“Sentite, sentite questa: Scapagnini
assicura che Silvio può vivere anche 120 anni”
Il ragionier Falisi, tutto infervorato, agitava il
giornale per scuotere dal torpore i suoi sodali del circolo
pensionati. Una bella notizia per Berlusconi e i suoi seguaci, ma
anche una lieta sorpresa per quei vecchietti che, da tempo, avevano
superato la metà del nuovo traguardo.
Com’era prevedibile, l’annuncio provocò qualche
alterco e rari consensi e soprattutto tanti risolini speranzosi e
smorfie di evidente scetticismo.
Nel bel mezzo del trambusto, si levò zio Bertino,
ortolano e poeta sopraffino, che sentenziò:
“120 anni! Sei generazioni in una vita sola? Una
follia! Adulazione per accattivarsi i favori di Berlusconi… Non date
retta alle chiacchiere e ascoltate questa storia che è più
istruttiva dell’articolo del giornale!”
Ottenuto il silenzio richiesto, iniziò a narrare.
Quando Gesù camminava per il mondo, giunse, in un
giorno d’estate, alle pendici del monte Atabirio, e imboccò la
discesa per Muxarello, nel cuore d’argilla di questa nostra Isola
anticamente chiamata Trinacria.
Qui, dove un rio ingrottato nelle viscere della
montagna esce alla luce e si spalma, baldanzoso, sopra una radura
d’erbe balsamiche, incontrò un viandante lacero e stanco,
rannicchiato all’ombra di un pero selvatico.
Cristo lo guardò con un sorriso e gli rivolse parole
soavi.
Un’armonia insolita ravvivò quel “punto d’acqua”,
quella natura aspra e solitaria. Il viandante fissò quella figura
che brillava di una luce strana.
Chi era quell’uomo che trasudava un’essenza divina?
Osservò le sue mani protese e si avvide dei segni
lasciati dal supplizio. Ora non aveva più dubbi: era certo di
trovarsi al cospetto del Cristo risorto.
Ripresosi dallo sgomento, il viandante volle togliersi
un pensiero che, da qualche tempo, l’assillava.
“Maestro, a te che nulla sfugge, puoi dirmi quanto
sarà lunga la mia vita?”
Gesù, nella sua beata serenità, rispose senza indugi.
“Cinquant’anni”.
“Cinquant’anni! Così poco?”- dolente, il viandante.
“Ti bastano, ti bastano.”
“Maestro, ti prego, fammi campare qualche anno di
più, ho una numerosa famiglia da sfamare e tre figlie d’accasare”
Mentre così implorava, sopraggiunse un asino che
annaspava sotto una pesante soma. Il suo mantello nero, lucido di
sudore, era punteggiato di piccole ferite sanguinolente alle quali
erano attaccati sciami di mosche assatanate.
La bestia alzò gli occhioni tristi verso il Cristo e
così l’apostrofò.
“Maestro, per favore, ditemi: quanto sarà lunga la mia
vita?”
“Quarant’anni”, rispose il Nazareno.
L’asino fece una smorfia come di fastidio.
“Quarant’anni! Sono troppi. Non vedi la vita che
faccio? No, sono troppi, me ne bastano venti”
A questo punto, s’intromise il viandante: “Maestro, se
per lui son troppi, potrei prendere io i suoi vent’anni superflui?”
Gesù gli gettò uno sguardo quasi sdegnoso, tuttavia
acconsentì alla richiesta.
L’asino, appagato dall’insperata detrazione, si era
già avviato per l’erta impervia, quando si avvicinò un cane lercio,
affamato, con la lingua penzoloni.
“Maestro, ti prego, dimmi: quanto durerà questa mia
miserabile esistenza?”
“Vent’anni”, rispose il Cristo.
“Altri dodici anni di fame e di botte! No. Sono tanti.
Non li potrei sopportare. Sarei contento della metà. Sì, dieci anni
mi bastano e m’avanzano…”
Il viandante pareva incontenibile. Si fece avanti e,
un po’ impacciato, domandò:
“Maestro, se non hai nulla in contrario, posso
prendere i dieci anni che lui rifiuta?”
Gesù oramai appariva un tantino seccato. Gli venne il
sospetto che quell’uomo ingordo, sotto sotto, aspirasse
all’immortalità che sapeva essere un desiderio piuttosto diffuso fra
gli umani.
E dire che gli erano stati concessi settant’anni. Un
tempo più che doppio di quello che a Lui aveva accordato il
Padreterno per portare a termine la sua missione sulla terra.
Con le sue pretese, quell’uomo stava turbando la
serafica magnificenza del Cristo che non ricordava tanta insolenza.
