Il 17 febbraio del 1600 moriva a Roma, sul rogo di
Campo dei Fiori, Giordano Bruno, il filosofo che per
primo, in età moderna, elaborò una tesi organica sulla
infinità dell’universo. A 411 anni dalla sua morte sul
rogo, il pensiero di Giordano Bruno mostra ancora
intatto tutto il suo fascino innovativo.
Il grande merito del filosofo campano consiste
nell’aver realizzato un modello cosmologico che,
diversamente da quello tomistico-aristotelico, si fonda
sull'idea che l'universo sia infinito, e che "finito" e
"infinito" sono costituiti della stessa "sustanza"
in quanto come tutti gli opposti coincidono tra loro
stravolgendo il presupposto medievale. Ma soprattutto la
grandezza del filosofo campano si fonda sulla difesa,
fino alla morte, del suo pensiero. Di un pensiero
libero, non inquadrato e sottomesso ai voleri di Stato e
Chiesa. |
Nato nel
1548 a NoIa, Giordano Bruno, Filippo all’anagrafe, entrò
nell’ordine domenicano all'età di 18 anni e vi rimase circa
dieci anni, fino a quando la sua insofferenza per le istituzioni
lo convinse ad abbandonare, nel 1576, la vita monastica e, dopo
varie peregrinazioni, anche l’Italia. Iniziò così una vita da
vagabondo del corpo e dello spirito, prima a Roma, poi a Genova
ed a Venezia da dove raggiunse la Francia e poi Ginevra,
roccaforte del calvinismo, dove insegnò nella locale università
e aderì al calvinismo. Ma per aver pubblicamente accusato un
insegnante di filosofia che aveva sbagliato, a suo parere,
nell’insegnamento, fu arrestato e costretto a ritrattare
nell'agosto del 1579. Fugge pertanto anche da Ginevra e si
rifugia nella Francia di Enrico III, dilaniata in quel periodo
dai conflitti di religione tra cattolici e protestanti
(ugonotti). Giordano non apprezza né gli uni né gli altri e
guarda con simpatia a coloro che, stanchi del sangue versato,
pensano a forme di reciproca tolleranza nell'interesse dello
Stato.
Dopo un periodo di insegnamento a Tolosa, eccolo a
Parigi: qui compone il De umbris idearum, dedicato al
sovrano, con l’annessa "Ars memoriae" (o mnemotecnica)
che gli valse la nomina di “lecteur royaux” ("lettore
straordinario e provvisionato"). Le "ombre" delle idee
non sono tanto le cose materiali (come voleva la tradizione
platonica), bensì le "immagini magiche" che rispecchiano
quelle "eterne idee" che abitano la mente divina e di cui
le cose sono copie. Chi sappia far sue tali immagini non solo
potenzierà la memoria ma garantirà anche un rafforzamento delle
capacità d'azione, poiché tale magia consegna alla mente
l'universo intero.
L’appartenenza al gruppo dei "lecteurs royaux",
remunerato, gli consentì una certa autonomia anche nei confronti
della Sorbona, della quale non mancò di criticare il conformismo
aristotelico.
E’ questo un periodo di grande fecondità nella
produzione filosofica e letteraria del Bruno, che pubblica in
breve successione il "Cantus circaeus", il "De
compendiosa architectura et complemento artis Lullii" e "Il
Candelaio".
A Parigi insegnò filosofia e astronomia. Ma le sue
idee troppo “libere” e innovative furono ferocemente
contestate dagli aristotelici più intransigenti.
Da Parigi, nel 1583 si trasferì, a seguito
dell’ambasciatore di Francia in Inghilterra, Michel de Castelnau
di cui era amico, a Londra ,
nell'Inghilterra di Elisabetta I, la "Diana britannica", e in
quel Paese di "buone lettere, armi, cavalleria, umanitadi e
cortesie" , da autentico ribelle quale era, non esitò a
prendersela con gli intellettuali di Oxford, "gonfi di greco,
ma anche di birra", nonché a sfidare i puritani convinti
della verità letterale del testo biblico.
