Aveva
fascino e suscitò roventi passioni. Ma la sua vita fu costellata da
scandali e omicidi. Come quello alla corte di Francia
L'episodio
più fosco della vita di Cristina [nata a Stoccolma nel 1626, n.d.r.],
regina degli svedesi, dei goti e dei vandali, avvenne il 10 novembre
1657, nella Galleria dei Cervi del castello di Fontainebleau.
Cristina vi era giunta da Roma [dove si era trasferita nel 1655,
dopo aver rinunziato al trono l’anno prima, n.d.r.] accompagnata da
una piccola corte improbabile e folcloristica, tanto per usare un
eufemismo, composta da artisti, avventurieri, mezzane, ruffiani e
tagliagole. Una corte ricca di chiaro scuri, che aveva radunato
durante il suo soggiorno romano. A Fontainebleau Cristina era ospite
di Luigi XIV, re di Francia, pupillo del cardinale Mazzarino e
ancora lungi dal diventare il Re Sole. L'anno precedente l'ex regina
di Svezia era arrivata a Parigi con un progetto politico ambizioso:
in quella Europa divisa tra Francia e Spagna voleva ritagliarsi uno
spazio, e individuò come oggetto del desiderio il regno di Napoli.
Per
conquistarlo aveva bisogno dell'appoggio francese, anche se si
immaginava volentieri, libera dalle alleanze, cavalcare alla testa
di un esercito alla conquista di reami e territori. Ad ogni buon
conto aveva ordinato le divise viola e nere, ricamate in argento per
il suo esercito fantomatico e immaginario. Intanto era venuta a
tessere alleanze politiche con il cardinale-ministro. Mazzarino era
troppo intelligente per non strumentalizzare la fragile e
capricciosa sognatrice, esattamente come strumentalizzava, per il
bene della Francia e per il suo personale potere, la correnti della
politica di mezza Europa.
Comunque sia,
dopo mesi di permanenza ai margini della corte di Francia, dalla
quale era prudentemente tenuta a distanza, Cristina era stata
rimandata graziosamente in Italia. Con la promessa di azioni volte
alla conquista del nuovo regno. Ma ben presto era venuta a
conoscenza del "tradimento" del cardinale, il quale stava trattando
la pace con Ia Spagna. Il sogno di Napoli si stava volatilizzando. E
Cristina malgrado i suggerimenti di papa e re ritornò di corsa a
Parigi, determinata a punire chi l' aveva tradita.
A fame le
spese fu il marchese Monaldeschi, scudiero di corte, un personaggio
sicuramente non proprio limpido, che accusato di avere fatto il
doppio gioco e di avere venduto al pontefice la corrispondenza della
regina fu assassinato da due sicari proprio nella galleria dei
Cervi.
Questa è la
ricostruzione che normalmente accreditano gli storici, ed è quella
che riporta Veronica Buckley nella sua bella biografia Cristina
regina di Svezia (Mondadori, pagg. 408).
C'è un'altra
versione, più romantica e melodrammatica, che parla di amore, sesso
e di un altro genere di tradimento, dovuto alle corna che
Monaldeschi avrebbe messo alla regina. In ogni caso, il marchese
patì una della agonie più strazianti e tragiche della storia. Per
ore chiese pietà, tentò di giustificarsi con la regina, si aggrappò
al confessore che era stato convocato e che assisteva sconvolto e
tremante a un'esecuzione che sapeva di omicidio premeditato.
Prudentemente Monaldeschi aveva indossato una cotta di maglia e
questo peggiorò la situazione. Finì trafitto e dopo un pomeriggio di
accuse e di agonia morì dissanguato. Lo scandalo che ne seguì fu
enorme. Per quanto si possa considerare la metà del Seicento un
periodo dominato dall'arbitrio e dal sopruso, commettere un
assassinio per motivi strettamente personali, per giunta in casa di
un monarca, era intollerabile. La regina venne rapidamente rispedita
in Italia e invitata a non rimettere più piede in Francia.
