Pensiero Meridiano

 

Un voto per il Sud

Editoriale de Il Portale del Sud

Vi sono degli elementi di giudizio che a ns. avviso non dovrebbero mai essere dimenticati dalle donne e dagli uomini del Sud al momento del voto. Proviamo a riassumerli.

Votare o non votare

Il voto è importante perché è l’unica forma in cui possiamo esprimerci, noi liberi cittadini, circa il futuro del nostro Paese. Non votare è gesto inutile e autolesionista. Non serve a niente, anzi – matematicamente parlando – aumenta il “peso ponderale” di chi è andato a votare, a lui con l’astensione abbiamo di fatto delegato la scelta che non abbiamo voluto o saputo fare.

Il voto deve essere dato ai candidati che esprimono le nostre idee, difendono i nostri interessi collettivi, che sono ben più importanti di quelli individuali, in quanto universali e favorevoli alla crescita civile dell’intera popolazione. Non si sopravvive da soli. Non si prospera se quelli che ci circondano muoiono di fame. Concetti elementari su cui non si può non essere d’accordo, supponiamo.

Non si deve fare di tutta l’erba un fascio: ci sono partiti che si sono profondamente rinnovati e selezionato i candidati attraverso primarie ed atti di democrazia, altri che invece sono di proprietà di vecchi tromboni che ci hanno condotto al limite del fallimento.

Quali sono gli interessi collettivi del Sud? La difesa del potere d'acquisto e dei risparmi, l'occupazione, l'uguaglianza rispetto alle altri parti d'Italia... Proviamo di seguito ad analizzare, sia pure sinteticamente, punto per punto.

Potere d’acquisto

Al primo posto metteremmo la difesa dell’Euro. Il Sud, infatti, si giova del potere di acquisto della moneta unica, stabilito su base europea e non dai banchieri nazionali. Si giova il Sud della stabilità della moneta, perché cambiarla con una valuta nazionale equivarrebbe a svalutare i nostri già precari introiti. Il Nord, più ricco, potrebbe al limite sopportare una inflazione. Da noi la paga o la pensioncina sono già di per sé scarse, e comunque circa la metà che al nord, e la svalutazione renderebbe proibitivi i costi di benzina, luce, gas, servizi (il cui valore è stabilito su scala mondiale) e ci ridurrebbe alla fame come in Grecia. La chiusure delle frontiere e il ritorno all’autarchia ed al baratto, come auspicato dal duo Grillo-Casaleggio e dai nostrani restauratori dell’Ancien règime ci farebbero piombare in una società feudale.

I partiti che hanno messo in dubbio la permanenza nell’Euro sono: il PDL di Berlusconi con i suoi alleati (mascherati e non), la Lega Nord (sodale più che alleata di B.), Grande Sud ed anche il Movimento 5 Stelle. Tali movimenti rappresentano quindi un pericolo per il Sud. Un salto nel buio. Una loro presenza rilevante in Parlamento determinerà lo scetticismo degli investitori e la sfiducia nei confronti dell’Italia. Il tutto comporterà, come già successo, l’aumento degli interessi sul Debito Pubblico e il ritorno al rischio default, con possibile cacciata dell’Italia dall’Euro. Chi pensa che il nostro Paese, debitore ed a caccia di soldi in prestito per il mondo, rappresentato da Berlusconi possa fare la voce grossa in Europa, prende una cantonata: gli hanno già riso in faccia e lo rifarebbeo ben volentieri.

Occupazione

Il Lavoro. Il Sud dipende dal lavoro, che non c’è e, se anche si trova, non da sicurezza per l’avvenire. Qui la scelta è molto facile: Berlusconi e i suoi sodali/alleati hanno distrutto in dieci anni l’economia italiana. È incontrovertibile, perché solo un somaro può accettare la tesi che a provocare la crisi siano state solo le decisioni del governo Monti degli ultimi mesi! In realtà Berlusconi non ha mai abbassato la pressione fiscale sotto il 40%, ha goduto di risorse immense gestendo – come ha gestito – il passaggio lira-euro (drenando cioè il 50% del risparmio delle famiglie equiparando l’euro a 1000 lire, anziché 2000). Nonostante questo non ha combinato nulla se non far passare l’Italia del quarto posto come potenza economica mondiale al decimo o tredicesimo posto!

