Pensiero Meridiano

 

L’orgoglio di un laico

di Carlo Flamigni

In questo paese si registra un contrasto di opinioni talmente forte su alcuni temi genericamente definiti come «eticamente sensibili» (l'aborto, le famiglie di fatto, l'eutanasia, i possibili modelli di medicina, la ricerca scientifica e la sua autonomia) da dover considerare come almeno probabile una lacerazione - forse non irreversibile, ma certamente molto grave - della nostra società di uomini e donne. Ho consuetudine con le discussioni che si verificano negli ambienti scientifici (nei congressi, sui giornali specializzati).

Ne ho molta più di quanta non ne abbia in materia di confronto politico. Pertanto ho fatto quasi naturalmente un esame comparativo tra i due settori, nella speranza di poterne trarre conclusioni utili.

Le discussioni tra gli studiosi che si occupano di materie mediche e biologiche possono essere aspre e sgradevoli, ma ubbidiscono sempre ad alcune regole. La norma numero uno, quella che si potrebbe definire «aurea», è che nessuno può essere certo di aver ragione: la medicina è empirica e perciò per sua natura fallace, le verità scientifiche sono rarissime e perciò, dovendoci affidare soprattutto ai cosiddetti consensi, tutti sappiamo che la nostra probabile verità può dissolversi da un momento all''altro, perché molti consensi cominciano a morire nello stesso momento in cui si formano. In secondo luogo la scienza ha elaborato, per il confronto delle idee, metodi condivisi, che consentono di pesare le ragioni, di considerarle con il necessario distacco, di applicare la tecnica dello scetticismo organizzato, che è la forma più utile di autocritica che sia stata elaborata e alla quale ogni ricercatore è obbligato. Se qualcuno dovesse pensare che questi criteri valgono solo per alcuni argomenti, sbaglierebbe. Le commissioni di etica medica delle società scientifiche hanno sempre trovato soluzioni mediate e condivise; la task force di bioetica che ha scritto le linee guida sulla donazione di embrioni negli Stati Uniti ha elaborato un documento comune, nel quale ad esempio è scritto che l''embrione non è «né cosa né persona» e non c''è un astioso «non placet» dei medici cattolici presenti.

Le discussioni politiche sui temi eticamente sensibili offrono ben altro spettacolo. Anzitutto non esiste alcun metodo che consenta di valutare le varie posizioni con sufficiente distacco; in secondo luogo non c''è il benchè minimo rispetto per le ragioni degli altri, ma sempre e soltanto un autocompiacimento irritante, che può diventare persino ridicolo quando le posizioni vengono sostenute da chi non le capisce e si limita a condividerle.

Provate a cercare su un qualsiasi giornale le dichiarazioni che comincino con un civile «secondo me»: non ne troverete molte. Troverete molto più spesso soltanto critiche severe e sprezzanti rivolte a chi la pensa in modo diverso, volta a volta demonizzato, insultato, deriso. E poi troverete le incredibili e solidissime certezze degli incompetenti, il professore di filosofia del diritto che disserta di recettori steroidei, l''insegnante di ginnastica che pontifica sui percorsi scientifici più opportuni sulla ricerca sulle cellule staminali. Spero che qualcuno ricordi chi era Margite.

Lo so, la politica è cosa diversa: differenti i palcoscenici, i linguaggi, gli stessi tempi. Lo ammetto. Mi chiedo ugualmente se sia impossibile darle delle regole, trovare anche per lei un metodo condiviso che possa rivelarsi utile per la gestione dei conflitti e che consenta di mettere a confronto, con sufficiente civiltà, le varie posizioni.

Un grande numero di cittadini, in questo momento, si sta ponendo le stesse domande. Si chiede perché debba essere sempre negato alle ragioni degli altri rispetto e ascolto; si interroga sul reale valore delle urla e degli strepiti, dell''isterico principio televisivo che ha ragione chi strilla più forte fino a coprire la voce (e le ragioni) dell''altro. Leggo da qualche parte che i grandi polemisti televisivi cominciano a star sullo stomaco dei loro vecchi sostenitori. Esentatemi dagli esempi.

