PENSIERO MERIDIANO

 

L'anomalia campana ed il federalismo

Editoriale del Portale del Sud

Il titolo suona male. Sarebbe diverso se si parlasse di anomalia lucana, pugliese o ligure. Perchè? Cerchiamo di spiegarlo.

La Campania non è una regione storica

Ai tempi dei Romani, in età augustea, la Campania felix (fertile) comprendeva più o meno le pianure costiere delle attuali province di Napoli e Caserta, ed una striscia più a sud fino alla città di Salerno. Confinava ad est con il Lazio, a nord ed ad ovest con le grandi e montuose regioni del Sannio e della Lucania (quest’ultima comprendente anche la Basilicata occidentale, oggi provincia di Salerno). Le invasioni barbariche modificarono quest’assetto: quella che incise più profondamente fu l’invasione longobarda, con la creazione dei Principati: Ultra (Avellino) e Citra (Salerno). Con i Longobardi, per 500 anni fino all’arrivo di Ruggero il Normanno nel XII secolo, i “campani” furono impegnati a guerreggiare tra di loro. Dall’avvento del Regno di Sicilia (1130) all’Unità di Italia (1861), l’assetto amministrativo del territorio rimase invariato: Napoli, Terra di Lavoro, Principato Ultra e Citra. Con l’Italia unita, fu creata ex-novo la “Campania”, omonima di quella augustea, ma comprendente tutte quelle antiche e diverse regioni.

Napoli era rimasta una piccola città marinara fino alla sua prima grande valorizzazione voluta da Federico II di Svevia. Aveva conservato, gelosamente direi, le proprie tradizioni greche, restando chiusa tra le quattro mura, più propensa ai commerci mediterranei che ai rapporti con l’entroterra. Divenuta importante con Federico II e capitale di un Regno con Carlo d’Angiò, Napoli nei secoli si è ingrandita. La “questione sociale” di Napoli, cioè la presenza di una “plebe” immensa e inconsapevole, trova le sue origini già nelle vicende del XV secolo, e sembra tuttora non avere soluzione. La concezione di costituire “un mondo a sé” è però sopravissuta a tutto. Per tanti partenopei, Napoli è il mondo. Forse solo Sorrento, Capri ed Ischia sono considerate “degne” della “napoletanità” (anche se la gente di queste località non concorda affatto, anzi!).

Non c’è in Campania alcun sentimento di comunità, di solidarietà reciproca. C’è invece diffusa diffidenza e sfiducia tra una località e l’altra, all’interno di una stessa località; c’è un percepibile disprezzo dei Napoletani verso gli altri, i “cafoni”, ben ricambiato.

L’inconsapevolezza è il connotato storico persistente di Napoli, che ha consentito tra l’altro alla malavita organizzata di esistere e prosperare. Napoli sembra inconsapevole del mondo esterno, dei doveri di cittadinanza, e … di se stessa. Si parte dall’ignorare il territorio (provate a chiedere a un napoletano dov’è Chiaiano, o Marano oppure Scampia … e scoprirete che non ne ha la più pallida idea) per arrivare alla politica, dove prevale l’anarchismo, il voto di scambio, l’opportunismo ed il malaffare. L’emulsione di inconsapevolezza ed individualismo genera una inestricabile confusione, in cui finiscono per disperdersi anche i pensieri di grandi personaggi quali il Vico ed il Filangieri, tanto per fare degli esempi.

L’inconsapevolezza consente di autoassolverci, di sopportare tutti i mali, che addossiamo ai “politici”, quasi fossero una razza a parte, e restiamo nell’eterna attesa di un’autorità che la cittadinanza non è stata mai in grado di esprimere autonomamente.

Se questi sono i presupposti, non c’è da meravigliarsi se qualcuno più organizzato, dal nord, ci invia periodicamente l’esercito. Se poi, come alle ultime elezioni politiche, la maggioranza vota affinché ciò avvenga …

Non servirà a nulla l’esercito della destra, così come non è “servita” l’uccisione di 120mila “briganti” nel periodo post-unitario, e tutte le successive militarizzazioni fasciste. La sferza della destra italiana, la storia insegna, ha sempre generato miseria e morte.

Le regioni storiche

A parte l’anomalia-Campania, le altre regioni italiane hanno tutte, più o meno, una precisa identità storica, che però non giustifica l’introduzione del “federalismo fiscale” di stampo leghista che la destra berlusconiana intende introdurre. Intanto, non tiene conto che al Sud il reddito è la metà che al Nord. Non ci sarà pertanto pari opportunità per reperire risorse e sarà impossibile mantenere i servizi scolastici e sanitari. E questo è in aperta contraddizione con l’articolo 3 della Costituzione che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.

