Pensiero Meridiano

A Scuola di Bullismo

di Nicola Lo Bianco

C’è una Scuola media, a Palermo, tre ragazzini che impediscono a un loro compagno di entrare nel bagno dei maschi, perché -gli dicono- “sei un gay, una femminuccia”.

Il ragazzo rientra in classe piangendo, la professoressa rimprovera i tre e li invita a chiedere scusa al compagno. Dei tre, due chiedono scusa, il terzo si rifiuta, ostinatamente. La professoressa lo obbliga a scrivere sul suo quaderno cento volte “sono un deficiente”. Il padre, dopo averla offesa a sua volta, denuncia la professoressa, che, in primo grado, viene condannata a 15 giorni di carcere, in Appello a 1 anno, pena sospesa, e 20.000 euro di risarcimento.

A parte il carcere, per avere un’idea, 20.000 euro sono più o meno un terzo della cosiddetta “buonuscita” di un docente dopo 40 anni di servizio ininterrotto. Accoramento e amarezza della prof., che intanto è andata in pensione, piena e ampia soddisfazione per il padre dell’alunno.

Questa la cronaca, ma vogliamo capire quanto c’è del disagio morale che stiamo vivendo, e come è possibile che nell’ambito di una istituzione così delicata come la scuola, ci siamo ridotti a parlare di duelli a colpi di codice penale?

E così ci domandiamo: rientra più nel nostro orizzonte mentale agire, lavorare, amministrare, governare, ecc., con in testa l’immagine del futuro dei giovani?

Come mai, a fronte delle tante e ricorrenti iniziative su “scuola e antimafia”, “educazione alla legalità”, “smonta il bullo”, ecc. ecc., il bullismo persiste, il vandalismo è all’ordine del giorno, l’insensibilità al rispetto di cose e persone è, soprattutto tra gli adolescenti, quasi un dato caratteriale?

Appena fuori dalla famiglia, vivono immersi in uno stato d’animo di selvaggia libertà, un mondo “tra di loro”, che prescinde dagli adulti, non più connesso a ciò che dovrebbe rappresentare un modello educativo. Non la famiglia, più o meno impotente di fronte alle preponderanti forze esterne; non la parrocchia, che non regge il confronto con la “voglia di divertirsi”; non la scuola, instabile e precaria anch’essa, bersagliata dall’alto e dal basso. Che cosa rimane? La TV sicuramente, il Centro commerciale, la vociata di papà, e i “picciuli”.

La scuola già da tempo sopravvive al caos: scardinata dalle fondamenta, confusa e incerta, tenta di fronteggiare la disgregazione, nella quale ripetutamente viene ricacciata dalle “riforme”, cioè da una cieca burocrazia ministeriale che spesso demolisce quel poco che faticosamente la scuola riesce a costruire.

Gli studenti, a loro volta, tutti schiacciati verso il basso dal “successo scolastico garantito”, sono immaginati e rappresentati come un “mucchio”, una massa indistinguibile, sulla quale distendere il velo della demagogia e dell’inganno.

I media hanno fatto pure la loro parte: stampa e TV, quella adibita a fare eco ai “progetti” governativi, ha condotto un’implacabile campagna mediatica, che continua, anche se lo scopo dello sconquasso è stato raggiunto, contro la scuola pubblica, e, in particolare, contro i docenti, additati al ludibrio pubblico, ridicolizzati, resi degni di essere vilipesi. Sottoposti a una burocrazia vessatoria, privati degli strumenti idonei a rendere proficuo l’insegnamento, resi unici responsabili dell’andamento scolastico, i professori li vogliono ridotti in paria del sistema.

Questo per dire del contesto nel quale sono possibili e ricorrenti episodi del genere, per dire che la condanna della professoressa, è lo spaccato del clima morale nel quale viviamo, dove si è perso il senso della misura, delle priorità, del bene comune.

I giudici avranno certo sott’occhio i loro codici, ma a che cosa, a chi giova una condanna che pone l’atto di un’insegnante esperta, di una rispettabile cittadina, sullo stesso piano del comportamento delinquenziale di uno dei tanti malfattori a piede libero?

Certo, la professoressa ha sbagliato: nella sua foga educativa s’è lasciata trascinare da un, per lei, doveroso intervento riparatore nei confronti dell’alunno offeso.

Il paradosso è che in questa specie di follia collettiva, la vera vittima, in definitiva, è la crescita di questi ragazzi, che si comportano come gli detta l’ambiente, l’irragionevolezza della loro età, l’isolamento della famiglia che guarda solo al suo interno, il disorientamento in assenza di principi morali e civili esemplari.

Che fare? In attesa di tempi migliori, aprire uno speciale permanente confronto con tutte le famiglie, con gli stessi alunni, con la società in genere, per parlare del valore strategico della scuola per il futuro dei giovani, dello scadimento della preparazione conseguente alla populistica semplificazione del percorso formativo, del danno morale che ne consegue.

Un primo passo per uscire dalla “zona grigia”, in questo inedito paese, dove delinquere è un modo di fare, e l’impunità una tracotante pretesa.

A conclusione, desidero dichiarare la mia solidarietà alla professoressa, non contro il giovanissimo studente, si capisce, che probabilmente ripete inconsapevolmente comportamenti appresi nel “contesto”, ma a favore di una scuola che si preoccupa del futuro dei nostri ragazzi. Con il permesso del premier on. Berlusconi, il quale, sostenuto dagli applausi dei suoi sodali e dal silenzio/assenso della Ministra dell’Educazione on. Gelmini, pronuncia l’ultima “esemplare” dichiarazione su che cosa egli propriamente intende per scuola pubblica.

Nicola Lo Bianco


Inviato dall'autore lo 03/03/2011

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