“La favola è alcuna volta un adombramento della storia,
in maniera che sotto gli ornamenti di quella vi stiano
racchiusi dei fatti che si riferiscono o alla storia degli
uomini o della natura.”
Introduzione
La colonizzazione mitologica della
Sicilia, non può prescindere né dalle fonti storiche, né da quelle
letterarie o archeologiche.
Infatti, i racconti mitici,
riscontrati presso scrittori e poeti greci o latini, spesso, non
solo trovano riscontro
in sede archeologica, ma per tanti
versi, costituiscono, essi stessi, una fonte storica in quanto
rappresentano il patrimonio culturale che gli antichi, quando non
esisteva ancora la scrittura, ebbero del loro passato; insomma, la
mitologia è un pezzo della memoria collettiva, che gli uomini
conservarono nel corso di vari millenni, tramandata oralmente di
generazione in generazione, e sublimatasi, poi, nelle leggende
rappresentate mirabilmente nell’Iliade, nell’Odissea, nell’Eneide e
in altre fonti letterarie.
Per gli antichi la narrazione di
quei fatti era la loro storia.
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Il viaggio di Enea |
Cap. I Storia, mito e archeologia
I.1 La storia
Le prime forme di scrittura furono
gli ideogrammi, siamo circa nel
3000 a.C.. Intorno al 1500 a.C., ad opera dei Fenici cominciò
l’abbandono degli ideogrammi e l’introduzione della scrittura
lineare; nel IX secolo a.C., i Greci introdussero nella loro lingua
l’alfabeto. Solo nel V secolo la scrittura greca divenne strumento
di produzione storiografica. Al tempo della guerra di Troia,
episodio importante nella storia dell’antichità, quindi non esisteva
la scrittura di conseguenza nessuno fu in grado di scriverne la
storia; i ricordi degli eroi, sia vincitori che vinti, furono
tramandati oralmente; ma quando ebbe inizio la colonizzazione greca
della Sicilia e dell’Italia meridionale la scrittura greca era
conosciuta, anche se praticata da pochissimi addetti, e fu possibile
tramandare ai posteri alcune informazioni essenziali che riguardano
i primi popoli della Sicilia e i primi coloni greci giunti
nell’isola.
I primi storici della Sicilia
furono Filisto della cui opera, andata perduta, ci rimane solo
quello che riferisce Diodoro Siculo nella sua “Biblioteca”, Plutarco
con le sue “Vite”, Tucidide nato e morto in Atene (460-398a.C.).
Tucidide scrisse “La guerra del Peloponneso” e non potè non
occuparsi anche della fase in cui quella guerra ebbe per teatro la
Sicilia, per questo motivo, non si può definire solamente come uno
storico della Grecia, perché in quel tempo Grecia non significava
solo Ellade, Grecia era il bacino del Mediterraneo, Grecia era anche
la Sicilia e gran parte dell’Italia meridionale.
I.2 Archeologia e mitologia
La conoscenza archeologica ha il
pregio di dare notizie di provata certezza e di spingersi, al tempo
stesso, molto indietro nei millenni, addirittura le ultime scoperte
archeologiche si addentrano alle soglie della preistoria, accertando
i tempi della presenza umana in Sicilia, quando l’isola era ancora
unita all’Africa e alla penisola italiana.
A partire dall’Età del Ferro, (fine
secondo millennio a.C.) la documentazione archeologica è resa
storicamente intellegibile dalla documentazione storico-leggendaria
e mitico-favolosa, di conseguenza i reperti archeologici, spesso di
per sé, anonimi, acquistano significati se integrati con le
conoscenze probabili della letteratura leggendaria e mitico favolosa
antica. In sostanza, queste tre fonti sinergicamente adoperate
concorrono a darci una rappresentazione dei fatti molto vicina alla
verità.
L’archeologia ha provato che tra la
Sicilia e il mondo ellenico esistevano rapporti di varia natura
almeno cinque secoli prima dell’arrivo dei coloni greci nell’VIII
secolo, addirittura i rapporti fra Sicilia e mondo greco e miceneo
erano già intensi alla fine del secolo XVIII a.C. cioè prima
dell’inizio della guerra di Troia.
La vicenda di Dedalo e Minosse e
soprattutto del viaggio di quest’ultimo in Sicilia, dimostra che
quel mito oltre ad essere ellenico, cretese e minoico era anche un
mio siciliano, ciò significa che tra quei popoli c’era una comunione
di credenze religiose, di riti, di culti. Se col Minotauro rimaniamo
nel mito, col viaggio di Minosse in Sicilia usciamo fuori dalla
mitologia, lo conferma anche la toponomastica; Minoa, chiamata così
perché luogo dello sbarco di Minosse, è alle foci del fiume Platani
che conduce al sito in cui sorgeva Camico, città fortezza di re
Cocalo.
