Nota introduttiva
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Danilo Dolci (Sesana, 28 giugno 1924 – Trappeto PA, 30
dicembre 1997) è stato un sociologo, poeta e attivista
della nonviolenza italiano.
Nato in territorio Sloveno già appartenuto all'Italia
(tra 1919 e 1947), da madre slovena (donna religiosa) e
da padre italiano (ferroviere agnostico), Danilo Dolci
dopo aver effettuato gli studi a Milano, negli anni del
fascismo sviluppò presto una decisa avversione alla
dittatura. Arrestato a Genova nel 1943 dai nazifascisti,
riuscì a fuggire.
Nel 1950 decise di abbandonare gli studi universitari e
di aderire all'esperienza di Nomadelfia - comunità
animata da don Zeno Saltini - a Fossoli (frazione di
Carpi); dal 1952 si trasferì nella Sicilia occidentale (Trappeto,
Partinico) in cui promosse lotte nonviolente contro la
mafia e il sottosviluppo, per i diritti ed il lavoro:
siffatto impegno sociale gli valse il soprannome di "Il
Gandhi di Partinico". Subì diverse persecuzioni e
processi.
È
considerato una delle figure di massimo rilievo della
nonviolenza nel mondo. |
Danilo Dolci, maestro e profeta dalla
Sicilia
di Rosa Grillo
Basterebbe un excursus biografico e alcune citazioni
da opere di Dolci per documentare le sue principali battaglie per la
legalità, il riconoscimento della dignità e dei diritti degli
oppressi, l’impegno per l’educazione dell’uomo e del cittadino, la
lotta contro tutte le violenze, le guerre e gli armamenti, la difesa
del creato da devastazioni e inquinamenti. Tutti obiettivi oggi
ritenuti prioritari, a parole, dai nostri politici e dai collusi di
ogni genere.
Non ci interessa quanto nella sua vita privata, nelle
sue relazioni con collaboratori e amici sia stato talora
incomprensibile o incompreso, ci interessa sapere che per la
prospettiva di uno sviluppo locale e planetario rispettoso dell’uomo
e della natura, Danilo Dolci impegnò ogni momento della sua
giornata, fino alle ultime ore di vita, anche a discapito della sua
stessa vita e delle relazioni familiari.
L'impegno orientato sempre alla diffusione di un
comportamento civile, democratico e nonviolento, insisteva sul
concetto di struttura creativa come dimensione necessaria per la
crescita collettiva nella comunicazione reciproca.
Le sue battaglie civili per lo sviluppo della Sicilia
occidentale furono sempre precedute dal dialogo democratico con la
componente popolare della collettività: gente semplice, contadini
pescatori, giovani e anziani, uomini, donne, bambini. Dalla
socializzazione delle problematiche, che era al contempo processo
educativo, scaturivano le azioni di protesta e di pressione, gli
scioperi della fame, le denunce, spesso seguiti da azioni
giudiziarie clamorose contro Dolci e i suoi collaboratori, riportate
dai media nazionali.
Egli si confrontava con i costruttori di futuro di
tutto il mondo, dappertutto attingeva nuove idee e conferme alla
correttezza del suo procedere. A tale scopo visitava personalmente i
luoghi in cui erano presenti strutture innovative sul piano
dell'educazione, nel nord Europa, negli Stati Uniti, nell’ex Unione
Sovietica, in Giappone, in Cina e teneva fitti rapporti epistolari
con gli studiosi e i pensatori più geniali del suo tempo: Aldo
Capitini, Paulo Freire, Jurgen Habermas, Eric Fromm, e tanti altri
che spesso invitava al suo Centro educativo di Partinico o andava a
consultare all’estero)
Aveva una
concezione del tempo concreta e rigorosa: il tempo è vita e la vita
è capacità di progetto, che si esalta nella scoperta di possibilità
inattese e ancora inattuate, pertanto non va mai sprecato. Il suo lo
dedicava con metodo allo studio di generazioni di pensatori, poeti,
studiosi, esperti (dai classici greci ai contemporanei) e alla
costruzione di progetti con la gente. Usava a tal proposito la
similitudine dei bambini che con passione costruiscono, demoliscono
e ricostruiscono i loro giochi e così si preparano al futuro. Si
identificava con il bambino che “impasta sabbia e sogni
inarrivabili”.
Passati ormai
12 anni dalla sua morte, possiamo con mente libera dai pregiudizi
riconoscere che incredibile fu la sua capacità di vagliare in
profondità il reale nelle sua contraddizioni e soprattutto nelle sue
immense risorse del potenziale umano e sociale.
La sua stessa
esistenza, come documentano i suoi libri, è un inno alla vita,
sostenuto da una visione epico-biologica del cosmo e dalla speranza
che in esso, dopo miliardi di anni, si sviluppi, finalmente immune
dalla violenza, il “poema umano”. Le sue lotte, gli scritti,
esprimono l'immersione nella storia umana, con la coscienza sempre
più viva del miracolo della vita; miracolo sondato al di là, ma non
contro le fedi che nei millenni hanno sinceramente cercato
spiegazioni a un immenso che la mente non può contenere. Dolci,
consapevole che le “verità” sono relative e possono mutare nel
tempo, è convinto che esistono immutabili principi a difesa della
vita, contro ogni consuetudine inveterata di oppressione: i diritti
dell’uomo, i diritti della natura, il diritto di rifiutare la
violenza sotto qualsiasi forma.