Cristina che,
per un paio di generazioni di moderni cinefili, ha avuto i
lineamenti algidi di Greta Garbo: naso sottile, occhi
sprezzantemente socchiusi marcati da sopracciglia dall’arcata
perfetta, messa in ombra da un cappellaccio piumato degno di d'Artagnan,
era in realtà notevolmente brutta. Bassa, minuta, sgraziata, con un
gran sedere e le gambe corte era fornita di un naso di dimensioni a
dir poco maestose nonché di una lieve gibbosità. Eppure doveva
possedere un suo fascino se riusciva a suscitare passioni sincere e
durature. Fu amata e vanamente richiesta in sposa per anni dal re di
Svezia, il cugino a cui aveva lasciato il trono, fu adorata dal
cardinale Azzolino, un amore probabilmente solo platonico (benché
sarebbe difficile accertare la verità) durato fino alla loro morte,
che avvenne quasi contemporaneamente. Suscita ammirazione,
derisione, curiosità, scandalo per tutta la vita. Il suo aspetto, il
suo abbigliamento, i suoi modi, il suo linguaggio sboccato,
provocarono un misto di attrazione morbosa e disapprovazione
moraleggiante.
La messe di
particolari che Buckley cita nel libro è esilarante. Come avrà
reagito l'altera e bigotta Anna d'Austria sentendosi dire che
“scopare è ciò per cui sono nate le belle ragazze?”. E cosa sarà
successo quando in un teatro parigino la regina, che per una volta
indossava un abito vagamente femminile, completamente affascinata
dallo spettacolo, si abbandonò su una poltrona alzando le gambe
sopra i braccioli, “svelando ciò che anche la donna più svergognata
dovrebbe celare?”.
Tornata a
Roma, Cristina vi passò ininterrottamente i successivi trent'anni
[fino alla morte, sopraggiunta nel 1689, N.d.R.], mantenendo una
piccola corte brillante e colta nel palazzo Riario alla Lungara.
Interessandosi di pittura e di musica, proteggendo Scarlatti,
Corelli, Bernini. Introducendo, in barba ai divieti pontifici,
l'Opera a Roma e dedicandosi con passione al suo giardino. Palazzo Riario ha in seguito assunto il nome di Palazzo Corsini, le stanze
in cui visse Cristina sono ancora visitabili all'interno della
galleria, il giardino diventato nell'Ottocento l'Orto Botanico,
alcune delle piante che la sovrana vi piantò sono ancora lì, e
l'aura di sapere e di cultura che aleggiava intorno alla corte della
strana regina spira ancora in qualche modo nell'Accademia dei Lincei
che ha sede nel palazzo.
Forse la
passione di Cristina per l'arte, i libri, il teatro e le accademie
nasceva da un rimorso non sopito. Perchè l'omicidio più grave che
la regina di Svezia aveva sulla coscienza, almeno agli occhi dei
moderni, non era tutto sommato quello di Monaldeschi. Molti anni
prima, quando ancora regnava a Stoccolma, e si struggeva per un
mondo che le sembrava irraggiungibile, quello delle capitali del sud
Europa, aveva avuto il capriccio della filosofia. Corrispondeva da
tempo con Cartesio, in particolare sulla questione del libero
arbitrio e delle scelte esistenziali che questo comporta. Era un
argomento che rivestiva in quel momento un'importanza straordinaria
per Cristina. La regina convocò il filosofo a Stoccolma, il povero
Cartesio non aveva alcuna voglia di partire, non aveva interesse per
la Svezia, le rocce, il ghiaccio e gli orsi, ma fu giocoforza
ubbidirle. Quando il filosofo arrivò [nel 1649, N.d.R.], l'interesse
della regina per la filosofia era per alquanto scemato. Il solo
momento in cui la sovrana si mostrò disponibile per le lezioni era
alle cinque di mattina, nel pieno inverno artico. Cartesio, che
soffriva terribilmente il freddo, avrebbe preferito poltrire tutta
la mattina nel calduccio del letto, piuttosto che penare in quel
modo. Con impercettibile sadismo, la regina esigeva inoltre che in
sua presenza si rimanesse a capo scoperto. Dopo un mese di questa
vita Cartesio si ammalò gravemente e in pochi giorni morì di
polmonite. Cristina ne fu sconvolta, immaginò grandiosi progetti di
commemorazioni che ben presto dimenticati. Forse, anni dopo, creando
a Roma l'ultimo grande polo culturale della città, tributava
indirettamente un omaggio al martire congelato delle Meditazioni.
Tratto da: Barbara Briganti,
La
Repubblica, 24 agosto 2006 |