Dopo il 4 novembre
di Nicola Lo Bianco
Al Comune di Misilmeri (Palermo), orgoglioso,
peraltro, dei suoi monumenti ai Caduti e al Milite
Ignoto, quest’anno, credo forse per la prima volta, nel
corso delle celebrazioni ufficiali del 4 Novembre, si
sono pronunciate parole di esplicita condanna della
guerra per bocca dell’Assessore all’Istruzione.
È un esempio per dire che il 4 Novembre, quest’anno in
modo particolare, non è stata solo la giornata delle
celebrazioni ufficiali. Accanto ad esse si è fatta
sentire come una specie di controcanto la voce dei
movimenti nonviolenti e pacifisti, che, tuttavia, non ha
coperto il rimbombo della “Giornata delle Forze Armate”,
simbolo e vessillo di quale tipo di cultura sia
portavoce l’attuale regime.
Queste giornate di più diffusa partecipazione al
messaggio pacifista sono piuttosto spinte ad ulteriori
riflessioni, a fare più pressante la vigilanza attorno
alle manovre guerresche in atto.
Subito, proprio nell’ambito di quello che lorsignori
chiamano “risanamento del debito pubblico”, si potrebbe
continuare con i presìdi attorno ai monumenti ai Caduti,
per far presente al “nuovo” governo di non sperperare 17
miliardi di euro per l’acquisto dei caccia-bombardieri
F35: per fare che? Per usarli contro quali altre
popolazioni? Per farsi complici di quale altra
ignominia?
Qual è il prossimo “stato canaglia” da colpire? L’Iran
ci ripetono gli strilloni delle varie Tv.
I Paesi arabi, ormai da tempo, sono minacciati e
sottoposti ad attacco militare; i popoli europei, più o
meno, si ritrovano sotto l’attacco della finanza europea
e internazionale, che chiamano “i mercati”, tacendo però
che “speculazione” (e guerra) è propriamente il
meccanismo su cui si regge l’attuale sistema mondiale.
Strepitano, poi, e ci dicono di combattere l’economia
mafiosa, ma non ci dicono che essa è parte integrante,
figlioccia di quell’usura che strangola e affama popoli
e nazioni impunemente.
Vien da pensare che mai nel corso del Novecento la
guerra sia cessata, che quella che stiamo vivendo è una
civiltà della guerra: guerra non solo militare, ma in
ogni senso e direzione: dalla sussistenza alla natura,
dall’informazione alla religione, dalla salute alla
scienza, ecc.
Una guerra totale, che non si chiama mondiale, perché
in genere si tratta di pura e semplice aggressione a
popoli deboli e sostanzialmente inermi.
Quando si parla di violenza, la nostra mente,
naturalmente, va ad immagini sanguinose, di morte e
devastazione, difficilmente colleghiamo la violenza a
scelte ed atti compiuti in ambito economico e
finanziario.
In tutto l’Occidente, lì dove non è pensabile (sinora)
l’impiego dei caccia-bombardieri, la guerra ci vien
fatta da un nemico conosciuto, ma invisibile, che non
compare, che opera nell’ombra, ben protetto dalla
complicità della truppa politica e mediatica, che però
entra nelle pieghe della vita di ciascuno di noi, detta
statuti e privilegi, decide, con “la coscienza a posto”
perché obbedisce alle “leggi di mercato”, la
sopravvivenza o la rovina di milioni di persone.
A questo aspetto economico/finanziario a me pare che
non si dia il dovuto rilievo, che non venga posto in più
chiara evidenza la matrice che determina questo modo di
essere della violenza nella trama dei rapporti
interpersonali e sociali.
La precarietà, ad esempio, che vìola, a parte ogni
altra considerazione, l’integrità fisica e morale, non è
soltanto un deprecabile dato sociologico: è un crimine
che riguarda tutti noi.
Dovremmo prendere atto che ci troviamo a fronteggiare
una situazione simile, per tanti aspetti, ad un ennesimo
dopoguerra: restano sul campo esseri umani vittime del
lavoro, svalutazione, dimezzamento del potere
d’acquisto, disoccupazione, crolli, devastazione del
territorio, miserie, crucci e maledizioni, emigrazione.
Ma, a differenza dei dopoguerra guerreggiati, non ci
lasciano alcuna speranza di ricostruzione, ci lasciano,
come da tempo accade, il “si salvi chi può”, che di
fatto significa: si salvi chi ha più potere, chi più
possiede, chi sa truffare, chi è votato a delinquere.
La denuncia e il superamento del totalitarismo
economico/finanziario non è solo una questione politica,
ma anche, e forse primieramente, un impegno morale, un
paradigma di valori alternativi che sono non solo, ma
anche del pensiero e della prassi nonviolenti.
Intanto, per contrastare l’idea della guerra come
fattore ineluttabile della vicenda umana, il pensiero di
Gandhi, di Capitini, di M.L. King, ad esempio, dovrebbe
entrare a pieno titolo nei programmi della scuola.
Nicola Lo Bianco
Novembre 2011