I posti di lavoro non si creano più con un’economia di stampo liberista, perché i canoni di tale ideologia fanno propendere a trasferire le fabbriche in Serbia e le coltivazioni dei fiori in Africa, inseguendo senza fine il più basso costo della manodopera. I vincoli europei imporranno, a prescindere da chi governerà, di proseguire con le politiche economiche liberiste. Ma l'Europa può cambiare se cambiano i protagonisti: l'avvento in Francia di Hollande è un buon segnale in tal senso. Ma se sventuratamente in Italia confermassimo Berlusconi (o Monti), non potremmo aspettarci alcun miglioramento di indirizzo economico. Monti è liberista per ideologia, Berlusconi per cialtroneria internazionalmente riconosciutagli! Chi tra i meridionali darà il voto a costoro, lo farà quindi a scapito degli intessi del Sud.

L’uguaglianza

Il Sud ha meno risorse del Nord, per cui da noi la difesa del principio di uguaglianza dovrebbe essere una priorità per tutti. Come noto, da noi il reddito è circa la metà che al nord: è giusto e sacrosanto che perciò il Sud contribuisca di meno all’erario: in ogni parte del mondo civile chi ha meno paga meno, perché così in proporzione il sacrificio è uguale per tutti. Non c’è niente di strano quindi che lo Stato abbia il compito di ridistribuire le ricchezze a favore dei più deboli, ed il Sud è più debole. Altrimenti, cioè con il federalismo fiscale del 75% proposto da Lega e Berlusconi, come farebbe un ospedale del Sud a dotarsi un’apparecchiatura, quando questa costa quanto al Nord, ma le risorse disponibili sono la metà?

In realtà, la ridistribuzione delle ricchezze è un atto dovuto in base al principio dell’uguaglianza. Malaffare, clientelismo ed assistenzialismo sono mali che non dipendono dalla ridistribuzione, tant’è vero che hanno prosperato con Berlusconi che di ridistribuzione conosce solo la parte relativa a se stesso.

Chi vota per Berlusconi o per i suoi “schiavottelli”, va contro l’uguaglianza, e tradisce gli interessi del Sud.

Fiscalità

Tasse. Questa campagna elettorale invece non ha avuto al centro i grandi temi come scuola e cultura, sanità e diritti civili né i temi del lavoro e dello sviluppo, ma quello delle tasse. O, meglio, della Tassa per eccellenza (l'Imu). Tassa che Berlusconi ha promesso di abolire su tutte le prime case (anche sugli immobili di lusso, compresa la sua, quelle dei suoi figli e delle ex mogli) e di restituire i soldi già versati nel 2012.

Il suo è un inganno bello e buono, demagogico, sbagliato e pericoloso. Contribuirà a portargli molti voti, costringendo tutti gli altri competitori ad imperniare sull’IMU la campagna elettorale, ma resta una presa in giro, solo che è talmente lampante da rischiare proprio per questo di non essere colta, come quando cerchiamo le chiavi di casa negli angoli più disparati e non ci accorgiamo che fanno bella mostra di sé al centro del tavolo. NON rimborserà l’IMU con i soldi SUOI, ma con i NOSTRI! Il primo beneficiario dei soldi dello Stato sarà lui stesso! I soldi verranno sottratti da altre voci di spesa (Scuola, Sanità ecc. ecc.). Il tutto mentre a Napoli non ci sono i soldi per comprare il gasolio del trasporto pubblico, tanto per dirne una! Berlusconi si sta comprando gli elettori con i soldi pubblici! Le spese per lettere che sta inviando casa per casa, le paghiamo noi coi rimborsi elettorali!

Berlusconi ha sempre aumentato il debito pubblico e la pressione fiscale, questa è la realtà. In particolare è riuscito dal 2008 al 2011 ad aumentare il deficit di 20 punti (dal 103% lasciato da Prodi al 123%del 2011). Non ha mai combinato nulla di buono, ha imbrogliato il Sud per due decenni, con il semplice trucco di presentarsi SOLO al Nord con la Lega, ma poi perseguendo nei fatti la politica anti-meridionale di Bossi e Maroni, instaurando il più inefficiente federalismo del mondo, dove un Batman-Fiorito ha potuto riempirsi di soldi pubblici senza darne conto, dove alcuni chirurghi lombardi hanno potuto togliere polmoni sani in cliniche private per arrotondare, a spese della Regione, i loro introiti.

