la collezione d'arte: Vincenzo Gemito

La zingara, matita, carboncino, acquarello su carta, cm 47 x 30, 1885. Napoli, museo Pignatelli

 

Note sull'artista

Nasce a Napoli nel 1852.

Il patrigno, il muratore Francesco Jadiciccio, detto "masto Ciccio", è uno dei soggetti più rappresentati nelle opere dell'artista. Dopo un'adolescenza povera, entra nel 1864 nell'Istituto di Belle Arti, presentando nel 1868 il Giocatore alla mostra della Promotrice di Napoli. Tra il 1870 e il 1872 esegue in terracotta la serie di testine dedicata ad alcuni dei soggetti più celebri, fra cui lo Scugnizzo, il Moretto e il Fiociniere (Collezione del Banco di Napoli).

Domenico Morelli ha modo di apprezzarlo nel 1871 in occasione della vittoria conseguita al concorso annuale per il pensionato artistico romano, quando realizza anche il Bruto (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna). Numerosi gli artisti di cui esegue i ritratti: tra questi Domenico Morelli, Giuseppe Verdi, Francesco Paolo Michetti, Antonio Mancini (soprannominato Toton’ amico mio), Mariano Fortuny.

Trasferito il proprio studio dal 1876 presso il Museo Archeologico, continua a praticare, oltre all'approfondimento dell'arte classica, l'osservazione dal vero, di cui il Pescatore napoletano (Firenze, Museo del Bargello) diviene sintesi emblematica, consolidando anche all'estero il successo dell'artista.

Nel 1878 si trasferisce a Parigi, ospite di Jean-Louis-Emest Meissonnier. Qui si riunisce con Mancini e partecipa al Salon con il Ritratto di Giovanni Boldini; a questo fa seguito nel 1880 il ritratto dello stesso Meissonnier, esposto anche all'Esposizione di Torino.

Nel 1886 gli viene commissionata la statua in marmo di Carlo V per la facciata del Palazzo Reale di Napoli. L'ansia di adeguarsi ai modelli classici e un'ossessiva insoddisfazione lo segnano profondamente, impedendogli di trasporre in marmo il modello bronzeo. Si manifestano così i primi segni di quello squilibrio mentale che lo porterà a vent'anni di tragico isolamento, dedicati soprattutto alla grafica, a cui attenderà anche dopo il 1909, quando riprende l'attività pubblica indirizzando la produzione plastica soprattutto verso opere di oreficeria.

Muore a Napoli nel 1929.

Tratto dalle biografie degli artisti di Marina Minozzi per l’opera “La Collezione d’Arte del Sanpaolo Banco di Napoli” a cura di Anna Coliva

Vincenzo Gemito in mostra a Napoli

Dal 29 marzo al 5 luglio 2009 presso il museo Pignatelli a Napoli finalmente si è tenuta una grande retrospettiva rende giustizia a Vincenzo Gemito, uno dei protagonisti della scultura europea tra Ottocento e Novecento. Saranno esposti settanta lavori ed ottanta opere su carta, dalle terracotte giovanili alle figurette di mendicanti fino ai superbi bronzi della maturità, nei quali l’artista percorreva una personale rilettura della statuaria antica senza cadere come molti contemporanei nella retorica.

Numerosi i disegni (fig. 01), realizzati con tecniche diverse quali penna, matita, carboncino, seppia e acquerello, provenienti da raccolte pubbliche e private, italiane e straniere. Particolare attenzione è riservata alla selezione di opere appartenenti alla celebre raccolta di Achille Minozzi, (oggi Cosenza), che quest'ultimo, in stretti rapporti con Gemito, assemblò con passione e competenza, tra fine Ottocento e inizio Novecento.

Fig. 01 - Volto di adolescente

L’esposizione documenta anche aspetti poco noti della sua attività, come le piccole sculture cesellate, con ossessiva precisione, in metalli preziosi (oro in particolare), secondo metodi originali di grande modernità ma, al tempo stesso, eredi di una lunga e fortunata tradizione locale che affondava le sue radici fin nell'età ellenistico romana.

Si può affermare senza ombra di dubbio che se Napoli ai tempi della Belle Epoque fu la Parigi d’Italia, Gemito fu il suo Rodin.

Imbevuto di spirito verista egli seppe evocare nei suoi scugnizzi nudi e sornioni dalla pelle combusta dal sole un mondo arcadico e pagano, sensuale e mediterraneo.

Si sa che Gemito allo scopo di ottenere la migliore ispirazione possibile teneva a lungo il modello in piedi su di un sasso cosparso di sapone per cogliere meglio l’energia potenziale e poterla poi immortalare nel bronzo (fig. 02); anche nelle repliche lavorava a lungo di cesello per creare una continua vibrazione della luce sulla superficie bronzea. Si rifiutò sempre di lavorare il marmo, mentre fu abile orafo, avendo come cliente la stessa casa reale con opere ancora inedite.

Fig. 02 - Pescatorello

Studiò in varie botteghe, prima lo scultore Caggiano, poi Mastro Ciccio, immortalato in numerosi disegni ed infine da Lista. Quindi insofferente delle eccessive esercitazioni scolastiche e dei convenzionalismi accademici si rifugiò nei sotterranei di S. Andrea delle Dame in uno studio dove nacquero le famose testine di terracotta ed altre famose opere come il Malatiello ed il Giocatore.

Durante questi anni si dedicò all’acquerello ritraendo più volte Matilde Duffaud, sua modella ed amante. Si trasferì poi a Parigi per un periodo e morta la sua compagna si ritirò a Capri, ove plasmò numerose famose opere come il Filosofo e la Zingara (fig. in testa pagina).

Fig. 03 - Anna Gemito (Cosarella)

Sposò poi Anna Cutolo (fig. 03), donna bellissima, esaltata anche nelle rime di Salvatore Di Giacomo, la quale in passato era stata modella ed amante di famosi artisti, che ne avevano dipinto con estrema poesia e realismo le splendide forme. Ciò scatenò in Gemito un’accesa gelosia ed un feroce rancore verso tutti i colleghi che l’avevano ritratta nature, tra cui anche Domenico Morelli . Da allora la sua vita fu a lungo segnata dalla follia, fu ricoverato in una casa di cura, da cui fuggì per ritirarsi a vivere come un eremita nella sua casa di via Tasso, alternando momenti di crisi a giornate di lucidità. Alla fine riuscì a guarire ed a ritornare con accresciuta lena a forgiare piccole sculture in materiali preziosi ed opere anche di un certo impegno.

Visse fino al 1929 apprezzato da una clientela vasta che faceva a gara per avere nel proprio salotto almeno una statuetta da esporre con orgoglio.

Achille della Ragione - marzo 2009

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