Le Pagine di Storia

Impianti per la lavorazione del pesce

nella Sicilia antica

di Rosa Casano Del Puglia

Venditore di Tonno

 

Introduzione

Le abitudini alimentari dei popoli sono testimonianze indirette della loro economia, del loro credo religioso, delle condizioni di vita delle varie classi sociali e delle scelte ideologiche e filosofiche della classe politica.

Documenti storici come “l’Editto dei prezzi” di Diocleziano e fonti archeologiche e letterarie consentono di ricostruire, con una certa precisione, le abitudini alimentari delle popolazioni greco-romane dall'età arcaica fino alla fase più matura della loro storia.

Presso i Greci e presso i Romani la carne, e in particolare la selvaggina, non mancava mai nelle sfarzose mense degli aristocratici; la tavola era divenuta, verso la fine della Repubblica, un elemento di distinzione sociale.

A Roma, per la sua relativa rarità sulle mense della gente comune, il consumo della carne fu spesso considerato simbolo di lussuria e di golosità.

Ma anche il pesce veniva apprezzato, sia le testimonianze archeologiche come le incisioni in diverse monete, sia i numerosi soggetti della pittura vascolare e infine i recenti rinvenimenti di impianti per la lavorazione del pesce, presenti in Sicilia e in tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ne confermano l'importanza nelle abitudini alimentari dei popoli fin dall'età arcaica.

Il pesce siciliano nelle testimonianze archeologiche e nelle fonti letterarie

In Sicilia resti di pesci di grandi dimensioni, databili a partire dalla metà dell'VIII millennio a.C., provengono dalla Grotta Dell'Uzzo, tra Scopello e San Vito lo Capo. Frequenti sono anche le offerte votive di pesci nelle necropoli puniche e greche della Sicilia.

Negli scrittori sicelioti Epicarmo ed Archestrato si riscontrano frequenti riferimenti a pesci e pietanze a base di pesci, e si legge che la cucina antica prestava grande attenzione ai luoghi di provenienza dei diversi prodotti, molto apprezzato era il gusto del pesce siciliano.

Nel Gorgia platonico, Socrate cita Orchestrato di Gela e Mithaicos, autore, quest'ultimo, di un trattato sulla cucina siciliana.

Il gambero e il granchio di Catania erano così importanti nell'economia cittadina da comparire nelle monete; il termine greco “kàmmaros”, come tanti altri vocaboli relativi a pesci ed attrezzi di pesca, sopravvive nel dialetto siciliano”ammaru”.

Moneta con granchio senza calco

La salagione del pesce

La mancanza di mezzi per la refrigerazione condusse, già in età antica, alla ricerca di metodi per la conservazione del pesce; la tecnica più diffusa fu la salagione, si provvedeva, in un primo momento, alla sventramento del pesce che, una volta aperto, veniva strofinato con sale grosso. Il pesce salato, disposto a strati, ogni tre quattro giorni veniva capovolto e nuovamente lasciato a macerare. Questo procedimento aveva lo scopo di realizzare sia il drenaggio dei liquidi corporei, sia la penetrazione del sale nei tessuti e infine il rassodamento delle carni.

Il salato poteva essere consumato cosi com'era o dissalato in acqua (Plutarco, Quaest. con i, 9.1). La presentazione era assai varia: in fette triangolari (trigon), quadrangolari (tetragon) o cubici (kùbion). I filetti di tonno salati ed essiccati detti “melàndrya”, corrispondono, probabil-mente alle uova di tonno, ancora oggi così confezionate.

Questa gamma di preparazione del pesce salato si riscontra nei “tituli” apposti sulle anfore e spiega la presenza di numerose vasche di forme diverse in un singolo stabilimento.

La tassa sul sale

Lo storico E’tienne, nella sua opera “A' propòs du garum sociorum” (Ed. Latomus, 1970) avanza l'ipotesi che i sovrani ellenistici abbiano visto nel sale una merce particolarmente facile da tassare, quindi anche l'industria della salagione “(…) avrebbe potuto essere un'industria di stato o data in affitto, perciò oggetto di una contrattazione tra privati”.

