Io voglio il Posto Fisso
di Nicola Lo
Bianco
Questo benedetto discorso del “posto fisso” è uno di quelli che, volente o
nolente, provoca una folla di domande.
Certo, lo sappiamo che non siamo economisti, ma non è che viviamo sulla
luna, lo sappiamo che non può essere più come prima, ma non è ch’è chiaro se
deve essere peggio o meglio.
Comunque sia, la prima domanda è questa: non facciamo che questa strapazzata
del “posto fisso” è la parolina magica per dire niente lavoro, mettetevi il
cuore in pace, disoccupazione silenzio e calci in culo, accontentatevi
dell’osso che ogni tanto vi tira il padrone? Che se parli e vuoi il “posto
fisso” sei un “cretino”, uno che vive di fantasia, un ribelle?
Mi
dispiace, sono un cretino, ma io sono uno di quelli che vuole il “posto
fisso”. Che non significa rimanere localizzato e racchiuso attorno al
bancone di lavoro, significa mettere al posto della parola “posto” la parola
reddito, “reddito fisso”: cioè, se il lavoro non me lo vuoi dare, se me lo
neghi, se me lo interrompi, fatti tuoi, a me e alla mia famiglia un medio
mensile per campare me lo devi dare, sempre, dalla giovinezza alla
vecchiaia.
E
non è che voglio fare il prepotente: il lavoro che cosa è? Un arbitrio, un
capriccio, un lusso? O una necessità? Questa terra senza lavoro può
esistere? E allora, perché ci deve essere un altro, chi è Dio? Che viene a
decidere se devo lavorare oppure no? Se, quanto e dove io debbo lavorare? Su
quale base lui deve decidere della mia persona? Che sono un macchinario? Un
pezzo di ricambio?
È
come quando c’è la guerra: tu metti a rischio la mia vita e io comincio a
pensare ed a diffidare di tutto, comincio a pensare che bisogna voltare
pagina, da cima a fondo. Ad es., che cosa è questa economia? Esiste per fare
che? Per fare 1 sazio e mille digiuni? È la vita che deve sottomettersi
all’economia? O è l’economia che deve rendere conto e ragione alla vita?
Parlare di “posto fisso” è come gettare una bestemmia in chiesa, e tutti
sono d’accordo, tutti quelli, si capisce, che il reddito, fisso o non fisso,
ce l’hanno assicurato.
Dice: ma è per il bene di tutti. Ed io sono d’accordo con il bene di tutti,
ma non con il male mio, cioè vita tua e morte mia.
La
predica è bella, ma questo bene che è? Se proprio ci vogliamo riflettere, il
primo bene vero è il “posto fisso”, è il lavoro, ché ognuno esce e sa quello
che deve fare. Il bene comune è che io alla mattina mi alzo e in mezzo agli
altri mi riconosco importante per quello che faccio.
Senza lavoro, chi sono? Sono come uno che ha cento facce: oggi sono una
cosa, domani un’altra cosa, dopodomani un’altra cosa ancora… e uno comincia
a non capire più niente e fa quello che gli passa per la testa.
Il
bene allora me lo costruisco nella mia testa, per conto mio: spacciatore,
truffaldino, ladro, ruffiano, mignottaro, fanfarone… a secondo; oppure mi
arrangio a fare il pezzente, oppure mi tolgo dalla circolazione.
Senza lavoro non c’è sistema di niente, è come una specie di reazione a
catena, ognuno per sé e Dio per tutti. La coscienza del lupo. Una guerra
senza fine.
Io
la mia coscienza ce l’ho, c’ho i miei princìpi, che non sono campati in
aria, sono cresciuti con me, con le radici che non sono in quello che dici,
ma in quello che fai.
E
siccome io non voglio finire a fare il delinquente, o a suicidarmi, io
voglio il “posto fisso”.
Nicola Lo Bianco
Testo
trasmesso
dall'autore il 24/02/2012
in occasione della Giornata della Memoria
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