Pensiero Meridiano

 

Federalismo: i costi delle Regioni

di Marco Esposito

La Regione più spendacciona d’Italia? È la Valle d’Aosta. E subito dopo? C’è il Trentino-Alto Adige. Al terzo posto, in questo podio del federalismo, c’è la Sardegna. Sono tutte e tre - e non a caso - Regioni a Statuto speciale, cioè aree dove il federalismo è realtà quotidiana da oltre mezzo secolo.

LE REGIONI CHE COSTANO

QUALI

QUANTO

PERCHÈ

Le 5 regioni a statuto speciale (Val d’Aosta, Trentino A.A., Friuli Venezia G., Sicilia e Sardegna)

+ 56%

rispetto alla media delle 20 regioni

Svolgono da sempre funzioni “pesanti” con modesti controlli dal centro

Le 9 regioni con meno abitanti della Sardegna (Val d’Aosta, Liguria, Trentino A.A., Friuli V. G., Marche, Umbria, Abruzzo, Molise e Basilicata)

+ 26%

rispetto alla media delle 20 regioni

Forniscono servizi a comunità piccole, e ciò comporta più alti costi pro capite

Le 6 regioni del Sud (Campania, Abruzzo, Molise Puglia, Calabria e Basilicata)

+ 13%

rispetto alla media delle 20 regioni

Nelle aree povere il peso dei servizi sociali è più alto

Quando si discute dei costi del decentramento bisognerebbe partire da una considerazione-base: lì dove il federalismo c’è già, a parità di servizi forniti al cittadino il costo pro capite è molto più alto rispetto a quello delle Regioni dove il decentramento e la devolution sono in arrivo.

I calcoli li ha fatti l’Isae, un istituto di ricerca pubblico mai accusato di simpatie politiche o territoriali, il quale con rigore sta seguendo da anni gli effetti economici del federalismo.

La Valle d’Aosta, le due province autonome del Trentino- Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia, la Sicilia e la Sardegna spendono una media di 3.431 euro per residente, per fornire i servizi sociali e amministrativi che la Costituzione in vigore - quella approvata con referendum nell’ottobre 2001 - assegna ormai a tutte le Regioni e non più soltanto alle cinque autonome. Le altre quindici Regioni, quelle a Statuto ordinario, ne spenderanno (va usato il futuro perché molte funzioni non sono ancora materialmente trasferite) 1.970 a testa, sempre secondo le simulazioni dell’Isae.

In pratica rispetto alla media delle 20 Regioni, che è di 2.197 euro, le cinque autonome hanno un sovraccosto del 56 per cento. Cosa accadrà quando tutte le Regioni avranno i poteri che ad Aosta e a Palermo si esercitano dagli Anni Quaranta? Qui le opinioni si divaricano.

Secondo il sottosegretario all’Economia Daniele Molgora, che è un esponente della Lega Nord, i costi medi diminuiranno perché più si avvicinano i centri di spesa ai cittadini, più aumenta l’efficienza. I leghisti non portano dati a conforto delle loro tesi (i numeri che ci sono smentiscono il loro ottimismo) ma fanno una sorta di professione di fede.

Invece secondo l’Isae, la Confindustria e un numero crescente di analisti, i costi lieviteranno per due considerazioni: la prima è che già oggi sono più alti dove il federalismo c’è; la seconda è che venti governi sono più costosi di uno per l’inevitabile moltiplicarsi di strutture, normative, funzioni. Il livello medio di spesa per le materie trasferite alle Regioni tenderà a salire dai 2.197 euro a testa attuali verso quota 3.431.

Dopo tante stime, tutte concordi sul rialzo dei costi, un calcolo ufficiale lo sta elaborando la Scuola superiore dell’Economia e delle Finanze per conto della Ragioneria dello Stato e i risultati sono attesi per settembre. Ma perché nelle Regioni dove il federalismo funziona i costi sono più alti? Una volta che si libera l’analisi dai preconcetti leghisti (Roma ladrona, Sud sprecone e così via) si osserva che il federalismo attuale prevede il potere di spesa, ma non la responsabilità di gestire le entrate. A Bolzano come a Cagliari le amministrazioni locali devono solo decidere anno per anno come spendere fondi tendenzialmente crescenti che arrivano dalla fiscalità generale; cioè da Roma, secondo la terminologia del Carroccio, per cui la capitale appare più generosa di quanto si dica in padania.

Non a caso ad alzare le tasse locali non sono le Regioni spendaccione, ma quelle che cominciano ad affrontare i piaceri e i doveri del federalismo. L’Irpef regionale è più alta in Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Umbria, Puglia e Calabria. Tutte Regioni a statuto ordinario. La tassa automobilistica è stata aumentata in quattro regioni, ancora una volta tutte ordinarie: Campania, Marche, Veneto e Calabria. E le accise sui carburanti sono state alzate in Campania.
Insomma: c’è un’Italia che comincia ad accollarsi i costi del federalismo con l’incremento delle imposte locali. E un’altra che da sempre vive i piaceri del federalismo scaricando le spese sulla fiscalità generale. Perché ciò sia stato possibile finora è facile da spiegare: dal Centro si è preferito pagare senza badare troppo alle uscite, pur di garantirsi la pace sociale in aree con possibili tensioni (si pensi solo al bilinguismo in Alto Adige o al separatismo in Sicilia e Sardegna).

Una scelta storicamente comprensibile, che però diventa difficile da mantenere nel momento in cui tutte le Regioni conquistano i medesimi poteri, ma solo alcune hanno il dovere di far quadrare i bilanci.

Non di rado, poi, le Regioni autonome sono costose perché piccole. Fornire servizi a comunità poco numerose porta costi unitari elevati proprio come far la spesa in un negozio costa più che all’ipermercato. Non a caso la Sardegna spende per abitante più della Sicilia e la Valle d’Aosta più del Friuli. E il problema delle piccole dimensioni è diffuso lungo tutta la penisola: la Liguria costa più del Piemonte; l’Umbria più della Toscana; la Basilicata più della Puglia.

La Fondazione Agnelli, alla fine degli Anni Ottanta, aveva suggerito di accorpare le Regioni minori come primo passo per un federalismo efficiente. Ma la tendenza è semmai opposta: è più probabile che la Romagna si separi dall’Emilia piuttosto che si crei una Regione Adriatica dalle Marche alla Puglia. Eppure i dati parlano chiaro: le nove Regioni accorpabili (la Sardegna con 1.650.000 abitanti è per definizione isolata) costano il 26% di più rispetto alla media nazionale. Una tassa eliminabile con le fusioni fra Regioni, sempre che ci sia la volontà politica di contrastare il desiderio di frazionamento.

Purtroppo però l’unica volontà politica forte e chiara è espressa dalla Lega Nord e da alcuni governatori (a partire da quelli della Lombardia e del Veneto) che vorrebbero ridurre la cosiddetta solidarietà nei confronti delle aree deboli, cioè il Sud Italia.

Il quale Sud, se si escludono le due Regioni a statuto speciale Sicilia e Sardegna, secondo i calcoli dell’Isae ha un costo pro capite di 2.496 euro. Un valore non troppo sopra i 2.197 medi nazionali (più 13%). E comunque spiegabile con il fatto che nelle aree meno ricche fornire assistenza sociale costa di più.

Questo dicono i numeri. A chi ha la pazienza di leggerli.


Tratto da IL MATTINO

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