E’ a Londra che Bruno scrisse le sue opere più
importanti. Nei dialoghi de La Cena delle Ceneri Bruno
critica, inoltre, la separazione aristotelica tra Terra e Cielo;
sostiene che la Luna è in realtà "un'altra Terra";
interpreta le macchie lunari come segni che la superficie di
"quel pianeta" è ora acquea ora terrestre; difende la dottrina
copernicana del movimento della terra che ruota sul proprio asse
e attorno al Sole, il centro fisico dei pianeti che
costituiscono il sistema solare, una struttura relativamente
piccola nel grande universo, che non ha centro, poiché è
infinito.
Come verrà ribadito in De l'infinito, universo e
mondi (1584), nello spazio immenso "innumerevoli stelle,
astri, globi, soli e terre, sensibilmente si veggono, ed
infiniti raggionevolmente si argumentano". Molti di questi
mondi sono "abitati" e ogni astro è in sé un essere vivente,
dotato di "anima". I "precisi" teologi puritani non
perdonano a Giordano né queste incursioni nell'astronomia, né il
suo ricorso a immagini capaci di accendere il ricordo e
consentire di potenziare la memoria. Che dire se le figure
bruniane finissero col risvegliare la passione sessuale? "Le
cose concepite dall'immaginazione sono idoli", sentenziano.
Bruno per evitare tribunali e processi ritorna a
Parigi e dopo un secondo - e breve - soggiorno in questa città,
si reca in Germania, dove si rivolge sia all'imperatore Rodolfo
II sia ai protestanti (luterani) per propagandare quella
pacificazione religiosa in cui un ruolo essenziale dovrebbe
venir svolto da "quei veri teologi" i soli in grado di
comprendere la natura divina dell'universo infinito, al di là
delle false differenze create dalle religioni positive.
Nello Spaccio de la bestia trionfante (1584)
Giordano delinea l'elogio dell'antico Egitto, dove sarebbe
fiorita l'unica religione nazionale, e lamenta la corruzione del
mondo dovuta alle successive religioni che hanno causato
decadenza dei costumi e discordia politica. Bruno annuncia il
tempo in cui "la morte sarà giudicata più utile che la vita e
[...] sarà definita pena capitale a colui che s'applicherà alla
religione della mente".
Tuttavia, questa sorta di "controriformatore
egiziano" (come lo ha chiamato Frances Yates) che preferisce
le pratiche magiche a quelle del culto e che non esita a farsi
beffe dei miracoli compiuti nei Vangeli da chi "può caminar
sopra l'onda del mare [...] senza bagnarsi gli piedi",
ritiene che le varie religioni positive (e il cristianesimo in
particolare) siano utili strumenti di governo delle moltitudini.
Non è quindi strano che Giordano a un tempo diplomatico, spia e
conciliatore religioso, finisca per guardare al Papa in persona,
come a chi possa realizzare politicamente l'idea della doppia
verità: la religione razionale per i pochi iniziati e le
"favole" della religione positiva per i troppi incapaci di
comprendere.
Ne Gli eroici furori (1585) Bruno inserisce
questa prospettiva nel quadro della ricerca della verità.
L'immagine" più incisiva per la memoria sarà quella del
cacciatore Atteone che, dopo aver spiato la dea Diana nuda al
bagno, viene mutato in cervo e diventa preda dei propri cani. E
così, "gli cani, pensieri de cose divine, vorano [= sbranano]
questo Atteone, facendolo morto al volgo, alla moltitudine,
sciolto dalli nodi de perturbati sensi, libero dal carnal
carcere della materia; onde più non vegga come per forami e per
fenestre la sua Diana, ma avendo gittate le muraglie a terra, è
tutto occhio a l'aspetto de tutto l'orizonte".
