Pensiero Meridiano

 

La finzione della devolution

di Carlo Rognoni

La devolution? C'è e non c'è. Mi domando con che coraggio la Lega Nord brindi ed esulti. Non volevano, forse, dare alle Regioni tutti i poteri in materia di sanità, scuola e polizia? Già, ma non è così. Restano di competenza esclusiva dello Stato "le norme generali sulla tutela della salute", così come le "norme generali sull'istruzione" e quelle su "ordine pubblico e sicurezza".

E le Regioni? In parte continuano a fare quello che già fanno e cioè si occupano di assistenza e organizzazione sanitaria, oppure di organizzazione scolastica. In più potraranno decidere di darsi una polizia amministrativa. Sai che rivoluzione? Magari un po' di vigili per controllare che nessuno si freghi i funghi in montagna! Non solo: molte delle materie importanti - trasporti, comunicazioni, energia - che il centro sinistra aveva deciso di condividere sul piano legislativo con le Regioni, sono tornati di competenza dello Stato centrale, di "Roma ladrona" tanto per capirci.

Si, però adesso avremo "il Senato federale". Già, peccato che di federale ha davvero ben poco. Non assomiglia al Bundesrat, non al Senato francese, non a quello americano. È un pastrocchio: è vero che i senatori verranno eletti in contemporanea con le elezioni regionali e che se la giunta regionale decade, decadono anche loro. Tuttavia "ogni senatore rappresenta la Nazione e la Repubblica ed esercita le proprie funzioni senza vincoli di mandato". Come oggi.

Ma perché non si è avuto il coraggio di mettere in campo un vero Senato federale come nelle democrazie più moderne? Semplice: avete mai visto chiedere a un tacchino di preparare il pranzo di Natale? Difficile che i senatori guidati dal presidente Pera rinuncino a contare il più possibile.

Si, però c'è il premierato forte. E un premier forte garantisce la governabilità. In effetti è vero che il primo ministro sceglie lui i ministri e può sciogliere la Camera e mandare tutti a casa. Ma attenzione! Anche i suoi deputati possono mandarlo a casa, nonostante sia eletto direttamente. Basta che la sua maggioranza presentì una mozione di sfiducia e designi un nuovo primo ministro. Diciamo la verità: è forte ma non foltissimo. Anche se poi, ossessionata dall'idea di un ribaltone, la maggioranza ha votato un'altra serie di norme cosi rigide che, come ha osservato qualcuno, fanno assomigliare questa legge più a un regolamento condominiale che a una carta costituzionale.

Il capolavoro di questa riforma è, tuttavia, un altro aspetto: quello che riguarda il procedimento legislativo. È qui che la riforma Bossi-Caldaroli ha raccolto le più dure e fantasiose critiche: da pastrocchio a maionese impazzita, da bizzarria a "roba da matti". Se oggi vi sembra che in Italia per fare una legge si segua un processo farraginoso, ripetitivo, urticante per la sua lentezza, beh! attenti al mostro che questa maggioranza ha votato. Sono previste, infatti: a) leggi di competenza della sola Camera ma sulle quali il Senato può chiedere di dire la sua; b) leggi di competenza del Senato ma che se non piacciono al governo, si può chiedere alla Camera di cambiarle; e) leggi a competenza paritaria semplice, come l'attuale bicameralismo perfetto prevede; d) leggi a competenza Camera-Senato ma elaborate da una commissione paritetica di 60 parlamentari che espropria la funzione di tutti gli altri; e) leggi di attuazione del programma di governo, in cui la riappropriazione del potere legislativo da parte della sola Camera politica passa per un coinvolgimento insensato del presidente della Repubblica. Per intenderci: parliamo dell'articolo 70, che nella Costituzione - quella fortunata- mente ancora vigente - si compone di tre righe e nella nuova versione di ben 125 righe.

Qualcosa di buono c'è e sicuramente sarà un punto di propaganda gridato: i senatori e i deputati diminuiscono: passano da 315 a 252 e da 630 a 500 più 18 eletti nella circoscrizione Estero. Forse vale la pena ricordare, tuttavia, che in una precedente versione i deputati erano stati portati a 400, come previsto nel programma dell'Ulivo del 1996. Come mai una maratona parlamentare durata un mese, 110 ore di discussione, 1.800 interventi, ha prodotto questo increscioso risultato? Ha scritto II sole-24 Ore: "Sembrano aver pesato più le necessità relative agli equilibri interni delta coalizione di maggioranza che non le esigenze di organicità del testo". Una forma gentile per dire che squallidi baratti, negoziazioni da suk, mercanteggiamenti notturni, tutti interni alla maggioranza, hanno prevalso. Lo spirito costituente non abita più qui.

Unica nota di speranza: mancano ancora alcuni passaggi parlamentari, manca il referendum; la stessa legge non prevede che la riforma entri in funzione prima del 2011 e del 2016. Nel frattempo sarebbe sensato che il centro destra non continuasse a sbandierare questo compromesso di basso profilo come una grande riforma federalista e che il centrosinistra rinunciasse a slogan fuorvianti: del tipo "si spacca l'Italia in due", "il premier forte è un despota". Sarebbero utili più ragionamenti sul merito e meno uria propagandistiche.

E pensare che Silvio Berlusconi ha subito dichiarato: "Adesso tocca alla giustizia".

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