L’applicazione del federalismo fiscale di stampo leghista verrebbe a creare una situazione di apartheid di sudafricana memoria, in spregio ai dettami costituzionali. L'apartheid in sud Africa era stato tradotto legislativamente in una serie di norme che regolavano minuziosamente gli ambiti di residenza, di vita e di lavoro nonché i rapporti reciproci fra i quattro grandi gruppi etnici del paese, e si prefisse la rigorosa suddivisione della popolazione in insiemi sociopolitici e, in parte, territoriali (homeland), con l'esclusione dei gruppi non bianchi dalla partecipazione attiva alle scelte politiche. Oggi in Italia stiamo assistendo alla realizzazione di leggi e a comportamenti tesi a creare situazioni di disparità tra italiani del nord e del sud e tra italiani e non italiani che però in sud Africa sono state abolite nel 1994 grazie a Mandela, al presidente  De Clark e alla ferma condanna dell’opinione pubblica internazionale 

Lo Stato italiano, è bene non dimenticarlo, è nato e cresciuto grazie al decisivo contributo del Meridione: lavoro, emigrati, capitale, oro, soldati ecc… ci sembra superfluo fare un elenco completo e monetizzarlo, ma certamente non saranno stati quei trasferimenti operati negli ultimi tempi a compensare, anche perché ben pochi di quei soldi sono rimasti al Sud sotto forma di opere e di servizi.

Il ritornello del federalismo leghista, diciamolo, ha stancato: a livello locale, non ha portato razionalità e responsabilizzazione, ma solo opportunità per la malavita e per i maneggioni (assunzioni, nomine, concessioni, ecc). Ha aggravato la sfiducia della cittadinanza per la classe politica. Ha complicato le procedure, invece di semplificarle.

Ha portato ad episodi di intolleranza come i rastrellamenti sugli autobus per scovare gli “stranieri”, l’incendio di campi Rom per allontanarli, l’allontanamento dalle scuole di bambini che non sono italiani e fra poco, nella “ricca” padana, di bambini che hanno origini meridionali. Ha indotto alla criminalizzazione unilaterale delle prostitute e di intere etnie.

Questi signori hanno stravinto le elezioni cavalcando qualsiasi tipo protesta. Trasformando il problema della sicurezza in un’ossessione. Descrivendo gli immigrati come gentaglia per lo più dedita al crimine e agli stupri. E tra gli ultimi sono andati a scovare i rom, esponendoli alla canea xenofoba e a forme persecutorie di controllo che stanno suscitando l’indignazione dell’Europa civile.

Ben presto con la realizzazione dell’apartheid fiscale anche le regioni meridionali entreranno a far parte della schiera del nemico interno da scacciare. Non ci meraviglieremmo che si ponesse un veto anche a matrimoni misti tra padani e napoletani.

Gonfi di voti e di potere, cominciano ad avere qualche problema con le forze irrazionali imprudentemente scatenate.

In tutte le nazioni ci sono cose che non funzionano e proteste accompagnate da forme di ribellismo. Ma nelle altre nazioni  la politica è capace di esercitare la sua funzione primaria che è quella di mediare, ricomporre e quando è necessario, sanzionare.

I nostri cavalieri si ostinano invece a soffiare sul fuoco ed a proporre ulteriori “classificazioni” tra i cittadini, infischiandosene della Costituzione, certi di poterla cambiare a loro piacimento forti del “mandato popolare” che hanno scippato agli elettori frastornati.

Ma in un paese malandato come il nostro, mai realmente unificato, mai realmente conscio dei concetti d’eguaglianza e solidarietà, il malcontento ha solo l’imbarazzo della scelta e se lasciato libero di crescere prima o poi rompe gli argini e allora sarà bello per qualcuno assistere ad una guerra civile. Dal nord insofferente per questioni di razza, ai padri di famiglia giustizieri, dal sud esasperato dai rifiuti. Diventeremo, per legge, il paese dei due pesi e delle due misure.

Col crescere dell’insofferenza si allenta l’attenzione per i diritti di ciascuno e di tutti; chi denuncia l’incostituzionalità delle nuove norme sulla sicurezza viene platealmente zittito,  e si osserva con leggerezza, anche dal centro-sinistra, che con le garanzie democratiche non si elimina la spazzatura.

Concordo con Antonio Padellaro: “È questa la memoria corta del nuovo qualunquismo che finge di non sapere quali somme colossali di pubblico denaro sono state versate alle imprese della modernità e dell’efficienza del nord per ottenere lo sfacelo campano. Ma forse era quello che voleva intendere il presidente Napolitano quando ha parlato di degrado civile.”

Giugno 2008


Gli editoriali del sito sono scritti congiuntamente da Fara Misuraca ed Alfonso Grasso

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