Non so se
questa premessa ha qualcosa di idealizzante. Io ho conosciuto Danilo
alla fine degli anni Settanta, con i miei studenti, quando in molti
prendevano le distanze da lui perché ritenevano che avesse
abbandonato le battaglie per lo sviluppo economico e sociale del
territorio; il suo lungo sguardo, invece, percepiva che bisognava
lottare per la costruzione di uomini nuovi, a partire dalla scuola
materna, per un’educazione autentica capace di fondare in ciascuno
relazioni vitali nella famiglia e con gli educatori, nel territorio.
Da allora ho
seguito la nascita e la pubblicazione delle sue opere di poesia e di
ricerca in campo educativo sin dalle bozze; l'ho visto mettere in
atto con gli studenti delle scuole primarie e secondarie, con gli
studenti universitari, con gli adulti, il suo progetto di
comunicazione maieutica, in cui ognuno, in un piccolo gruppo, si fa
levatrice agli altri e collabora per la nascita di un nuovo
modo di gestire la storia (si veda Bozza di Manifesto anche
su Internet).
Ho capito,
però, che non poteva bastare il suo spendersi, in giro per l’Italia
e per il mondo: bisognava che crescessero ovunque nuovi maieuti,
capaci di esserlo nel loro contesto, in ogni momento della vita di
relazione. Nel silenzio dei media, ho visto il diffondersi delle sue
iniziative Italia e all’estero; infine ho partecipato con dolore ai
momenti che hanno preceduto la sconfitta apparente della sua morte.
Successivamente ho collaborato con i miei studenti
all’organizzazione di una mostra intitolata Una vita scoperta
intensamente, a cura di Natale Musarra, che è stata ed è ancora
presentata in varie città d’Italia. Attualmente si può vedere su
Internet. Ho anche partecipato a vari convegni, a Palermo, Asti,
Pisa, e ne ho organizzato uno ad Acireale nel dicembre 2007 da cui è
scaturita una pubblicazione della casa editrice Mesogea di Messina,
Danilo Dolci, attualità profetica, 2009.
Basta
digitare il suo nome su Internet per trovare una quantità immensa di
materiali che lo riguardano in varie lingue; mi dicono che anche in
Facebook ci sono gruppi che si interrogano e che si scambiano
riflessioni sulla sua opera. Si sta anche sviluppando una
consistente attività di riedizione delle sue opere e di
pubblicazione di studi di vario genere su di lui. Sono reperibili
anche inchieste filmate, in un primo tempo finanziate dalla
televisione di stato e poi boicottate e mai messe in onda, come
La terra dell’uomo di Mingozzi.
Oggi è più
facile comprendere il progetto unitario di Dolci e non commettere
l’errore di relegare agli anni ’50-60 la sua vera azione
innovatrice. Egli, infatti, non rinnegò mai le sue denunce contro i
politici corrotti, la sofferenza dei processi e del carcere, il duro
lavoro per la costruzione di strutture, dighe, strade, cooperative
contadine, scuole; le lunghe conversazioni con soggetti di vario
genere, analfabeti, dotti, politici, tecnici, esperti; tutte le
difficoltà affrontate con la fede nel riscatto possibile degli
uomini e della civiltà, ma tenne sempre presente e indispensabile la
pratica educativa.
Non solo
valido, ma originale, diverso anche dal modello maieutico di
Socrate, il modello educativo proposto da Danilo Dolci. Da tutte le
parti oggi si parla, a proposito e a sproposito, di “emergenza
educativa”: Danilo ne era perfettamente consapevole sin dai primi
anni cinquanta: per questo volle imprimere una svolta al suo
operare; alla figura di tribuno che volevano costruirgli addosso
sostituì quella di maestro umile che ricerca come salvare i bambini
e i giovani dalla morsa del consumismo e della falsificazione
dell’universo televisivo unidirezionale, pervasivo ad oltranza nei
suoi scopi di massificazione ideologica e commerciale.
Ora che di
ciò si ha piena consapevolezza, chi è disposto sul serio a rivedere
la macchina difettosa della scuola, dove è realmente e pesantemente
difettosa, senza gridare genericamente all’emergenza, ma cercando
con umiltà di capire cosa va fatto e come e dove e quando? In questo
ultimo periodo, ora che in tanti comprendono i guasti di una
politica gestita secondo la regola del clientelismo più mendace e
protervo, è necessario, non solo utile, confrontarsi con un uomo che
alla ricerca del bene comune dedicò la vita, mettendo nel conto
anche la povertà e il rifiuto dell’interesse personale e del
familismo, come scelta di vita.
Quanti, però,
sono disposti a mettere seriamente in discussione, per il bene
comune e al di sopra degli interessi di parte, attraverso una
pratica diffusa di azione nonviolenta l’operato dei vertici del
governo a livello nazionale e internazionale, su economia, società e
soprattutto in campo educativo?
Noi cittadini
del Sud depredato e screditato dai suoi stessi figli, non appena
approdati al carrozzone della politica, dovremmo seriamente meditare
le intuizioni e le azioni profetiche di Dolci, leggibili nelle sue
opere sin dai primi anni della sua scelta di vivere in Sicilia,
negli anni ’50.
Bibliografia essenziale e profilo
biografico
tra i tanti
Testo di Rosa Grillo. Edizione digitale de "Il
Portale del Sud", settembre 2009. |