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Minosse vascolare |
La testimonianza archeologica è
importante anche perché dà un fondamento di verità alla letteratura
mitico-leggendaria tutta incentrata su racconti favolosi aventi
intrecci insieme ellenici e siciliani.
I miti non sono solo fantasia essi
rappresentano il patrimonio di valori, trasmesso prima oralmente poi
attraverso fonti scritte, su cui si fonda l’identità di un popolo e
spesso in essi si riscontrano frammenti di verità.
Oggi noi sappiamo che ci fu un
tempo in cui la Sicilia non era un’isola essendo ancora legata
all’Africa e all’Italia; questa notizia non è solo moderna, anche i
mitografi antichi, evocando millenarie tradizioni trasmesse
oralmente, dicevano che la Sicilia fosse in origine una penisola e
che poi divenne un’isola perché l’istmo che la univa alla Calabria
venne eroso dai venti e dalle acque marine (Virgilio), quella
versione raccontata dai mitografi contiene, quindi, una verità
storica.
Virgilio, Eneide, libro
III, vv. 656 ss.
Quinci partito allor che da vicino
scorgerai la Sicilia, e di Peloro
ti si discovrerà l’angusta foce,
tienti a sinistra, e del sinistro
mare
solca pur via quanto a di lungo
intorno
gira l’isola tutta, e da la destra
fuggi la terra e l’onde. È fama
antica
che di questi or due disgiunti
lochi
eran prima uno solo, e che per
forza
di tempo di tempeste e di ruine
(tanto a cangiar queste terrene
cose cose
Può de’ secoli il corso), un di
smembrato
fu poi da l’altro. Il mar fra mezzo
entrando
tanto urtò, tanto ròse, che
l’esperio
dal sicolo terreno alfin divise:
…………………………………
Nel destro lato è Scilla; nel
sinistro
è l’ingorda Cariddi.
Cap II. I primi popoli della Sicilia
Il popolamento preistorico della
Sicilia è anteriore alla nascita della scrittura, di conseguenza
informazioni in merito le possiamo attingere dalla tradizione orale
e dall’archeologia; quest’ultima, in particolare, testimonia che i
rapporti tra la Sicilia e il mondo ellenico esistevano almeno cinque
secoli prima dell’arrivo dei coloni greci, nell’VIII secolo; i
rapporti tra Sicilia e mondo egeo e miceneo erano già intensi alla
fine dell’XVIII secolo a.C.
Nel V secolo, con Erodoto e
Tucidide, comincia la storia scritta, ma preparare il terreno per la
storiografia, erano stati i geografi ad opera soprattutto di Ecateo
di Mileto.
Plutarco ricorda che: “sia i
giovani, nelle palestre che gli anziani nelle botteghe o seduti in
luoghi di ritrovo disegnavano carte geografiche della Sicilia e del
mare che la circondava con i porti e i punti della costa dell’isola
che guardavano verso l’Africa”; e Strabone nella sua “Geografia”
afferma che l’Odissea, non è un’opera di pura fantasia, ma racchiude
un fondo di verità, e si fonda su nozioni geografiche precise.
D’altra parte è chiaro che se i rapporti tra mondo egeo-miceneo e
Sicilia esistevano già nel XVIII secolo a.C., la Grecia omerica
un’idea della Sicilia doveva pur averla. Tucidide scrive: “Sembra
che (la Sicilia) in antico non fosse abitata stabilmente e vi
avvenissero molte migrazioni. Però, ciascun popolo, costretto a
lasciare il proprio paese, situato in varie parti d’Europa o
d’Italia, giunto in Sicilia vi rimanesse stabilmente affiancandosi
ai popoli che già nell’isola si trovavano o che in seguito vi
sarebbero approdati”. Pertanto il il definitivo popolamento
storico dell’isola non avvenne una volta e per tutte, ma nel corso
di vari secoli.
Comunque le emergenze
storico-archeologiche testimoniano che la Sicilia in antico era
abitata da Greci, Siculi, Sicani, Elimi, Fenici e dagli Ausoni
stanziatisi nelle isole Eolie col loro re Liparo.
