Pensiero Meridiano

Ma che cos’è il “benessere”?

di Nicola Lo Bianco

È molto difficile stabilire che cos’è il “benessere”.

Esso è relativo ai tempi, ai luoghi, alle circostanze, alle persone, tanto che a rigore se ne dovrebbe fare la storia in relazione a tutto un periodo determinato.

Questo per dire che le riflessioni che andiamo facendo sono un tentativo di capire, un desiderio di non lasciarsi sommergere dalla ignavia di massa, una ricerca interiore per un comportamento più consapevole.

Oggi alla parola “benessere” si associa immediatamente l’immagine di un’ampia disponibilità di denaro, la possibilità di soddisfare desideri o capricci riservati a una scelta minoranza, di scegliere incondizionatamente, di comprare a vista, di fare la “bella vita”, ecc…

È il “sogno americano”, l’”american way of life”, il sogno (o l’incubo)che attanaglia i cervelli di tanta parte dell’umanità.

Non rinneghiamo, si capisce, il benessere materiale che sottrae la vita alla dannazione della precarietà, ma certamente c’è molto da pensare sull’ “assoluto del benessere”, come Aldo Capitini, maestro di vita spirituale sull’insegnamento di Ghandi, definiva il sistema americano e oggi europeo.

<Vale un milione di dollari (o di euro)>, è il metro supremo di valutazione, è l’uomo da ammirare, da riverire, da imitare, a prescindere dalla figura morale di chi gestisce tanto denaro:è il risultato che conta, non i mezzi impiegati.

Istintivamente vorremmo essere noi nei panni di quel “fortunato”, chissà quali soddisfazioni, gioie, felicità, ci riserverebbe la vita, ecc. ecc.

Ma è la fantasia di un momento, perché basta soffermarsi un po’ a riflettere per ridimensionare e di molto il paradiso da “un milione di dollari”.

Perché possedere tanto denaro? A qual fine? Davvero è il meglio che posso offrire ai miei cari e a me stesso e a chi entra in contatto con me? Vale la pena sfinire il proprio essere nella ricerca spasmodica e guerreggiante di un benessere materiale che dà molto di superfluo e rischia di togliere l’essenziale?

Che cosa è veramente “benessere” per la specie-uomo, fatto di sensi e ragione, di carne e spirito?

Non pretendiamo, né sappiamo dare risposte compiute: a queste domande si risponde aprendo un dialogo tra gli uomini di buona volontà; ma sappiamo, e lo sappiamo perché ce lo dice la storia e la cronaca, che la ricchezza prodotta localmente o globalmente dovrebbe avere funzione e finalità etico-sociali, e non scopi privati che, volenti o nolenti, provocano oggi effetti in ogni senso distruttivi.

Intuiamo, ad esempio, che nel mondo attuale, nel modo come sono strutturati i rapporti economici tra gli uomini, tra questi e l’ambiente, tra l’ambiente e il permanere della vita sulla terra, non vi può essere benessere individuale, con o senza soldi, al di fuori di un insieme fondamentalmente sano in ogni sua parte.

Ciò significa allora che perseguire quel tipo di benessere materiale, esclusivo, ingordo, consumistico, inquinante, è stupido, perché infine provoca esattamente e diffonde quel disfacimento dal quale ci si voleva preservare.

E’ in ogni caso un benessere sommamente ingannevole perché promette ciò che non può mantenere: la felicità, quella che gli uomini chiamano felicità, non risiede com’è noto(ma siamo pronti a dimenticarcene) nella quantità di beni che possediamo, ma nella qualità morale affettiva sociale, presente negli affari di questo mondo, nella conquista di un equilibrio tra mondo esterno ed interiorità.

A che mi serve quel benessere se la natura mi si rivolta contro come una nemica, se mi rende ostili gli altri uomini, se mi fa percepire come un potenziale avversario il mio concittadino, se mi insospettisce l’ombra del mio vicino, se mi lascia nel tormento della solitudine e del tradimento, nell’indifferenza di chi mi vive accanto, nella certezza di una conflittualità senza tregua?

“Benessere” è sostanzialmente un sentimento di sicurezza, ricade, a mio parere, sotto il principio dell’“inclusione”, dell’essere cioè riconosciuto ed accettato benevolmente, di occupare un posto che mi identifica come persona utile alla comunità, di potere naturalmente soddisfare i bisogni primari come casa cibo salute affetti protezione, di godere della vera libertà, che non è quella del voto, oggi ridotto ad un atto formale, ma quella effettiva di avere tempo e serenità da dedicare alla comprensione di questo nostro stare su questo pianeta.

“Benessere” è anche speranza, avere cioè strumenti per rimediare agli inevitabili errori; è opera buona ad evitare di aggiungere dolore al dolore intrinseco della condizione umana.

Io penso che la nostra civiltà manca di quel che si può definire “compensazione morale”, di valori spirituali riconosciuti e durevoli, e perciò la precarietà è disperazione, la pazienza è insofferenza, la sicurezza difesa armata, il benessere <…ingozzarsi come porci fino alla nausea/col miele dei loro peccati/…> , come sferzano i versi del poeta Veniero Scarselli.

“Benessere” è qualità della vita che non si misura solo sul parametro di New York(dico New York perché è la città entrata nell’immaginario collettivo);qualità della vita, checché ne dicano le bugiarde statistiche, vi può essere, anzi vi è, anche nella piccola ariosa città di Enna: basta sapere ben valutare tutto il buono che nel tempo hanno saputo creare i suoi abitanti.

Franz Fanon, l’antropologo de “I Dannati della Terra”, nell’analizzare i guasti del colonialismo africano ha scritto:<Se la costruzione di un ponte non deve arricchire la coscienza di coloro che vi lavorano, non sia costruito il ponte, continuino i cittadini ad attraversare il fiume a nuoto o per traghetto>.

L’impegno che urge non è per il “milione di dollari”, ma per la sopravvivenza di un paesaggio naturale ed umano riconciliato, fermo restando che chi vuole vivere nel lusso abbia la libertà di farlo, a condizione che non provochi danni di alcun genere al consorzio umano.

Nicola Lo Bianco


Testo trasmesso dall'autore il 13/06/2012

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