In realtà questo metodo esiste e non deve neppure essere cercato molto lontano. Quello che caratterizza i dibattiti scientifici è la laicità: nessuno è padrone di una verità assoluta; c''è rispetto per le posizioni di tutti; ogni qual volta è possibile si cerca di mediare tra le varie teorie. Credo che dobbiamo rivolgerci a questa stessa laicità per trovare un metodo democratico utile per la gestione dei conflitti delle idee e delle opinioni, come presidio a garanzia della libertà e della dignità di ciascuno di noi.

Non ci dovrebbero essere dubbi sulla definizione di laicità, un attributo fondamentale delle democrazie civili, patrimonio di tutti e di nessuno in particolare, metodo per la convivenza serena delle diversità. Tutto nasce dalla consapevolezza che in questo mondo ben poche cose sono illuminate dalla luce della verità, la maggioranza essendo relegata nel crepuscolo delle probabilità e delle possibilità. Questa tendenza a privilegiare il dubbio nei confronti delle certezze ha fatto considerare la cultura laica come un pensiero debole, una definizione che a me sembra superficiale e ingiusta: faccio sinceramente molta fatica a considerare debole il pensiero di Bobbio, Abbagnano, Viano, Lecaldano, Giorello, Mori e molti altri. E per quanto riguarda le tendenze anticlericali e antireligiose che hanno caratterizzato il pensiero laico nell''800, credo proprio che oggi non abbiano più ragione di esistere, tranne forse i casi in cui le autorità religiose cerchino di sopraffare l''inclinazione politica, un evento che - siamo onesti - tende a stimolare l''intolleranza anche nelle persone più civili.

A dir il vero qualche dubbio mi ha colto recentemente, vista l''insistenza di alcune persone che hanno cercato di spiegarmi che il «mio» concetto di laicità è sbagliato e mi hanno dato, della parola, la loro personale definizione, magari con qualche tendenza al neolinguismo (ad esempio: laicismo inteso come laicità radicale e funesta, alla faccia delle definizioni dei dizionari e dei filosofi). Voglio però resistere al desiderio di fare polemica e tornare al problema di fondo.

Dunque la laicità è un metodo indispensabile per mediare tra le ideologie (e anche per smascherarle): il suo principio fondamentale è che nessuno può pretendere di possedere la verità. È allora fondamentale che di laicità siano impregnate tutte le diverse voci presenti all''interno della coalizione di centro-sinistra, come criterio ordinatore e moderatore.

Temo infatti che nei confronti della laicità ci siano molti pregiudizi e molte resistenze: c''è persino ancora chi le attribuisce un significato anti-religioso, una interpretazione anti-storica che, come già detto, deve essere respinta con fermezza. Penso che questa sia una ragione (non la sola) delle strane resistenze e delle peculiari reazioni alle quali mi accade di assistere quando provo a sollevare il problema.

Mi limito ad un esempio. Recentemente ho firmato un documento in appoggio alla nuova formazione, certamente laica, della «rosa nel pugno», che mi piacerebbe molto veder far parte a pieno diritto della coalizione guidata da Prodi. La mia firma è stata interpretata da alcuni in modo strambo, e in particolare come un distacco dal partito al quale sono iscritto.

Questa interpretazione è esattamente il contrario di quello che penso e sostengo, perché vuol confinare i laici e il principio di laicità all''interno di uno specifico movimento politico, attribuendo così al laicismo il valore e il significato di una ideologia come altre. No, cari compagni. Io sono un laico, iscritto a un partito che di laicità se ne intende e al quale sono iscritti tantissimi laici come me. E poiché la laicità è un valore trasversale, mi sembra giusto che ai movimenti politici che la sostengono debba essere dato il rilievo che la questione merita. E lasciatemi vivere in pace dove sto, perché ci vivo molto bene.


L'Unità, gennaio 2006 

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