È molto difficile stabilire che cos’è il “benessere”.
Esso è relativo ai tempi, ai luoghi, alle circostanze,
alle persone, tanto che a rigore se ne dovrebbe fare la
storia in relazione a tutto un periodo determinato.
Questo per dire che le riflessioni che andiamo facendo
sono un tentativo di capire, un desiderio di non
lasciarsi sommergere dalla ignavia di massa, una ricerca
interiore per un comportamento più consapevole.
Oggi alla parola “benessere” si associa immediatamente
l’immagine di un’ampia disponibilità di denaro, la
possibilità di soddisfare desideri o capricci riservati
a una scelta minoranza, di scegliere
incondizionatamente, di comprare a vista, di fare la
“bella vita”, ecc…
È il “sogno americano”, l’”american way of life”,
il sogno (o l’incubo)che attanaglia i cervelli di tanta
parte dell’umanità.
Non rinneghiamo, si capisce, il benessere materiale che
sottrae la vita alla dannazione della precarietà, ma
certamente c’è molto da pensare sull’ “assoluto del
benessere”, come Aldo Capitini, maestro di vita
spirituale sull’insegnamento di Ghandi, definiva il
sistema americano e oggi europeo.
<Vale un milione di dollari (o di euro)>, è il metro
supremo di valutazione, è l’uomo da ammirare, da
riverire, da imitare, a prescindere dalla figura morale
di chi gestisce tanto denaro:è il risultato che conta,
non i mezzi impiegati.
Istintivamente vorremmo essere noi nei panni di quel
“fortunato”, chissà quali soddisfazioni, gioie,
felicità, ci riserverebbe la vita, ecc. ecc.
Ma è la fantasia di un momento, perché basta soffermarsi
un po’ a riflettere per ridimensionare e di molto il
paradiso da “un milione di dollari”.
Perché possedere tanto denaro? A qual fine? Davvero è il
meglio che posso offrire ai miei cari e a me stesso e a
chi entra in contatto con me? Vale la pena sfinire il
proprio essere nella ricerca spasmodica e guerreggiante
di un benessere materiale che dà molto di superfluo e
rischia di togliere l’essenziale?
Che cosa è veramente “benessere” per la specie-uomo,
fatto di sensi e ragione, di carne e spirito?
Non pretendiamo, né sappiamo dare risposte compiute: a
queste domande si risponde aprendo un dialogo tra gli
uomini di buona volontà; ma sappiamo, e lo sappiamo
perché ce lo dice la storia e la cronaca, che la
ricchezza prodotta localmente o globalmente dovrebbe
avere funzione e finalità etico-sociali, e non scopi
privati che, volenti o nolenti, provocano oggi effetti
in ogni senso distruttivi.
Intuiamo, ad esempio, che nel mondo attuale, nel modo
come sono strutturati i rapporti economici tra gli
uomini, tra questi e l’ambiente, tra l’ambiente e il
permanere della vita sulla terra, non vi può essere
benessere individuale, con o senza soldi, al di fuori di
un insieme fondamentalmente sano in ogni sua parte.
Ciò significa allora che perseguire quel tipo di
benessere materiale, esclusivo, ingordo, consumistico,
inquinante, è stupido, perché infine provoca esattamente
e diffonde quel disfacimento dal quale ci si voleva
preservare.
E’ in ogni caso un benessere sommamente ingannevole
perché promette ciò che non può mantenere: la felicità,
quella che gli uomini chiamano felicità, non risiede
com’è noto(ma siamo pronti a dimenticarcene) nella
quantità di beni che possediamo, ma nella qualità morale
affettiva sociale, presente negli affari di questo
mondo, nella conquista di un equilibrio tra mondo
esterno ed interiorità.
A che mi serve quel benessere se la natura mi si rivolta
contro come una nemica, se mi rende ostili gli altri
uomini, se mi fa percepire come un potenziale avversario
il mio concittadino, se mi insospettisce l’ombra del mio
vicino, se mi lascia nel tormento della solitudine e del
tradimento, nell’indifferenza di chi mi vive accanto,
nella certezza di una conflittualità senza tregua?
“Benessere” è sostanzialmente un sentimento di
sicurezza, ricade, a mio parere, sotto il principio
dell’“inclusione”, dell’essere cioè riconosciuto ed
accettato benevolmente, di occupare un posto che mi
identifica come persona utile alla comunità, di potere
naturalmente soddisfare i bisogni primari come casa cibo
salute affetti protezione, di godere della vera libertà,
che non è quella del voto, oggi ridotto ad un atto
formale, ma quella effettiva di avere tempo e serenità
da dedicare alla comprensione di questo nostro stare su
questo pianeta.
“Benessere” è anche speranza, avere cioè strumenti per
rimediare agli inevitabili errori; è opera buona ad
evitare di aggiungere dolore al dolore intrinseco della
condizione umana.
Io penso che la nostra civiltà manca di quel che si può
definire “compensazione morale”, di valori spirituali
riconosciuti e durevoli, e perciò la precarietà è
disperazione, la pazienza è insofferenza, la sicurezza
difesa armata, il benessere <…ingozzarsi come porci fino
alla nausea/col miele dei loro peccati/…> , come
sferzano i versi del poeta Veniero Scarselli.
“Benessere” è qualità della vita che non si misura solo
sul parametro di New York(dico New York perché è la
città entrata nell’immaginario collettivo);qualità della
vita, checché ne dicano le bugiarde statistiche, vi può
essere, anzi vi è, anche nella piccola ariosa città di
Enna: basta sapere ben valutare tutto il buono che nel
tempo hanno saputo creare i suoi abitanti.
Franz Fanon, l’antropologo de “I Dannati della Terra”,
nell’analizzare i guasti del colonialismo africano ha
scritto:<Se la costruzione di un ponte non deve
arricchire la coscienza di coloro che vi lavorano, non
sia costruito il ponte, continuino i cittadini ad
attraversare il fiume a nuoto o per traghetto>.
L’impegno che urge non è per il “milione di dollari”, ma
per la sopravvivenza di un paesaggio naturale ed umano
riconciliato, fermo restando che chi vuole vivere nel
lusso abbia la libertà di farlo, a condizione che non
provochi danni di alcun genere al consorzio umano.
Nicola Lo Bianco
Testo
trasmesso
dall'autore il 13/06/2012