Sicani
Tucidide scrive:
“si dice che i più antichi
(abitatori) siano stati i Ciclopi e i Lestrigoni che abitarono una
parte dell’isola, io non potrei dire di che razza fossero, ci si
deve accontentare di quello che scrivono i poeti e di quello che si
sa di quei popoli”, e ancora in un altro passo si legge:
“Pare che i Sicani avrebbero preceduto i Ciclopi e i Lestrigoni,
poiché si dice nati sul luogo”, però secondo lo storico, la
verità era che i Sicani non erano autoctoni, bensì Iberi scacciati
dai Liguri dalle rive del fiume Sicano, in Iberia. Dal loro nome
l’isola fu chiamata Sicania, mentre prima era chiamata Trinacria. I
Sicani si sarebbero arroccati sulle montagne e sulle alture interne
della parte nord- occidentale e settentrionale dell’isola; Camico,
sede del re Cocalo, era una città dell’antichissima popolazione dei
Sicani.
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Trinacria |
Siculi
Dopo i Sicani, su zattere,
dall’Italia, sarebbero arrivati i Siculi, che costrinsero i Sicani a
ritirarsi nelle regioni meridionali e ed orientali dell’isola.
Divenuti numerosi, la Sicilia dal loro nome fu chiamata non più
Sicania, ma Sicilia. La moderna storiografia ci conferma che i
Siculi erano popoli di origine illirica, stanziatisi verso la metà
del II millennio a.C. sul litorale adriatico sud occidentale
d’Italia. Dionisio di Alicarnasso cita un brano di Ellanico dove,
senza indicazione di fonti, conferma l’origine ligure dei Siculi.
Elimi
L’area Elima occupa la parte
occidentale dell’isola. Gli Elimi erano concentrati ad Erice e a
Segesta. Le tradizioni storiche attribuivano loro due origini:
Ellenico di Mitilene li considera provenienti dall’Italia, da dove
sarebbero stati cacciati dagli Enotri, Tucidide li ritiene troiani
fuggiaschi, unitisi agli indigeni Sicani e più tardi ai Focesi. Le
città elime vantavano come eroi fondatori Egesto ed Elimo,
quest’ultimo bastardo di Anchise, quindi collegati con la genealogia
troiana. La prima testimonianza precisa sull’origine troiana degli
Elimi ci è fornita da Tucidide, nella sua introduzione alla
“Storia della spedizione in Sicilia”. Dopo la caduta di Ilio, un
gruppo di Troiani per sfuggire agli Achei, arrivò per mare in
Sicilia e si stabilì in prossimità dei Sicani. Essi presero il nome
di Elimi, ed ebbero due città Erice e Segesta. Anche Plutarco
afferma l’origine troiana dei segestani,. E’ noto che i romani,
quando colonizzarono la Sicilia concessero ai segestani la
“immunitas” in memoria della comune origine troiana. (Gli Elimi,
sarebbero stati originari dell’Epiro e avrebbero dovuto il loro nome
a un certo Elymo “re dei Tirreni”).
I Fenici
I Fenici costituiscono l’altro
elemento fondamentale di questa area. Tucidide a proposito scrive:
“Prima dell’arrivo dei coloni greci, i Fenici avrebbero stretto
rapporti commerciali con le popolazioni di tutta l’isola occupandone
promontori sul mare ed isolette presso la costa”, poi nel corso
dell’ VIII sce a.C. i loro commerci si estesero lungo le coste
settentrionali fino ad Imera e lungo quelle meridionali fino a
Selinunte, Solunto e Lilibeo. Dalla metà del VII secolo inizia
l’espansione di Cartagine, minacciata dalla pirateria greca.
L’aggressività greca, che trovava
la propria giustificazione nella tradizione mitica delle imprese di
Eracle e degli eraclidi si rinnova più volte nel corso del VI secolo
col tentativo dell’eraclide Dorieo, giunto da Sparta per fondare una
colonia eraclea, presso Erice, nel cuore dei possedimenti
cartaginesi. (510
a.C.)
Liparitani
Sulla base dei dati forniti dagli
scavi nelle isole Eolie ed a Milazzo, si può affermare che intorno
alla metà del XII secolo a.C., la costa settentrionale della Sicilia
fu interessata ad un flusso migratorio proveniente dalla penisola
italiana, con caratteristiche culturali simili a quelle dell’are
tirrenica. Si tratta di culture poco influenzate dagli apporti
greci, che si manifesteranno solo più tardi, con la ripresa
dell’attività colonizzatrice.
Greci
Gli ultimi arrivati furono i Greci,
prima giunsero i Calcidesi, che approdarono a Naxos, prima colonia
greca della Sicilia, occupata allora dai Siculi. Poco dopo Archia,
discendente dagli Eraclidi, fondò Siracusa scacciandone i Siculi,
seguirono poi i Megaresi.