Berlusconi ha tenuto impegnato mesi e mesi il Parlamento a discutere di devolution, di lodi Schifanoi-Alfano, se Ruby fosse o meno egiziana, se lui dovesse essere processato o meno… Ora gli pende sul capo la condanna in primo grado ad anni di galera e interdizione dai pubblici uffici, tutto lascia pensare – essendo le prove schiaccianti – che la condanna possa passare in giudicato, e allora? Che si presenta a fare? Per dividere il Paese ancora una volta tra amici e nemici? Per sfuggire ancora una volta alle sue responsabilità mettendo a rischio la tenuta della democrazia in Italia? Ma chi se ne frega di Berlusconi!

Il Sud starà sicuramente meglio senza il vecchio di Arcore e i suoi sodali leghisti, paraleghisti e filibustieri!

Immigrazione

Assolutamente trascurato è stato il tema dell'immigrazione. Perfino la Lega ha dimenticato, presa com’era a promettere il 75% delle tasse ai suoi elettori, i rigurgiti xenofobi sugli immigrati che delinquono, minano le fondamenta etniche e culturali della nostra civiltà e tolgono il lavoro agli onesti cittadini di stirpe celtica. Forse perché la crisi ha diminuito i flussi verso il nostro paese o forse perché gli servono argomenti più forti per recuperare il voto di protesta di cui viveva e che oggi sembra convogliato verso il Movimento 5 Stelle. Una formazione questa che ammicca molto alla retorica anti-tasse e antistato da sempre cara alla base leghista e berlusconiana e come loro a connotazione fortemente populista, il cui leader, inoltre, gareggia in volgarità e buffoneria con Berlusconi e come lui disprezza le più elementari regole della democrazia rappresentativa come, ad esempio, il confronto diretto con il mondo dell’informazione e il dibattito. Sono ammessi solo monologhi. E sulla scia dei monologhi è seguito da due tra i più prolifici e logorroici monologhisti dei nostri tempi: Fo e Celentano. Purtroppo, nell'endorsement a Grillo, Fo si presenta come un clown triste a ridosso del ridicolo.

La senilità per molti non è sinonimo saggezza ma di farsa. D'altra parte ricordiamo che Fo e Celentano sono due tra i più grandi monologhisti che ci siano in commercio. Manca solo Villaggio e Grillo ha fatto il pieno di buffoni. Battendo lo stesso Berlusconi.

Destre e sinistra

In questa campagna elettorale ricca di invettive, cagnolini e isterismi due, in fondo sono le novità: Beppe Grillo con il M5S e Antonio Ingroia con Rivoluzione Civile. Ma con una differenza fondamentale. Il primo sostiene che destra e sinistra siano concetti obsoleti, non più in grado di descrivere la realtà, specie per i giovani. Il secondo invece afferma con forza il suo essere di sinistra.

In verità, secondo la nostra modesta opinione, la differenza tra destra e sinistra è l’unica cosa in cui dobbiamo e possiamo ancora credere. La destra, in questo momento, significa l’Europa di Monti e della Merkel, delle banche e della messa in ordine dei conti con scarsa attenzione alla popolazione che lavora. Significa anche Berlusconi, che fa passi indietro, appoggia il governo tecnico di Monti, si ritira, chiede a Monti di prendere il suo posto a capo dei “moderati”, ci ripensa mentre Alfano tapino sogna di poter fare le primarie di destra, si ricandida, dice che Monti è un mascalzone e che è stato "costretto" (da chi?) ad appoggiarlo votando una ventina di fiducie in Parlamento. Una destra che è tutto e l’incontrario di tutto, senza offrire alcuna prospettiva se non quella di continuare a sostituire Dio con il Mercato e l'etica con le Olgiatine.

La sinistra, invece, significa più politica sociale, meno disuguaglianze, sostegno ai diritti civili, attenzione al patrimonio artistico e culturale e una tassazione progressiva che trasferisca, almeno in buona parte, il peso fiscale dalle pensioni, dal reddito fisso e dalla classe media ai grandi patrimoni ed alle rendite parassitarie.