Questa ipotesi trova conferma in un papiro (Pap. Lond, inv 2143) del II secolo a.C., dove si legge: “…la locazione per sei anni dei diritti di pesca è prevista dietro corrispettivo di 240 dracme, 30 anfore di salsa di pesce, due sgombri”. È evidente che la salsa di pesce sarebbe stata prodotta dal medesimo pescatore-conduttore.

Tipi di pesce

Gli antichi distinguevano due fondamentali tipi di pesce salato, a seconda che si trattasse di pesce senza squame (tàrichos tiltòn) o con squame (tàrichos lepidotòn) e procedevano al contempo ad un diverso grado di salagione: il tàrichos tèleios era pesce completamente salato e in quanto tale perfetto, l'emitàrichos era salato a metà, quindi parzialmente fresco, l'akropastos era, invece, soltanto leggermente salato in superficie.

Si distinguevano inoltre il salato grasso (tàriche piona) dal salato magro (tàriche apiona) la cui migliore preparazione era costituita dal tàrichos horaion prodotto in primavera con pesci giovani.

Il Tonno

Il famoso cratere del IV sec. a. C., con la scena del venditore di tonno, proveniente dalla necropoli di Lipari e custodito nella Mandralisca di Cefalù, conferma l'importanza del pesce in generale ed in particolare del tonno per l'antica economia siciliana. La frequenza di resti ossei di pesci e di conchiglie nei contesti archeologici siciliani ne dimostra la diffusione fin dalla più remota antichità.

La propensione delle più ricche mense omeriche verso la carne arrostita, che riservava ai poveri il consumo del pesce, se pur si impose in Sicilia, ben presto dovette apparire superata, le fonti greche, infatti, riferiscono di ricette siceliote a base di pesce. Apprezzatissimi erano: le murene del Peloro, il gambero imperiale di Catania, le conchiglie di Tindari e naturalmente il tonno ed il pesce spada.

La cattura del Tonno

Gli stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce non solo preparavano il “Garum”, ma soprattutto curavano la confezione del pesce salato e del tonno (tàrichos).

La cattura dei tonni, vivacemente descritta nelle fonti (Aristotile, Anim, hist. VIII 12ss, ed Eschilo, Pers. 424), pare che avvenisse secondo metodi vari, ma che il più comune contemplasse l'avvistamento a terra da parte di vedette, issate su posti di osservazione, capaci di valutare dal colore e dal movimento del mare l'entità del branco. I tonni, stretti in una grande rete e dalle barche che si accostavano le une alle altre, se ancora vivi, venivano uccisi, a colpi di fiocina o di bastone, e tratti sulle imbarcazioni o trascinati a riva nello stabilimento per la lavorazione. Se quindi, probabilmente, esisteva già nell'antichità una “camera della morte”, non sempre pare che ad essa si accompagnasse un sofisticato impianto di reti fisse, simile a quello delle attuali tonnare che però è citato da Oppiano a cui si deve una preziosa descrizione per la cattura del tonno. Oppiano cita l'uso di reti fisse già in età classica: “…si dispiega a livello dell'acqua una rete la cui disposizione somiglia a quella di una città, si vedono dei vestiboli e delle porte e come delle stanze e delle strade all'interno. I tonni arrivano in file, serrati come falangi di un popolo che migra; ve ne sono di giovani, di vecchi, ed altri che sono tra queste due età. Essi penetrano in numero infinito all'interno delle reti e questo flusso non cessa che quando non c'è più posto per i nuovi arrivati, si effettua così una pesca eccellente e veramente meravigliosa”.

Moneta con delfini

La lavorazione del tonno

Tracce di stabilimenti per la lavorazione del tonno si riscontrano in Nord-Africa, presentano un vasto recinto quadrangolare con al centro l'impianto di salagione vero e proprio costituito da numerose vasche rivestite in cocciopesto. In prossimità sono l'impianto di riscaldamento, che accelerava artificialmente il processo di macerazione, i magazzini per la conservazione delle anfore e, in un angolo dello stabilimento, una torre per l'avvistamento dei tonni. Si tratta di elementi che riscontriamo in tutte le tonnare della Sicilia sia orientale che occidentale.

