Sconciare, fracassare, distruggere.
Rendere brutto ciò che è bello, repulsivo ciò che è
attraente, inservibile ciò che è utile: vandalismo, dice
il vocabolario, è l’atto di rovinare senza ragione, per
pura stupidità e malvagità.
Il vandalismo è, diciamo così, una sottospecie di
quell’intrico di illegalità, di sopraffazione, di
prepotenza, di arbitrio, che tracciano il profilo della
grande città (parlo di Palermo che meglio conosco) e con
essa dell’intero paese, dove la rettitudine, il senso
civico, il rispetto della legge, non protetti, non
garantiti, inevitabilmente soccombono.
La scuola, istituzione pubblica ridotta a brandelli,
svuotata della sua funzione educativa e di promozione
culturale (non c’è educazione senza cultura),
trasformata sostanzialmente in un centro di accoglienza
e di assistenza giovanile obbligatorio, abbandonata al
suo declino, dopo averne scaricato tutto il peso e la
responsabilità sul personale scolastico dei singoli
istituti, è il bersaglio “logicamente” più facile e a
portata di mano per le scorribande sicuramente impunite
dei facinorosi interni ed esterni agli istituti.
Ed esterni intendo anche tutti coloro, dal Ministro ai
funzionari, preposti al “buon governo” della Scuola. E
per “facinorosi” intendo etimologicamente coloro che
compiono scelte scellerate. La scuola che si propone di
“aprire al territorio”, è costretta a difendersi come un
fortino assediato senza alcuna speranza di soccorso.
Faccio l’esempio della scuola perché è quello a me più
vicino, e perché rappresenta, visto il suo ruolo
strategico nella struttura sociale, il sintomo più
sicuro e preoccupante di una specie di odio sordo,
rancoroso, di un rigetto per disgusto, più o meno
esplicito, che intanto investe il mondo della scuola,
dai vertici ministeriali ai genitori sempre in abito di
“parte lesa”, ma che è un sentimento diffuso in ogni
ambito lavorativo e nei vari strati sociali.
Episodica o ricorrente, palese o occulta, repressa o
scatenata, viviamo in un clima di furia distruttiva che
sembra essere la cupa tendenza del nuovo millennio.
Diritti negati, palesi ingiustizie, privilegi
ingiustificati, truffalderia protetta e trionfante,
sembra un mondo fatto su misura di chi ha la possibilità
o la vocazione a delinquere. Di contro, insicurezza,
paura, rabbiosa impotenza, risentimento, disperazione,
cinismo, rimozione del buon senso comune…
Il paesaggio umano è quello che possiamo definire di
nichilismo esistenziale: non c’è valore di cose o
persone al di fuori di me, di ciò che al momento appaga
i miei umori, di ciò che mi è personalmente utile e
vantaggioso.
I giovani specialmente, i più deboli, i più sprovveduti,
quando pensano alla loro vita la percepiscono come
vissuto del momento, come sfrenato ingozzamento, quando
possono, del presente.
Niente in questo nostro tempo, oggetto o pensiero, si
costruisce che non abbia impressa la stimmate della
brevità, della precarietà, del rapido consumo,
programmati al di fuori e contro i bisogni reali e
vitali degli uomini.
Invero, ci sono e cominciano a radicarsi diffusamente
energie, pensieri, comportamenti, segnali positivi, che
indicano una volontà di capire e di liberarsi
dall’involucro soffocante di un mondo fondato
essenzialmente sull’ottusa materialità, che induce ad un
modo di essere e di pensare più vicino all’istinto
animalesco che non all’essere raziocinante.
La problematica che traccia il confine tra barbarie e
civiltà, tra arbitrio e democrazia, non è solo una
questione politica, votata questa per sua natura all’hic
et nunc, al qui ed ora, ma una questione a lungo
termine, culturale: spirituale, morale, di modo di
vedere e di sentire la vita.
La scuola, per riprendere l’esempio, viene usata come
cassa di risonanza di problemi che la politica non sa o
non vuole risolvere; è ridotta non ad educare, ad
elevare cioè moralmente e spiritualmente, ma a
persuadere, ad indottrinare a seconda del vento che tira
(legalità, mafia, violenza, Europa, quartiere, ecc.),
con piglio burocratico, rimanendo, in definitiva,
inascoltata e venendo meno al compito precipuo di
formare cittadini istruiti e uomini consapevoli.
E’ un esempio primario di come siamo immersi in un
presente cieco e circoscritto, di come ad essa si
dovrebbe ripensare da cima a fondo, dall’obbligo
scolastico allo sciagurato permissivismo, che sfiora
l’abdicazione al ruolo di guida proprio degli adulti.
E ricominciare a proporre i grandi temi che da sempre
muovono gli uomini nel tentativo di migliorare:
responsabilità, libertà, legalità, tolleranza, diritti e
doveri, giustizia, ecc., tutti quei problemi cioè che
sommuovono la società civile.
La Chiesa, dal suo canto,nel tentativo di adeguare la
sua presenza alle “nuove cose” di questo mondo, ha come
sottinteso, bisbigliato, il senso trascendente della sua
missione, privilegiando l’aspetto prettamente
sociologico. Intuisco la grande difficoltà di far
percepire il trascendente nel contingente, ma io sono
uno di quelli, ad esempio, che cerca il trascendente nel
contingente, senza il quale il sentimento religioso a un
laico “presuntuoso” risulta aleatorio e scisso dalla
pratica della vita. Frattanto mi attengo all’idea di
Stendhal:,
e mi conforto con la speranza di Dostojeski il grande
scrittore russo di inquietante profondità cristiana: “La
Bellezza salverà il mondo”.
Nicola Lo Bianco
Testo
trasmesso
dall'autore, ottobre 2013