Fara Misuraca

Alfonso Grasso

Febbraio 2012


Gli editoriali del sito sono scritti congiuntamente da Fara Misuraca ed Alfonso Grasso


Il Commento

di Antonio Casolaro

Al di là del c.d. voto ragionato, quello che fa capo alle convinzioni di una parte più o meno larga dell’elettorato, che si ritrova per affinità di vedute, per rappresentazione degli interessi, ed infine, perché no, per simpatia nei confronti di questo o quel premier o sedicente tale, c’è in questa tornata elettorale che di qui a poche ore aprirà i seggi una sorta di apatia o come forse sarebbe meglio dire d’indifferenza, se non proprio per taluni di avversità al ceto politico che si presenta e che chiede il voto. Relativamente a questi ultimi, rappresentata in massima parte da gente comune, di senza partito, di semplici cittadini che proprio per la loro provenienza si può ben dire che non hanno una storia e quindi un’appartenenza politica. In conseguenza di ciò questa moltitudine non ha potuto proporre né poteva essere altrimenti una classe dirigente. Il loro scopo o forse sarebbe meglio dire la loro aspirazione è quella di abbattere il sistema.

In questa realtà ha grandemente influito la presenza e l’agire del “corazziere d’Arcore” il terminale degli interessi da bottega dei c.d. ceti medi “produttivi” di quelli sorti e sviluppatisi lavorando senza tregua, badando soltanto o soprattutto al conto in banca, pronti a seguire questo o quel personaggio che promettesse meno tasse e meno aperture, meglio se del tutto abolite, verso la sx. Questo centro orriblis confligge con i primi, i quali all’inizio cedettero pure forse al paventato rinnovamento fatto di “patti e contratti” con gli elettori miseramente dimostratisi “scartiloffi” o specchietti per le allodole come il milione di posti di lavoro, l’abbassamento delle tasse e l’aumento dei salari.

Da chi farsi rappresentare allora se non da un comico attraverso lo slogan espresso o sottinteso “che il sistema sarà seppellito da una grande risata”. Grillo è il terminale di questa rivendicazione, lo è e lo è diventato sulle ceneri della prima e della seconda repubblica miseramente fallite, la prima sotto i magli di tangentopoli e la seconda sul perdurare della prima cui si sono aggiunte le devastazioni e le distruzioni della rivoluzione neoliberista. Di certo lunedì notte ad urne chiuse e conteggi eseguiti una pattuglia numerosa di cd grillini entrerà nella camera dei deputati ed in quella di palazzo madama. Che farà ? Come si comporterà ? Qui è come si dice il busillis. Come si comporteranno gli altri “unti del signore” o “conquistadores” o come li chiamava Vargas nella “Festa del Caprone” appunto “Cabrones” quando dovranno prendere atto che i deputati ed i senatori “grillini” restituiranno il 75% delle indennità parlamentari, così come hanno fatto gli onorevoli a palazzo dei Normanni in Sicilia? Ci sarà da ridere se si pensa al magna-magna che ha investito una larga parte di questo o quel deputato, di questo o quel senatore in nome proprio o dentro il porto delle nebbie del partito di appartenenza.

A favore di Grillo però gioca un fatto già sottinteso nelle considerazioni precedenti è cioè che il comico genovese, lo si accusi con tutti gli epiteti vecchi o coniati di nuovo, ha rappresentato e rappresenta il guastatore della politica degli ultimi trent’anni, quello che lo si voglia o meno ha aperto gli occhi a tanti e tante cittadini di tutte le categorie.

Quello che è mancato nella classe dirigente attualmente in giro è la constatazione e quindi la convinzione che le vecchie categorie interpretative della politica sono saltate del tutto e che quindi era necessario andare oltre.

E’ mancata forse nelle valutazioni recenti e passate della cd fase la considerazione che sulla rivoluzione liberista, quella iniziata per intenderci dalla Teatcher e da Reagan, tutte le vecchie categorie interpretative, come già detto prima, sono saltate. Le classi, intendendo per tali quelle del ceto medio e quella operaia sono state frantumate. Il per se non esiste più né è dato sapere come e quando si ricomporrà e quale politica produrrà.

Per esempio, continuando il ragionamento accennato prima, è ancora pensabile la costruzione e lo sviluppo delle cittadelle operaie, quelle che nel bene e nel male hanno generato alleanze e quindi politica e con esse classe dirigente ? Assolutamente no, secondo chi scrive! Da questo punto di vista Fukuyama nella sua “fine della storia” aveva forse ragione. Insomma è venuto meno “il navigare con la corrente”, per cui tutto è da definire e costruire.