Antichi stabilimenti per la lavorazione del pesce in Sicilia

Antichi stabilimenti per la lavorazione del pesce sono segnalati in diverse fonti e sono evidenziati, sul terreno, da inconfondibili vasche, disposte in serie lungo la riva del mare, circondate da frammenti di anfore utilizzate per contenere la salsa di pesce “garum” e il pesce salato”tàrichos”.

I primi impianti rinvenuti in Sicilia sono quelli di San Vito lo Capo (TP) e Cala Minnola (Levanzo) a questi si aggiunsero presto le strutture di Isola delle Femmine (PA), Punta Molinazzo (Punta Rais-PA), tonnara del Cofano (TP), San Nicola (Favignana), tutti ubicati nella Sicilia occidentale.

Nella Sicilia orientale, verso il 1980 per iniziativa della Sovrintendenza di Siracusa e dietro sollecitazione del professore Purpura, sono stati rinvenuti altri stabilimenti tra cui quelli di Capo Ognina, Torre Vindicari, Pachino, Portopalo.

Nel 1981, sulla costa di Portopalo, di fronte all'isola di Capo Passero, vennero alla luce uno stabilimento per la lavorazione del pesce “apud Pachynum”, menzionato da Solino (V.6) e da Ateneo (1.6), un altro a Capo Ognina e uno a Torre Vindicari (Noto).

Il confronto tra gli stabilimenti della Sicilia occidentale e questi ultimi della Sicilia orientale mette in evidenza che nello stabilimento di Portopalo esistono vasche circolari, ignote nella Sicilia occidentale. Lo stabilimento di Portopalo è un grosso complesso dotato perfino di una fornace, forse adibita alla fabbricazione delle anfore per esportare i prodotti dell'impianto. Il complesso comprende 12 vasche rettangolari, ordinate in file di 4 ed un altro complesso formato da 10 vasche circolari.

A monte una vasta area, con rozza pavimentazione, indicava forse un cortile destinato, verosimilmente, alla prima pulitura del pesce. La zona con le vasche circolari era sicuramente utilizzata per la preparazione del pesce salato “tàrichos”, quella con vasche rettangolari e quadrate era impiegata per la lavorazione della salsa di pesce il “garum”. 

Lo stabilimento è stato utilizzato per un arco di tempo molto lungo che va dall'età ellenistica e repubblicana fino al IV-V sec.d.C. Come nel caso degli stabilimenti della Sicilia occidentale, la presenza di importanti saline, ubicate tra Portopalo e Marzameni, indica che esse avrebbero potuto essere utilizzate per la lavorazione del pesce ed induce a credere che fossero già sfruttate in età antica.

Impianto di Torre Vindicari

L'impianto di Torre Vindicari è citato in un passo della “Storia Naturale”di Plinio (XXXII, 11-7). Anche questo stabilimento presenta numerose vasche simili a quelle di Portopalo. All'estremità della lingua rocciosa di torre Vindicari, una grande escavazione regolare nel banco di arenaria, senza alcun rivestimento interno, potrebbe indicare un adattamento del sito volto a ricavare una piscina per mantenere in fresco il pescato.

Torre Vindicari, schizzo della disposizione di alcune vasche erose dalle mareggiate

Gli storici Fazello e Guillon avevano collegato il toponimo di Vindicari ad alcuni funzionari bizantini i “Vindices”, che scomparvero poco dopo la metà del VI secolo e la cui competenza ad Alessandria “si estendeva alla amministrazione dei diritti di esportazione, ma ignoriamo quale fosse la loro competenza in Sicilia”. Il presunto collegamento del toponimo con la denominazione dei funzionari bizantini, addetti alla riscossione dei dazi doganali, potrebbe trovare conferma se venisse dimostrata l'utilizzazione dello stabilimento in quella età, quindi una esportazione del pesce salato, possibilmente soggetto a dazi.