Infine, nel 1591, lo ritroviamo a Venezia dietro
invito del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che desiderava
imparare l'arte della memoria. In quell'epoca la Repubblica di
Venezia era ancora uno stato indipendente. Bruno sentiva,
probabilmente, l'ostilità sia della chiesa riformata che di
quella cattolica, sentiva anche di essere inviso ai puritani e
indesiderato a livello europeo ma il ritorno in Italia non fu
una buona mossa. L'anno successivo infatti fu lo stesso Mocenigo
a denunciarlo all'Inquisizione come eretico.
A Venezia, Bruno riuscì a contrastare gli inquisitori,
grazie alla tesi averroistica
della
doppia verità (la fede e la religione come mezzi di
conoscenza della realtà per la gente ignorante; la filosofia e
la scienza per gli uomini colti) e il processo sembrava
favorevole ad un'assoluzione per Bruno, ma la Congregazione del
Sant'Uffizio, desiderosa di saldare i conti in sospeso, chiese
la sua estradizione a Roma. Il Senato veneto dapprima rifiutò ma
poi cedette e il 27 febbraio del 1593, Bruno terminò il suo
peregrinare europeo in una cella del palazzo del Sant'Uffizio a
Roma dove subì un processo che durò sette anni.
Sette anni di carcere duro e numerosi e interminabili
interrogatori nonché la tortura.
Nonostante ciò Bruno rimase coerente con se stesso e
fedele alle proprie ragioni e non accettò mai di rinnegare le
sue idee giudicate dagli inquisitori incompatibili con
l'ortodossia cristiana. Cercò ripetutamente di ottenere udienza
dal papa ma queste non furono mai accolte.
Alla fine dell’interminabile processo (l’8 febbraio
dell’Anno Santo 1600,) fu condannato al rogo come eretico
impenitente e ostinato ed espulso dalla Chiesa. Le sue opere
vennero bruciate in Piazza San Pietro e inserite nel "Indice dei
libri proibiti". Venne quindi consegnato al braccio secolare,
che esegue materialmente le sentenze del Sant'Uffizio in quanto
Ecclesia (bontà sua!) abhorret a sanguine.
All'alba del
17 febbraio 1600
lascia la prigione di Tor di Nona, viene condotto in processione
tra una folla eccitata e vociante fino a Campo de' Fiori.
Indossa il sanbenito
e ha
una mordacchia che gli impedisce di parlare (come recita un
cartello "Per le brutissime parole che diceva") . Sale al
rogo con coraggio e dignità, viene spogliato, legato ad un palo
e arso vivo. Sarà ricordato nei secoli come un martire del
libero pensiero e dell'intolleranza religiosa
Regnava allora papa Clemente VIII (Ippolito
Aldobrandini), uomo intransigente nell'applicare quanto
stabilito dalla Controriforma nel concilio di Trento e fautore
di una politica repressiva contro gli eretici e gli ebrei. Lo
studio delle opere di Bruno per raccogliere i capi di accusa fu
svolto dal gesuita Cardinale Roberto Bellarmino
Gli fu contestato anche di aver soggiornato in paesi eretici,
vivendo secondo il loro costume.
I colpi inferti in questo periodo di oscurantismo
dalla chiesa al metodo scientifico moderno ed alla separazione
degli ambiti disciplinari furono alla base del distacco tra la
cultura italiana e quella europea. Distacco di cui ancora
paghiamo le conseguenze che si esplica nella tangibile
immaturità spirituale del popolo italiano e nella sua
religiosità reazionaria e lontana dall’esempio del Cristo.
Sintesi del pensiero di Giordano Bruno
Bruno praticamente scardina tutte le tesi del pensiero
medievale. Sostiene l’esistenza di uno spazio infinito con
innumerevoli stelle e sistemi di soli circondati di pianeti che
egli chiama terre ed entro cui tutte le cose si muovono.
