Pensiero Meridiano

 

Federalismo, ovvero “il mal padano”

Editoriale del Portale del Sud

"la sicurezza del potere si fonda sulla insicurezza dei cittadini"

Leonardo Sciascia, "Il cavaliere e la morte"

Rieccoci col federalismo panacea di tutti i mali: ricorrente e implacabile come un monsone, promessa elettorale difficile da mantenere ma non da reiterare. L’ultima “bozza Calderoli”, partorita cenando nella sontuosa villa del premier delle libertà proprie (e non nelle opportune sedi istituzionali), è stata preceduta e accompagnata da dichiarazioni e dibattiti che hanno del surreale: Garibaldi, l’Italia, la monnezza napoletana, la scuola siciliana, i professori meridionali, i tifosi napoletani e catanesi, le prostitute (quale novità!), gli immigrati cattivi, l’arretratezza del sud… Gli stessi argomenti che nei mesi estivi sono stati serviti in salsa padana per distrarre l’opinione pubblica dai veri problemi: la situazione economica in sfacelo e la deriva morale e sociale del Paese.

Certo, tante voci serie si sono levate a difesa della scuola e della storia. Ma nessuna di esse ha messo alla berlina, neanche in tono ironico, l’ottusità di coloro che dopo 148 anni di unità nazionale, qualunque sia stato il modo con cui è stata raggiunta, continuano a cimentarsi nel più rozzo campanilismo: un pullulare di filopadani, autonomisti, separatisti, federalisti che sembrano aver dimenticato che l’Italia fa parte del contesto europeo e partecipa al processo di globalizzazione economica. Il provincialismo di costoro che non hanno forza e risorse di competere a livello planetario, fa venire in mente lo struzzo, che mette la testa sotto la sabbia credendo così di nascondersi! Produrre mutande e reggiseni a prezzi stratosferici o Ferrari extralusso per sultani in vacanza, non è proprio quello che si può definire un prodotto “competitivo” in grado di reggere l’economia di un paese di 60 milioni di abitanti.

Intanto nella “Bozza Calderoli” si continua a prospettare l’eutanasia dello Stato centrale in materia di promozione e garanzia dei diritti civili e sociali sanciti dalla Costituzione. All’ovvio concetto che le entrate tributarie vengano spese laddove necessario, la “bozza” sostituisce quello che le imposte appartengono soltanto al territorio nel quale si raccolgono. Per cui se un barese si ferma in un autogrill a bere un caffé, paga la tassa al “territorio” in cui si trova in quel momento, come avveniva per i viandanti nel Medio Evo. La “comunità più larga”, l’Italia, di cui si è parte per cultura, storia, istituzioni, economia non ha voce in capitolo, come se l’economia di un territorio non dipendesse anche dalle politiche nazionali e dai fattori produttivi provenienti da altri territori. Si è mai chiesto il ministro della semplificazione, se esisterebbe oggi la “Padania” se negli anni ‘90 si fosse seguito l’antieuropeismo leghista? E quanto capitale umano formato nel Mezzogiorno è stato consumato nel Nord?

Per il “celtico” (alto e biondo?) e semplice Calderoli e per i suoi seguaci di tutt’Italia, non siamo una nazione, ma tante “piccole patrie” e questo principio di territorialità può avere una sola conseguenza: le risorse necessarie per finanziare le prestazioni fondamentali (scuola, sanità, assistenza, trasporti) nei territori svantaggiati dipenderanno esclusivamente dalla “generosità” delle Regioni più ricche. In altre parole, la perequazione è orizzontale: dalle Regioni più ricche a quelle più povere, senza l’intervento di Roma “ladrona”. Le Regioni possono modificare unilateralmente le quote loro riservate di “una parte rilevante” dei tributi erariali. E per tenersi buoni i sindaci che si fa? Il ministro per la semplificazione, semplifica e abbassa la soglia del numero di abitanti necessario per definire i “supercomuni”, quelli affrancati dall’interazione finanziaria con le Regioni. Un po’ come si usa fare per le soglie di inquinamento ambientale: le si innalza in base alle esigenze dell’industria inquinante.

Per evitare che i Comuni piemontesi, veneti o lombardi prossimi ai confini regionali decidano di passare alla Val d’Aosta, Trentino o Friuli, vengono riconosciuti come “territori svantaggiati” (sic!) e ricevono risorse a carico del Bilancio dello Stato: ciò “semplicemente” significa minori imposte agli elettori veneti e lombardi. Il problema “Lombardo” (nel senso di Raffaele governatore di Sicilia), viene risolto accordando alla Sicilia una parte delle imposte pagate dalle imprese con stabilimenti nell’isola ma con sede legale altrove. Sempre molto “semplicemente” la “bozza” non contiene alcuna razionalità economica, ma solo scambi politici per perseguire l’obiettivo separatista. In questo, dobbiamo dirlo, validamente supportato dai “separatisti” meridionali.