Comunque Tucidide scrive che i
Siculi giunsero in Sicilia 300 anni prima dei greci, i Sicani cento
anni prima della guerra di Troia, i tempi dell’originario
popolamento siciliano ruotano, quindi, attorno alla guerra di Troia,
qualche secolo prima giunsero i Sicani e forse i Fenici; dopo
qualche secolo gli Elimi e i Siculi; tre secoli dopo i Greci Quindi
il popolamento originario dell’isola avvenne per ondate migratorie
in 7/8 secoli. La colonizzazione greca, invece avverrà nell’arco di
due secoli e mezzo.
Cap. III Tra mito e storia
III.1 Minosse in Sicilia
Diodoro Siculo, narra che Dedalo
era un ateniese che superava tutti per ingegno, soprattutto
nell’architettura e nella scultura. Costretto a rifugiarsi a Creta,
per aver ucciso il proprio nipote, fu accolto da Minosse per il
quale costruì il labirinto. Con la sua arte Dedalo costruì una finta
vacca permettendo a Parsifae, innamorata del candido toro, donato da
Posidone a Minosse, di soddisfare la sua mostruosa passione; allora
Dedalo, temendo la vendetta di Minosse, fuggì col proprio figlio
Icaro. In Sicilia, Dedalo, fu ospitato dal re sicano Cocalo, che
restò stupito ed ammirato della sua geniale versatilità. Dedalo, nei
pressi di Megara Iblea, costruì una grande piscina da dove il fiume
Alabo usciva per gettarsi in mare. A Camico, che sarebbe divenuto
territorio di Agrigento, costruì in una rupe una città fortificata
che Cocalo elesse a propria residenza; nel territorio di Selinunte
costruì una grotta e vi fece e vi fece sboccare vapori sotterranei
il cui calore moderato guariva dalle malattie; ad Erice rinforzò la
roccia su cui sorgeva il tempio di Afrodite e dedicò alla dea un
favo d’oro.
Il racconto di Diodoro continua
così: “Minosse signore dei mari, venne a sapere che Dedalo si era
rifugiato in Sicilia, e decise di rintracciarlo. Allestì una flotta
e fece sbarcare le sue truppe non lontano da Agrigento, in una
località che prese in nome di Minoa (Eraclea Minoa), e ingiunse a
Cocalo di consegnargli l’artefice. Cocalo invitò Minosse a un
colloquio, in quella occasione lo fece uccidere con un bagno caldo.
I cretesi che Minosse aveva condotto in Sicilia, rimasti senza il
loro capo e perdute le navi, decisero di rimanere nell’isola e si
stanziarono a Minoa”.
La grotta costruita da Dedalo nel
territorio di Selinunte, è facilmente riconoscibile in cima alla
collina di San Calogero, nei pressi di Sciacca, l’antica terme di
Selinunte. Più difficile è localizzare la fortezza costruita da da
Dedalo a Camico, non disponiamo di indicazioni in tal senso, si è
pensato di poterla identificare ora con la moderna Siculiana, ora
con Caltabellotta, ma nessuna delle due ipotesi resta convincente.
III.2 Eolo signore dei venti. Isole Eolie
Secondo la mitologia greca, Eolo,
dio dei venti, figlio di Poseidone ed Arne, ebbe da Zeus, il compito
di controllare i venti. Eolo li dirigeva e li liberava custodendoli
dentro le caverne e dentro un otre a Lipari, una delle isole Eolie,
piccolo arcipelago, a Nord-Est della Sicilia, nella quale aveva la
sua reggia. I venti, dopo aver provocato grossi danni tra i quali il
distaccamento della Sicilia dal continente dovevano essere tenuti
sotto controllo. Nel mito tutta la vicenda si rifà a Liparo, figlio
di Ausone, e ad Eolo. Liparo è un re italico che sopraffatto dai
fratelli, fugge dall’Italia e giunge in prossimità della Sicilia in
un’isola a cui avrebbe dato il suo nome e in cui avrebbe fondato una
città. Ormai vecchio, Liparo sente nostalgia per l’Italia, ma
approda in quell’isola Eolo, che sposa Ciane, figlia del vecchio re,
diventa re dell’isola, e aiuta Liparo a tornare in Italia.
