Nella storia del
brigantaggio e della durissima repressione scatenata dall'esercito
sabaudo per il controllo del Sud, finora è stato dedicato poco spazio
alle brigantesse, vittime senza diritto di replica della propaganda
risorgimentale. Ridotte, nella memoria collettiva, alla stregua di
sbandate immorali e sanguinarie, in realtà moltissime imbracciarono il
fucile per passione, rifugiandosi nei boschi e condividendo la vita
delle bande. Erano spinte, ci racconta Giordano Bruno Guerri, più che da
una volontà politica, dalla forza di un istinto profondo, dettato da
leggi ataviche e naturali: "Una donna meridionale dell'Ottocento diventa
una combattente pronta a tutto se le si impedisce di vivere, amare,
accudire; se le si nega la possibilità di essere donna come erano state
la madre e la nonna prima di lei, come le avevano insegnato; se le si
toccano i figli, il proprio uomo". La storia di Maria Capitanio, figlia
di un ricco proprietario terriero, che appena quindicenne si innamorò
del brigante Antonio Luongo e si unì alla sua banda. Processata e
assolta, preferì suicidarsi piuttosto che continuare a vivere senza il
suo uomo. E quella di Filomena Pennacchio, la più celebre delle
brigantesse. In seguito all'uccisione del brigante Schiavone, padre del
figlio che portava nel grembo, decise di collaborare con il nemico. La
sua straordinaria vicenda, dopo essere rimasta a lungo confinata nel
mito, è finalmente ricostruita con rigore storico in queste pagine.
Contrariamente
ai luoghi comini sul Sud e sulla condizione della donna nella società
meridionale, dalla narrazione storica si evince il ruolo della donna
nella lotta armata, che non si limitava ad un mero ruolo logistico e di
supporto, ma che al contrario partecipava attivamente alle operazioni
militari in maniera paritaria con l’uomo.
Quanto sopra è
la naturale conseguenza dell’importanza e della centralità della donna
nella società contadina specialmente in Lucania, sia nella vita
familiare che nelle relazioni sociali. Non è azzardato sostenere che
proprio grazie a tale prevalenza femminile, la Lucania è restata immune
dalla malavita organizzata di stampo mafioso-camorristico, tipico invece
delle società più arretrate e imperniate sulla violenza del maschio.
Con “Il bosco
nel cuore” continua la ricerca del Guerri iniziata con “Il Sangue del
Sud”, in cui si mette in evidenza come il Risorgimento, più che un
movimento di massa voluto dal popolo, fu piuttosto una campagna di
conquista del Regno sabaudo. Per combattere la ribellione delle
popolazioni meridionali all'annessione forzata, l'esercito del neonato
Regno d'Italia applicò una spietata e violenta repressione, causando
almeno cento mila morti e crudeltà feroci da entrambe le parti. In
questa documentata narrazione - nelle cui pagine Cavour non mette mai
piede a Roma, e Massimo d'Azeglio, dopo aver affermato pubblicamente
"fatta l'Italia bisogna fare gli italiani", confessa in privato che
"unirsi con i napoletani è come giacere con un lebbroso" - Guerri
fornisce un contributo rigoroso e stimolante che aiuta a capire perché
"la prima guerra civile italiana", pur lontana nel tempo, rende tuttora
complicato il percorso di rinnovamento politico e civile della nazione. |