Spostando lo sguardo verso settori più vicini alle proprie convinzioni e seguendo l’impostazione fino ad ora proposta emerge innanzitutto che la sinistra uscita fuori dall’89 deve interrogarsi come dire su quello che vorrà fare da grande. Per fare ciò la sinistra se è tale deve uscire dalla subalternità della politica della vita al neoliberismo. Ciò significa affrontare con sufficiente convinzione le debolezze scaturite dalla subordinazione del lavoro e delle disuguaglianze sociali.

Rifugiarsi nelle migliori delle ipotesi nel ridotto della difesa della morale, della giustizia, dei diritti civili, della sessualità etc., senza una politica positiva e di attacco del lavoro significa che non si è in grado di immaginare la traduzione del lavoro in politica e quindi non essere capaci di proporre una politica di indirizzo e di governo politico dell’economia.

Le nostre conoscenze ci dicono che la politicità del lavoro è esplicita ed evidente nel “Grande Vecchio”: il lavoro unisce e divide; sappiamo che esso è la fonte del valore e dello sfruttamento, della ricchezza e della povertà. Che il lavoro sia il cuore di uno scambio di equivalenti è per Marx una mistificazione che dalla sua scoperta e dalla sua teorizzazione non ha trovato il superamento. Naturalmente la riproposizione di questa verità non potrà assumere valore fondativo e d’indirizzo nel progetto di un partito riformista quale dovrà e potrà essere il partito di sinistra che il paese si aspetta e del quale necessita, ma che almeno faccia parte delle fonti costitutive di esso, che sia insomma ancora contro le derive del neoliberismo.

A tale riguardo nel dicembre 2010 l’allora ministro del lavoro tal Maurizio Sacconi affermò che l’accordo di Mirafiori costituiva la fine del controllo sociale sull’impresa. Una tale affermazione sostenuta dalla realtà del fatto significò l’abbandono di quello che fino ad allora la Costituzione esigeva, nel senso che il lavoro non sia considerato un fatto privato tra il lavoratore e l’imprenditore. Il lavoro è e continua ad essere almeno fino a quando vige l’attuale Costituzione una questione sociale in un orizzonte politico.

Quello che Bersani ed i dirigenti del suo partito crediamo ahinoi capirono, almeno lo speriamo, ma che non furono conseguenti rispetto alla risposta, fu che la fine del controllo sociale sull’impresa fu fatto passare dai suoi sostenitori, compreso Bonanno e quell’altro della Uil, come libertà, laddove viceversa divenne la libertà di una parte sola, annullando il compromesso socialdemocratico che non era certo la libertà appunto di una Parte del lavoro.

Insomma il lavoro è stato sconfitto dal capitale, marginalizzato dalla cultura e dal discorso pubblico. Nella concezione neoliberista il lavoro diviene una necessità, un qualcosa che va desiderato e guadagnato ad ogni costo. Il lavoro viene fatto mancare, come pena preventiva e aggiuntiva rispetto alla pena che sarà il lavoro quando sarà trovato. Nella migliore delle ipotesi, il lavoro diventa un privilegio, il premio di una competizione tutta individualistica, solitaria. “I giovani devono rendersi conto che un posto di lavoro non è qualcosa che ottieni per diritto, ma qualcosa che conquisti, per cui lotti, per cui devi fare sacrifici senza essere troppo schizzinosi” come ha detto la Fornero.

A questa realtà senza proporre voli pindarici di sinistre spacca tutto che non ci sono e che non nascono da un giorno all’altro deve rispondere, adattarsi ed essere conseguente il Bersani dell’occasione. Non esserlo significa retrocedere ulteriormente con tutto quello che potrà avvenire in termini di derive ben note.

Ecco in una prefigurazione di un Governo che sappia dire a tutto il marciume che dal ’94 ad oggi si è alternato e che alla luce della macelleria sociale prodotta a cominciare dalla “patrimoniale” imposta alle classi meno abbienti – pensionati, lavoratori e lavoratrici dipendenti, disoccupati, studenti figli e figlie di chi vive di lavoro, migranti – che il pareggio di bilancio ossia il fiscal compact della troika finanziaria deve essere sostituito da una politica per la gente a cominciare dall’introduzione del reddito minimo garantito per tutti e tutte, in un quadro di recupero attivo e primario dello Stato quale regolatore di sviluppo e di perequazione dei livelli di vita dei territori è possibile anche aderire ad una forza politica che accetti e s’impegni ad attuare il programma accennato.

Antonio Casolaro - Caserta

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino- il Portale del Sud" - Napoli e Palermo

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