Le affermazioni drastiche e negative che dal profondo nord sono state esternate “urbi et orbi” dai media televisivi (tutti di proprietà del premier), nei confronti della società meridionale e dei professori meridionali non sono state confutate in alcun modo dai politici meridionali. Come sempre è venuto fuori il servilismo politico teso esclusivamente a salvaguardare alleanze e giochi di potere di pochi, calpestando i diritti e la dignità dei cittadini meridionali che non godono, tra l’altro, di una vera libertà di scelta dei loro rappresentanti e non solo per la blindatura delle liste elettorali. D’altra parte, nella sua storia il sud ha sempre prodotto un cospicuo numero di “traditori”, che riempiendosi la bocca di paroloni quali “responsabilizzazione” e “autonomia”, hanno riempito i propri portafogli di clientele.

Da parte padana si è poi dimenticato che l’unità d’Italia, adesso rifiutata, fu conseguita grazie al rilevante, se non l’unico, apporto economico del Regno delle due Sicilie, e che fino al 1860 la nostra cultura era riconosciuta da tutte le grandi potenze europee; che la Costituzione del 1812 era certamente molto più avanzata dello Statuto Albertino e che invece fu questo ad essere esteso all’intera nazione come se il sud fosse solo un ampliamento dei territori savoiardi? Allora sarebbe stato il tempo giusto per il federalismo. Ma i padani non lo vollero, preferirono sfruttare i territori meridionali, causandone il degrado.

E noi siciliani abbiamo dimenticato che l’autonomia di cui gode la regione Sicilia è parte integrante della Costituzione italiana? E noi meridionali tutti abbiamo dimenticato che i professori del sud hanno insegnato, con stipendi di fame nelle scuole del nord e che sono stati proprio loro a fare da collante culturale nella Repubblica nata dall’antifascismo? Abbiamo dimenticato che il nord per decenni si è preoccupato solo di produrre beni di consumo, arricchendosi, ed ha lasciato al meridione il triste primato dell’emigrazione interna, verso il nord, di intellettuali e operai? Abbiamo dimenticato che è stato proprio il lavoro intellettuale e materiale dei meridionali che ha consentito il “boom” economico e l’unità politica dell’Italia che oggi si vuole dividere anche moralmente in favore delle regioni economicamente più ricche?

Certo, è giusto dirlo, le regioni meridionali in 60 anni poco hanno fatto per migliorare la loro condizione socio-economica. I nostri amministratori si sono limitati ad accettare qualche piatto di lenticchie da dare al popolo pur di mantenere il loro piccolo-grande potere locale. Ed è per questo che, da parte nostra, vorremmo rivolgere un invito ai meridionali: quello di intavolare un reale dibattito culturale con quella parte del paese che ancora difende Salò e i rigurgiti razzisti e fascisti e dimentica gli stretti legami tra le varie mafie e la politica, e che si ostina a chiamare “democratico” un regime plutocratico e populista che promette a tutti senza nulla dare.

Soprattutto vorremmo ricordare ai Siciliani al di qua e al di la dello Stretto, di non dimenticare che la nostra storia e la nostra cultura risale a tempi assai più remoti della Battaglia di Legnano, combattuta nel 1175 quando il nostro Regno era il più evoluto dei regni dell’epoca e che pertanto non siamo “culturalmente e moralmente” inferiori ma che non sono le lontane glorie che dobbiamo oggi rivendicare, sarebbe quanto meno ridicolo, piuttosto dobbiamo impedire che l’Italia democratica che faticosamente è stata costruita nel dopoguerra e che è diventata uno stato europeo e che come tutti gli stati del mondo presenta regioni a vocazione economica e a reddito diverso, venga distrutta dall’arroganza e dalla meschina avidità di pochi ma potenti individui.

All’apertura della Fiera del Levante, il premier ha detto che il federalismo fiscale non danneggerà il meridione, come propaganda la cattiva politica, ma che anzi lo avvantaggerà. Non sentirete mai, fateci caso, un ragionamento o un dato a supporto di questo ritornello. Infatti non ce ne sono: il reddito al sud è metà che al nord. Noi che consideriamo un complimento l’essere definiti “cattivi” da cotanto vecchio mascalzone, abbiamo invece sempre supportato razionalmente le nostre idee. E aspettiamo di sapere perché chi telefona da Potenza a Cantù dovrebbe pagare le tasse a Torino, oppure quanto ci costerà andare a vedere col lanternino in quale punto preciso d’Italia è stata versata l’IVA di un acquisto qualsiasi.

Roba da matti!

Il Portale del Sud

Settembre 2008


Gli editoriali del sito sono scritti congiuntamente da Fara Misuraca ed Alfonso Grasso

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