Sostiene che tutti i movimenti nello spazio sono relativi;
nessuna stella si trova al centro dell'universo, ma ognuna è
centro del suo cielo nel suo sistema. Bruno intuisce anche la
legge della gravitazione universale quando dice che i corpi si
muovono liberamente nello spazio e si mantengono nella loro
reciproca posizione grazie alla forza di attrazione. Il mondo di
Bruno è il mondo reale, come lo conosce la scienza
contemporanea. Egli fu il primo che comprese la vera
costituzione del cosmo e la sua concezione dell'infinito
rovescia la concezione geocentrica della chiesa e sviluppa la
concezione eliocentrica di Copernico. La fortissima personalità
di Bruno gli consente di arrivare a conclusioni cui Copernico ,
molto cautamente, non volle arrivare. cx
Bruno è stato spesso visto dai clericali come un
anticristo. In realtà Bruno criticò la Chiesa e il clero del suo
tempo, scardinò molti dei dogmi del cristianesimo, ma non fu
irreligioso. Per lui ogni parte dell'universo, è la divinità
stessa ma la conoscenza del divino è razionale, cioè si arriva
ad essa con la nostra ragione. Negli Eroici Furori egli
spiega che la divinità si può conoscere in due modi: per via
razionale e per contatto mistico. Bruno naturalmente, come
Averroé, dà dignità solo alla via razionale. Coloro che
conoscono Dio per fatto mistico - scrive - sono simili
all'"asino che porta i sacramenti". Conoscono il vero, ma
senza alcun merito. Vi sono per lui due modi di conoscere:
quello che dà la filosofia e quello che dà la religione. Bruno
sceglie il primo, ma non rigetta il secondo. Nel De Umbris
Idearum dice che "la religione è l'ombra della verità: ma
non è il contrario della verità". La religione è come un
invito per assurgere alla filosofia. L'essenziale per Bruno, non
è la religione, ma la morale. Una morale senza dogmi che non ha
bisogno di una educazione ecclesiastica ma della volontà
individuale.
Bibliografia
-
Giovanni Aquilecchia “Giordano Bruno”, Ist. Encicl.
Ital., Roma 1971;
-
Michele Ciliberto “Giordano Bruno”, Laterza, Bari
1992;
-
Michele Ciliberto “Giordano Bruno. Il teatro della vita”
Milano, Mondadori, 2007;
-
Luigi Firpo “Il processo di
Giordano Bruno”, Salerno Edit., Roma 1993);
-
Giulio Giorello “Giordano Bruno. La nova filosofia degli infiniti
mondi”, con Michele Ciliberto, nella Rivista Le Scienze
2004;
-
Il Portale di Giordano Bruno
http://giordanobruno.signum.sns.it/index.php?id=701
Ibn Rushd - Averroè (1126 - 1198). Nacque nel 1126 a
Cordova e morì a Marrakech il 10 dicembre 1198 quando
Cordova faceva parte dell’enclave musulmana. Era
astronomo, medico, giurista e filosofo. Le sue dottrine
filosofiche e la sua libera interpretazione dei testi,
indisposero non poco i teologi limitati e i giuristi
pedanti incapaci di interpretazione personale dei testi.
Fu per tali ragioni che Averroé fu allontanato dalla
corte, anche perché la minima debolezza del sovrano
sarebbe stata immediatamente sfruttata dai principi
cristiani di Castiglia e León. Ibn Rushd non si occupò
solo di medicina o dei commenti all'opera di Aristotele
ma scrisse anche molti libri di filosofia.
In particolare ricordiamo un trattato
sulla non contraddizione tra filosofia e religione che
lo pone al vertice della riflessione filosofica del suo
tempo e non solo. Ibn Rushd sosteneva che i testi sacri
sono legittimamente interpretati in modo diverso dal
filosofo, dal teologo o dal profano. La "verità" può
quindi essere interpretata in modo diverso secondo la
formazione intellettuale dell'individuo.
Questo approccio critico poteva suscitare
le reazioni di molti, era in un certo senso
"rivoluzionario" e lo sarebbe ancora oggi. Ma i
Musulmani che vennero dopo di lui non approfittarono dei
suoi insegnamenti e ebbero verso le sue opere un
approccio superficiale.