Impianto dell'isola di Levanzo (Egadi)

Già nel 1977 un altro antico impianto per la lavorazione del pesce era stato riconosciuto da un turista in vacanza nell'isola di Levanzo. Nella lingua di terra che si protende verso oriente a Nord di Cala Minnola sono state rinvenute 8 vasche in cocciopesto e numerosi frammenti fittili assegnati all'età romana e soprattutto alla prima età imperiale. Tra i frammenti è riconoscibile un'ansa di anfora punica di tipo a sigaro e frammenti di un'anfora vinaria italica. Sembra, quindi, che questo impianto fosse già in funzione nel I secolo a.C.; col sopraggiungere del Medioevo, le antiche fabbriche per la lavorazione del pesce, cadendo in disuso la produzione del “garum”, si trasformarono in impianti assai simili alle moderne tonnare e spesso sono ubicate negli stessi luoghi degli antichi stabilimenti.

Levanzo, Grotta del genovese

Impianto di San Vito Lo Capo

Nei pressi della tonnara di San Vito lo Capo, lungo la riva del mare, intorno ad un piccolo magazzino quadrato, attualmente deposito di attrezzi per la pesca, si riscontra l'esistenza di numerose vasche rivestite in cocciopesto con intorno molti frammenti di anfore antiche.

Gli avanzi più cospicui dell'antico impianto si osservano attorno al magazzino, si contano almeno 10 vasche di dimensioni varie, gli angoli sono smussati, distanti tra loro circa 60 centimetri, la vicinanza delle vasche e lo spessore del muro che le separa è spiegata supponendo che i bacini venissero riempiti contemporaneamente bilanciandosi reciprocamente le spinte sulle pareti.

Tonnara San Vito Lo Capo. Le frecce indicano l'ubicazione dell'antico stabilimento per la lavorazione del pesce

Nelle vasche di San Vito, si constata soprattutto negli angoli, la sovrapposizione di numerosi strati, in cocciopesto piuttosto spessi; poiché solo tre strati sembrano costituire la consueta impermealizzazione, il numero di rivestimenti potrebbe significare una utilizzazione delle vasche per un arco di tempo molto lungo.

La modesta distanza tra i gruppi di vasche ad Est e ad Ovest del magazzino fa supporre che la costruzione di quest'ultimo ne abbia distrutte alcune, il numero complessivo di vasche risulterebbe, dunque, assai elevato, si può perciò supporre una varietà e una relativa abbondanza del pescato e l'uso di diverse preparazioni.

Qualche frammento di macina in pietra lavica indica, forse, una triturazione del sale prima della utilizzazione.

I numerosi frammenti di tegoloni, presenti nel sito, invece furono destinati, probabilmente, a ricoprire i modesti ambienti circostanti o addirittura le stesse vasche per proteggerle dalle intemperie.

In questi luoghi, non mancano rinvenimenti di strumenti da pesca come ami, navette in bronzo o in avorio, pesi in piombo o in argilla per le reti. Inoltre un antico relitto, segnalato da alcuni pescatori, nei pressi della tonnara, potrebbe essere collegato con le attività dell'antico stabilimento.

Rilievo dell'antico stabilimento per la lavorazione del pesce nei pressi della tonnara di San Vito Lo Capo.

Sulle origini del Garum

La questione dell'origine del “garum” è stata molto dibattuta; è certo che esso venisse preparato in vasche circolari rivestite in cocciopesto. Questo dato ha avvalorato l'ipotesi che la pregiata salsa fosse prodotta nei secoli VII e VI a. C., lungo le coste del Ponto, (vasche circolari sono state rinvenute in alcuni stabilimenti individuati sul Mar Nero) e fosse stata introdotta in Spagna dai coloni ionici per essere, poi, recepita dai Fenici, colà stanziati, che ne avrebbero fatto oggetto, sotto i Barcidi, di lucrosi commerci.

La spiccata facies culturale greca della Sicilia orientale e la presenza, in quel versante, di vasche circolari hanno avvalorato questa ipotesi, che, però, oggi, è stata rimessa in discussione per il rinvenimento di vasche circolari sia negli stabilimenti nord-africani sia a Marsala, nella scogliera di fronte al Baglio Anselmi, dove si conserva la nave punica. La questione dell'origine punica o greca del “garum” rimane, di conseguenza, ancora aperta.