Certo, c’era il precedente di Adamo che aveva donato
quaranta dei suoi mille anni di vita a Davide al quale erano state
concesse soltanto tre ore di vita, ma fra i due casi non c’era
confronto.
Adamo era Adamo, il progenitore dell’umanità che si
sacrificò in favore di un predestinato cui Dio aveva assegnato un
compito davvero speciale che, certo, non poteva adempiere in tre
ore!
Quel viandante stava oltrepassando tutti i limiti.
Eppure, non se la sentì di fargli un diniego e
pronunciò un sofferto “E sia” che rallegrò il cuore di quel
petulante.
Ma la faccenda non s’era conclusa. Come se quel giorno
Gesù avesse dato appuntamento in quella incognita radura a un’intera
schiera di bestie scontente della vita.
Di lì a poco, infatti, sopraggiunse una scimmietta
saltellante, la quale stupita di trovarsi al cospetto del Cristo
redentore volle conoscere ciò che la sorte le aveva riserbato.
“Maestro, tu che sei onnisciente, puoi dirmi quanti
anni durerà la mia vita?”
“Vent’anni”
“Vent’anni! Così tanti? Dieci sono più che
sufficienti”
Il viandante, che non capiva il motivo di quelle
rinunce, pensò di cogliere la nuova opportunità.
Tutto vergognoso, gli occhi abbassati per evitare lo
sguardo severo di Cristo, alzò un dito e farfugliò: “Maestro,
potrei…posso prendermi anche questi dieci anni che lei rifiuta?”
“Fai come più t’aggrada e vattene per la tua via”, lo
licenziò il Cristo, con uno scatto d’ira.
Giunto alla soglia dei novant’anni, il viandante sentì
approssimarsi la fine dei suoi giorni. Era tempo di bilanci e
soprattutto di preparare l’anima per la trasvolata celeste verso il
trono della Maestà divina che, certamente, gli avrebbe posto qualche
domanda imbarazzante.
Ripassò con la mente le tappe principali della sua
lunga vita, le sue quattro età.
Fino a cinquant’anni, la sua esistenza scorse serena.
Certo, in casa non regnava l’abbondanza e faticava dall’alba al
tramonto, tuttavia si sentiva pago di quanto aveva ricevuto dalla
vita: una salute di ferro e buoni raccolti per mandare avanti la
numerosa famiglia. Ai suoi figli non mancò mai il pane.
I guai iniziarono a manifestarsi dopo i cinquant’anni:
le ossa, appesantite, faticavano a reggere il peso del duro lavoro,
gli acciacchi lo tormentavano in più parti del corpo.
Persino la moglie prese a lamentarsi che la
trascurava.
E i figli che erano stati il suo orgoglio di padre ora
rappresentavano un assillo. Soprattutto le tre femmine che non
trovavano marito.
Insomma, furono vent’anni di vita inquieta, stentata,
dura da sopportare, come quella di un asino schiacciato da una
gravosa soma.
Allo scoccare dei settant’anni, la sua esistenza
divenne davvero impossibile. Vecchi e nuovi malanni s’impossessarono
del suo corpo intisichito; l’arteriosclerosi gli devastò il
cervello. Impedito di lavorare, restò in paese a oziare. Misero e
lagnoso, s’impicciava in faccende che non lo riguardavano,
sragionava, litigava con i vicini e con gli amici al circolo.
Divenne un vecchio pettegolo, ringhioso che tutti
scansavano come un cane rognoso.
Oltre gli ottant’anni, l’umiliazione e la decadenza
totale. Era sordo e quasi cieco. Il suo corpo fragile prese a
incurvarsi verso il basso, le mani scheletriche rasentavano il
suolo. Praticamente, camminava a quattro zampe, come una vecchia
scimmia anchilosata dagli anni e dai malanni.
Ripensò all’incontro col Cristo e al tempo vissuto
durante le sue quattro età: la prima fu serena, le altre tre
sommamente deludenti. Era pentito di aver chiesto a Gesù tutti
quegli anni.
Desiderava sfogarsi con qualcuno, ma nessuno era
disposto ad ascoltarlo.
Perciò, parlò a se stesso con queste parole “Meno male
che quel giorno non si trovò a passare da quelle parti un serpente,
altrimenti avrei ancora qualche anno da strisciare….”
Agostino Spataro
Joppolo Giancaxio, Agosto 2011
Note
Questa storiella, raccontatami da un mio zio (Angelo
Cultrera) ortolano e poeta dialettale, contiene una morale che oggi
sarebbe bene osservare: ognuno deve vivere l’età che gli è propria,
e per il tempo stabilito da madre natura, e soprattutto non
desiderare la vita degli altri.
Racconto
pubblicato il 7 agosto 2011 in “Oggi7”, magazine del quotidiano
italo- Usa “America oggi” di New York. |