Pensiero Meridiano

Il “vizio” della guerra

di Nicola Lo Bianco

Una donna anziana, dell’età di chi ha ben conosciuto i disastri della seconda guerra mondiale, salendo sull’autobus, in risposta non so a chi, ma sicuramente ai bombardamenti sulla Libia, dice: “A cu parra di guerra ch’avissi a siccari a lingua! A guerra! Ancora ‘un si l’hannu livatu u vizio d’a’ guerra?!” (“A chi parla di guerra dovrebbe seccargli la lingua! La guerra! Ancora non se lo levano il vizio della guerra?!)

Sintesi straordinaria di una memoria, di un’esperienza, di un sentimento umano collettivo, dell’essenza della guerra. Il “vizio” della guerra. Come dire che la guerra è un “difetto” psichico, di comportamento, è una violenza (vizio deriva dal latino vitium, “difetto”, che a sua volta proviene da vis, “violenza”) ingiustificabile, irrazionale, esecrabile.

Ma sono “parole di una vecchietta, una povera ignorante” che non sa, direbbe il mafioso, il pane che si mangia, buona tutt’al più per la statistica dei “troppi pensionati”. La “vecchietta”, tuttavia, ci dice un’altra cosa: che non è vero che la storia non insegna niente; non insegna a chi non vuole imparare. Come dire che la guerra viene imposta da chi vi ha un interesse particolare, da chi pensa di uscirne più forte ed impunito, da un meccanismo di potere che è sempre lo stesso, la predazione, il predominio dei pochi sui molti, sia fuori che dentro i confini nazionali.

Chi di noi, in piena libertà e coscienza, deciderebbe di sterminare una famiglia, gente che vive come noi, fors’anche con gli stessi problemi, gli stessi crucci, le stesse piccole gioie della vita quotidiana? La Libia, in particolare, forse per via di quegli anni di colonizzazione, ci è più cara e vicina, perché tanti italiani vi hanno trascorso l’infanzia o la giovinezza, tanti della generazione degli anni trenta e quaranta vi sono nati, tanti, molti libici parlano ancora la nostra lingua, i rapporti politici e interculturali non si sono mai interrotti: una vergogna nazionale, politica e morale, non avere evitato il fatto compiuto dei bombardamenti.

Siamo di fronte alla immane tragedia del Giappone, tutto il mondo è minacciato dalle radiazioni atomiche, uomini e natura sono minacciati nella loro sopravvivenza, l’umanità è chiamata a risolvere enormi problemi di ogni ordine e grado, e i caporioni Occidentali, con l’Italia che gli tiene la coda, decidono di accaparrarsi il petrolio di Gheddafi a forza di bombardamenti, e ci portano la guerra sotto casa. A loro il petrolio, al popolo libico morte e devastazione, a noi le masse dei disperati.

Se non riusciamo a fermare la scelta della guerra, sarà violenza permanente, incontrollabile, sui poveri e tra i poveri, tra gli ultimi e i penultimi.

Prendono il sopravvento i peggiori, si avvera il “nichilismo” del mafioso, per il quale, come ebbe a dire il capomafia don Calò Vizzini, “dentro e fuori governa una regola di vita che ha tre linee essenziali: la politica, la violenza e la ricchezza. Chi è fuori da queste tre forze umane non trova posto, è niente. Lo si può acchiappare per la testa e farlo trottare come un somaro”.

E’ quello che già fanno, più o meno impunemente, è la strategia di chi ha il potere di decidere in un senso o nell’altro, è il principio, a ben riflettere, che governa questo nostro paese.

Di fronte all’irresponsabilità, incombe il dovere di non assuefarsi, l’impegno a fare sentire la propria voce contro la “cultura dell’abiezione”, a ritrovarsi lì dove, scrive un mio amico poeta, “brillano lacrime sotto tutte le bandiere”.

Oltre al resto, vogliono “privatizzare” anche la pace e la guerra: i tempi e i modi dell’attacco alla Libia ne è il più recente, chiaro sintomo.

Nicola Lo Bianco

Aprile 2011


Inviato dall'autore il 20/04/2011

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