Le sue dottrine verranno comunque
insegnate in Europa fino al XVIII secolo, in particolare
il trattato del De anima nella traduzione in latino di
Micael Scott del 1230 e ciò nonostante le condanne
dell'Inquisizione e del Concilio di Trento che
consideravano eretiche e blasfeme le teorie di Averroè,
anche se l'averroismo professato in Europa è solo un
pallido riflesso della sua cosmologia. Molti filosofi e
teologi europei devono molto a Ibn Rushd, tra questi
citiamo i più conosciuti:Tommaso d'Aquino, Bacone,
Spinoza, Leibnitz.
Combatté apertamente contro le
degenerazioni del pensiero aristotelico attuate dagli
integralisti teologi musulmani e da Avicenna. Punto
sostanziale é l'intervento di Dio nel mondo. Dio è atto
puro. Se ne prova l'esistenza con i passaggi avicenniani
a contingentia mundie dei gradi di perfezione: tali
modalità di prove vennero poi accolte come terza e
quarta prova da S.Tommaso. Non esiste una creazione ex
nihil una volta per sempre, ma un continuo trarre le
cose dalla potenza all'atto, dando per scontato che
materia prima e mondo esistono ab aeterno, causati
necessariamente da Dio fin dall'eternità. Filosofia e
religione rivelata sono un'inscindibile verità, ma
mentre la rivelazione - che è diretta a tutti gli uomini
- mira al potenziamento della virtù attraverso il
linguaggio semplice che colpisce il sentimento e
l'immaginazione, spetta ai filosofi (non ai teologi)
l'interpretazione e la dimostrazione scientifica dei
dogmi forniti dalla rivelazione. (Wikipedia)
Un altro grande personaggio aveva anticipato il suo
destino: Michele Serveto, umanista e medico spagnolo,
scopritore della circolazione polmonare del sangue, uomo
dal carattere impetuoso ed irruento. Il Serveto, a causa
delle sue posizioni antitrinitarie, fu arso vivo a
Ginevra il 27 ottobre 1553, vittima dell'intransigenza
ed intolleranza religiosa del riformatore Giovanni
Calvino.
Altro processo celebre di cui si occupò il cardinale
Bellarmino fu quello di Galileo Galilei. Poco dopo la
morte la Compagnia di Gesù propose la causa di
beatificazione di Bellarmino che ebbe inizio nel
1627 . Poi l'iter si arenò e anche se la
causa fu reintrodotta numerose altre volte nei secoli
successivi, e nonostante ad ogni ripresa la grande
maggioranza dei voti fosse favorevole alla sua
beatificazione, l'esito positivo arrivò solamente nel XX
secolo. Il motivo fu in parte legato al carattere
influente di alcuni prelati che espressero parere
negativo, e in particolare il cardinale
Gregorio Barbarigo, il cardinale domenicano e
tomista
Girolamo Casanate, il famoso cardinale
Decio Azzolino juniore nel
1675; il cardinale
Domenico Passionei nel
1752; quest'ultimo in particolare in
frequente contrasto con i gesuiti e vicino alle tesi
gianseniste opposte alla tesi molinista della
grazia efficace. Inoltre secondo molti, la causa
principale fu il parere circa l'opportunità politica
internazionale, dal momento che il nome del cardinale
Bellarmino era strettamente associato ad una visione
dell’autorità pontificia in netto contrasto con la
politica della corte di Francia dei secoli XVIII e XIX.
Il
22 dicembre
1920 papa
Benedetto XV riassumendo l'iter per la sua
beatificazione, promulgò il decreto della eroicità delle
sue virtù; il
13 maggio
1923, durante il pontificato di
Pio XI, fu celebrata la sua beatificazione e
dopo sette anni, il
29 giugno
1930 fu canonizzato. Brevissimo fu il
processo di canonizzazione e la nomina a
Dottore della Chiesa, conferitagli il
17 settembre
1931 sempre da parte di
Pio XI. Dal
21 giugno
1923 il suo corpo si trova nella
chiesa di Sant'Ignazio di Loyola a Roma (da
Wikipedia)
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