci fa membri consapevoli di una società, che
ci induce a scelte che non siano dannose per la
convivenza civile.
Che non è conformismo, come spesso si sente in bocca al
balordo, ma, come abbiamo già detto, lungimirante senso
di responsabilità. Quanti uomini e donne sono
intelligenti, ma per niente ragionevoli!
La lussuria, il lussureggiare di tutti i vizi capitali,
è tanto più grave, quanto maggiore è la responsabilità
del “peccatore”. Non a caso, Dante “percuote le cime
più alte” (PD, c.XVII), denuncia cioè il malcostume
degli uomini “illustri”, di coloro che oggi definiremmo
“classe dirigente”. Uomini che dovrebbero essere guida
ed esempio verso i “piccoli”, ed invece usano denaro e
potere, amicizie, complici e ruffiani, per soddisfare in
faccia al mondo le loro intemperanze, diffondendo il
convincimento che tutto è lecito, che il sesso è ad
lìbitum, che la libertà è assoluta e ad arbitrio
personale.
Semiramide, regina di Babilonia, ad esempio, “a vizio
di lussuria fu si’ rotta, dice il Poeta, “che
libito fè licito in sua legge”: una regina così
spudoratamente lussuriosa che della libidine fece
permissiva legge.
Ai nostri giorni si preferisce stracciare ogni legge
morale e civile, sicuri, dall’alto del proprio scanno,
di non dover rendere conto a nessuno, se non al proprio
corpo e al narcisismo del proprio “io”. Il sesso non più
intimità coltivata in un sentimento più largo, ma
festino, ostentazione, spettacolo, merce di scambio,
consumismo, utilizzo usa e getta.
Anche la sessualità viene a soggiacere al “mercato”, un
dio polimorfo al quale piegare ogni umano discernimento,
un meccanismo economico che tanto fa comodo ai cultori
della lussuria, dell’opulenza, della sprezzante
arroganza, che possono permettersi di scorrazzare nel
“libero mercato”.
Nessun autocontrollo, nessun ritegno, nessuno scrupolo:
chi tanto può, come al mercato degli schiavi, traffica,
sceglie, compra giovinezza e bellezza.
Al punto più basso di questa frenetica irresponsabilità,
che cos’è la violenza sessuale, lo stupro, se non
l’incapacità di tenere a freno la “matta bestialità”?
Dall’alto in basso somigliano a quell’ottuso caprone che
tra amici avvinazzati gridava: “quell’affare non talìa a
nessuno, quando è pronto non ha occhi, chi capita sotto,
capita”.
Questa nostra è un’epoca di lussuria in tutti i sensi:
di eccessi, di sprechi, di estremismi, di lusso impudico
e sfarzoso, accanto a una vergognosa barbara miseria. Il
mondo torna a essere governato in ogni senso dalla forza
e non dal diritto, da ciò che scatena gli istinti più
bassi. La “razionalità”, come etica dei comportamenti, è
oscurata.
Circoscritta nell’ambito delle cosiddette scienze
tecnologiche, come ad esempio, quella economica, essa
sembra essere al servizio di meccanismi che promuovono
l’istintualità predatoria e belluina, come
l’accaparramento privato di ciò che per sua natura è
bene comune.
Quella che in economia chiamano “deregulation” si
riverbera tra la gente come precarietà, come
disorientamento, per cui alla fine ciascuno si affida
alle proprie inadeguate forze morali e intellettuali, o
alle proprie debolezze.
La giovinezza, invece di trovare una società solidamente
costituita, trova un mondo in balia di forze oscure e
incontrollabili, per cui spesso la vitalità sessuale
rimane come ultima possibilità di possedere un’identità,
di sentirsi in qualche modo padroni di se stessi:
spazzati via tradizioni, regole, convenzioni, rispetto
della vita, non c’è passato, non c’è futuro, c’è solo un
effimero mortificante presente.
Dante, e ancor prima San Francesco, avevano capito che
un demonio si stava impossessando dei cervelli: la
mercificazione.
Dante denunciava questa piaga al cospetto di Dio, San
Francesco opponeva una “scandalosa” povertà alla
lussuria del denaro.
Intanto, largo ai lussuriosi in atto e potenziali: sino
a quando l’impero sarà quello del “libero mercato”, la
“libertà” di spadroneggiare tra lussi sesso e volgarità,
gli sarà garantita.
Nicola Lo Bianco
aprile ‘13
Testo
trasmesso
dall'autore il 23/04/2013