La preparazione del Garum

Le caratteristiche vasche degli antichi impianti per la lavorazione del pesce, ampiamente menzionate nelle fonti, e chiamate dai greci “tàricheiai” e dai romani “cetariae”, sorgevano in prossimità delle saline perché destinate alla salagione del pescato e alla conservazione delle eccedenze, ma non solo, venivano, anche, utilizzate per la preparazione di un’apprezzatissima salsa il “garum”.

Il garum era prodotto dalle interiora di sgombri o tonni mescolati a piccoli pesci interi, il tutto era lasciato a macerare con il sale, per circa due mesi al calore del sole e quando si voleva accelerare artificialmente la macerazione ci si serviva di strutture di tipo termale evidenziate, sul terreno, da colonnine fittili di sostegno e dalla presenza di numerosi frammenti ceramici. Al termine il prodotto veniva filtrato, si distingueva il “flos” dal “liquamen” di minor pregio.

Peso per le reti da pesca

Il garum veniva consumato come condimento, talvolta miscelandolo col vino (oenogarum), o con olio (eleogarum) o aceto (oxygarum); pare che l'invecchiamento ne migliorasse la qualità.

Il migliore era ritenuto quello prodotto con viscere e sangue di tonno (aìmaton), ma ugualmente apprezzato era il garum nero di sgombro spagnolo. La preparazione di questa costosissima salsa è descritta da Cassiano Basso, in una compilazione bizantina del X secolo: “Geoponica”, che utilizzava fonti assai più antiche. Nel 46° capitolo Cassiano scrive: “Le migliori salse di pesce il “flos” e il cosiddetto sanguigno “aimaton” si preparano così: si prendono le interiora del tonno dalla parte delle branchie, siero e sangue, si sparge sale a sufficienza, si ripone il tutto in un vaso di terracotta per due tre mesi, senza coperchio rimestando periodicamente. Poi si fora il vaso e si estrae la salsa”.

Impianti per la piscicultura

L’importanza assunta, col tempo, dal pesce nelle mense degli aristocratici è testimoniata anche dai numerosi impianti per la piscicultura o peschiere che venivano costruite in mare, a ridosso della linea di costa. Il gruppo più numeroso è costituito dalle peschiere marittime, ma se ne conoscono alcune anche in acque interne, quasi sempre parti accessorie di ricche ville romane. La costruzione, su larga scala, di impianti per la piscicultura si sviluppò tra il I e il II sec. a.C.. In ambiente romano, dato l’alto costo per la costruzione di un impianto, i vivai per l’allevamento del pesce ebbero diffusione tra le classi di censo più elevato.

Rilievo della peschiera di Santa Marinella

A Roma, col tempo, il possesso di peschiere divenne una vera e propria moda, uno strumento per manifestare il proprio prestigio sociale. Le peschiere furono, anche, strumenti per migliorare le rendite con i proventi ricavati dalla vendita del pesce. Scrittori latini tra cui Columella e Varrone tramandano i nomi dei principali possessori di peschiere marittime, la richiesta di specialità gastronomiche sempre più raffinate contribuì alla loro diffusione.

In Sicilia, la famosa Colimbetra di Agrigento è forse riconducibile ad un impianto di piscicultura; un altro impianto, su terraferma, è stato individuato sull’Isola delle Femmine (Pa).

Rosa Casano del Puglia

Bibliografia

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  • Durante “Nota preliminare sull’ittiofauna e sullo sfruttamento delle risorse marittime” in Sicilia

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  • Foucher “Note sur l’indusrie et le commerce des salsa menta et du garum” Actes du 93^ Congrès

  • National des societies savants. Tours, 1986.

  • La Mantia “Le tonnare in Sicilia” Palermo 1901.

  • G. Purpura “Pesca e stabilimenti antichi per la lavorazione del pesce in Sicilia”. In Sicilia archelogica, 48, 1982.

Grotta del genovese


Testo ed immagini di Rosa Casano Del Puglia. Riproduzione, anche parziale, vietata. Pubblicato dal Portale del Sud nel mese di Settembre dell'anno 2011

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