Pensiero Meridiano

La Scuola dei Vandali

di Nicola Lo Bianco

Sconciare, fracassare, distruggere.

Rendere brutto ciò che è bello, repulsivo ciò che è attraente, inservibile ciò che è utile: vandalismo, dice il vocabolario, è l’atto di rovinare senza ragione, per pura stupidità e malvagità.

Il vandalismo è, diciamo così, una sottospecie di quell’intrico di illegalità, di sopraffazione, di prepotenza, di arbitrio, che tracciano il profilo della grande città (parlo di Palermo che meglio conosco) e con essa dell’intero paese, dove la rettitudine, il senso civico, il rispetto della legge, non protetti, non garantiti, inevitabilmente soccombono.

La scuola, istituzione pubblica ridotta a brandelli, svuotata della sua funzione educativa e di promozione culturale (non c’è educazione senza cultura), trasformata sostanzialmente in un centro di accoglienza e di assistenza giovanile obbligatorio, abbandonata al suo declino, dopo averne scaricato tutto il peso e la responsabilità sul personale scolastico dei singoli istituti, è il bersaglio “logicamente” più facile e a portata di mano per le scorribande sicuramente impunite dei facinorosi interni ed esterni agli istituti.

Ed esterni intendo anche tutti coloro, dal Ministro ai funzionari, preposti al “buon governo” della Scuola. E per “facinorosi” intendo etimologicamente coloro che compiono scelte scellerate. La scuola che si propone di “aprire al territorio”, è costretta a difendersi come un fortino assediato senza alcuna speranza di soccorso.

Faccio l’esempio della scuola perché è quello a me più vicino, e perché rappresenta, visto il suo ruolo strategico nella struttura sociale, il sintomo più sicuro e preoccupante di una specie di odio sordo, rancoroso, di un rigetto per disgusto, più o meno esplicito, che intanto investe il mondo della scuola, dai vertici ministeriali ai genitori sempre in abito di “parte lesa”, ma che è un sentimento diffuso in ogni ambito lavorativo e nei vari strati sociali.

Episodica o ricorrente, palese o occulta, repressa o scatenata, viviamo in un clima di furia distruttiva che sembra essere la cupa tendenza del nuovo millennio.

Diritti negati, palesi ingiustizie, privilegi ingiustificati, truffalderia protetta e trionfante, sembra un mondo fatto su misura di chi ha la possibilità o la vocazione a delinquere. Di contro, insicurezza, paura, rabbiosa impotenza, risentimento, disperazione, cinismo, rimozione del buon senso comune…

Il paesaggio umano è quello che possiamo definire di nichilismo esistenziale: non c’è valore di cose o persone al di fuori di me, di ciò che al momento appaga i miei umori, di ciò che mi è personalmente utile e vantaggioso.

I giovani specialmente, i più deboli, i più sprovveduti, quando pensano alla loro vita la percepiscono come vissuto del momento, come sfrenato ingozzamento, quando possono, del presente.

Niente in questo nostro tempo, oggetto o pensiero, si costruisce che non abbia impressa la stimmate della brevità, della precarietà, del rapido consumo, programmati al di fuori e contro i bisogni reali e vitali degli uomini.

Invero, ci sono e cominciano a radicarsi diffusamente energie, pensieri, comportamenti, segnali positivi, che indicano una volontà di capire e di liberarsi dall’involucro soffocante di un mondo fondato essenzialmente sull’ottusa materialità, che induce ad un modo di essere e di pensare più vicino all’istinto animalesco che non all’essere raziocinante.

La problematica che traccia il confine tra barbarie e civiltà, tra arbitrio e democrazia, non è solo una questione politica, votata questa per sua natura all’hic et nunc, al qui ed ora, ma una questione a lungo termine, culturale: spirituale, morale, di modo di vedere e di sentire la vita.

La scuola, per riprendere l’esempio, viene usata come cassa di risonanza di problemi che la politica non sa o non vuole risolvere; è ridotta non ad educare, ad elevare cioè moralmente e spiritualmente, ma a persuadere, ad indottrinare a seconda del vento che tira (legalità, mafia, violenza, Europa, quartiere, ecc.), con piglio burocratico, rimanendo, in definitiva, inascoltata e venendo meno al compito precipuo di formare cittadini istruiti e uomini consapevoli.

E’ un esempio primario di come siamo immersi in un presente cieco e circoscritto, di come ad essa si dovrebbe ripensare da cima a fondo, dall’obbligo scolastico allo sciagurato permissivismo, che sfiora l’abdicazione al ruolo di guida proprio degli adulti.

E ricominciare a proporre i grandi temi che da sempre muovono gli uomini nel tentativo di migliorare: responsabilità, libertà, legalità, tolleranza, diritti e doveri, giustizia, ecc., tutti quei problemi cioè che sommuovono la società civile.

La Chiesa, dal suo canto,nel tentativo di adeguare la sua presenza alle “nuove cose” di questo mondo, ha come sottinteso, bisbigliato, il senso trascendente della sua missione, privilegiando l’aspetto prettamente sociologico. Intuisco la grande difficoltà di far percepire il trascendente nel contingente, ma io sono uno di quelli, ad esempio, che cerca il trascendente nel contingente, senza il quale il sentimento religioso a un laico “presuntuoso” risulta aleatorio e scisso dalla pratica della vita. Frattanto mi attengo all’idea di Stendhal:, e mi conforto con la speranza di Dostojeski il grande scrittore russo di inquietante profondità cristiana: “La Bellezza salverà il mondo”.

Nicola Lo Bianco


Testo trasmesso dall'autore, ottobre 2013

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