Diodoro Siculo nella sua
“Biblioteca”, racconta che Eolo, signore dei venti, andò a
stabilirsi presso Liparo, re italico, che sopraffatto dai fratelli
aveva lasciato l’Italia e si sarebbe trasferito nel piccolo
arcipelago. Eolo avrebbe spostato Ciana figlia di Liparo, e avrebbe
regnato Eolo sulla costa settentrionale della Sicilia; Sicani e
Siculi si sarebbero sottomessi spontaneamente ad essi.
|
Eolo otre dei venti |
Eolo,
Odissea, libro X, vv 1-25
Quando Ulisse, reduce dalla guerra
di Troia, approdò alle isole Eolie, Eolo lo ospitò e, commosso dal
racconto dell’eroe greco, gli fece dono di un otre di pelle dentro
la quale erano rinchiusi i venti contrari alla navigazione.
E giungemmo all’isola Eolia. Qui
dimorava
Eolo, caro agli dei, figlio di
Ippota.
L’ isola errava nuotando. Un muro
la cinge
bronzeo; e liscia s’innalza una
rupe.
Dodici figli con lui nel palazzo
vivevano.
……………………………………………………..
La casa odorosa riecheggia
al suono dei flauti finchè il
giorno dilegua;
……………………………………………………..
Poi quando licenza gli chiesi di
andarmene
non rifiutò, ma prese a cuore il
mio viaggio;
spogliò delle cuoia un bove novenne
un otre ne fece, e dentro vi chiuse
dei venti ululanti le vie: custode
l’aveva
dei venti fatto il cronide, e
poteva
quieti tenerli o incitarli a sua
voglia.
Nella concava nave con lucida fune,
argentea, l’otre legò, di guisa che
fuori
neppure un alito uscisse; ma solo
il soffio di Zefiro per me liberò
che la nave benigno spingesse per
noi.
III.3 I Ciclopi
I racconti mitici non sono racconti
storici, però quando essi narrano leggende che hanno per
protagonisti eroi umani o a volte divinizzati, che compiono le loro
imprese in luoghi ben precisi, sono pur sempre racconti di fatti
umani, sia pure fantastici, collocati in contesti precisi.
Figure favolose della mitologia
greca, i Ciclopi vengono rappresentati di statura gigantesca e
forniti di un solo occhio, situato in mezzo alla fronte.
Nell’Odissea sono una collettività
di giganti spregiatori degli dei, che vivono nelle caverne allo
stato pressoché di natura e antropofagi; sono pastori, il loro capo
è Polifemo, figlio di Posidone. Esiodo nella Teogonia, nomina tre
ciclopi come figli di Urano e Gaia: Caronte, Sterope e Arge, i cui
nomi richiamano i più violenti fenomeni meteorici, e che la
tradizione presenta come fabbri costruttori dei fulmini di Zeus.
Tucidide scrive: “Si dice che i
più antichi popoli della Sicilia fossero i Ciclopi e i Lestrigoni
che abitarono una parte dell’isola, io non potrei dire di che razza
fossero, ci si deve accontentare di quello che scrivono i poeti e di
quello che si sa di quei popoli”.
Nella tradizione greca classica e
post-classica si riscontrano versioni discordanti in merito alla
identificazione dei luoghi sede dei Ciclopi.
Secondo uno di questi filoni, i
Greci avevano capito che il Ciclope fosse soltanto la
trasfigurazione poetica di un vulcano che essi collocavano in
Sicilia ed identificavano con l’Etna. Oltre a Tucidide anche
Virgilio continua a localizzare in Sicilia l’avventura di Ulisse e
Polifemo; non a caso a tre isolotti nei dintorni di Catania fu dato,
nell’antichità, il nome di Scogli dei Ciclopi rimasto ancora
oggi.
Polifemo Ciclope, figlio di
Posidone e della ninfa Toosa, nel IX libro dell’Odissea è un rozzo e
bestiale pastore monocolo, che, dopo aver divorato alcuni compagni
di Ulisse, è da questo ubriacato ed accecato con un palo aguzzo; non
riesce perciò a prendere Ulisse e i compagni, che fuggono dalla sua
grotta aggrappati al ventre di alcuni montoni, né a far capire ai
Ciclopi, chiamati in aiuto, il nome di chi lo aveva accecato, perché
Ulisse, nel precedente colloquio, si era nominato ùtis
(nessuno).
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Polifemo, pittura vascolare |
Polifemo nell’Odissea
Libro IX, vv. 105 ss.
…e avanti di là navigammo turbati
nell’animo,
finchè dei Ciclopi selvaggi e
protervi
giungemmo alla terra. Questi si
affidano
ai numi immortali: non piantano
alberi,
non arano campi…
non hanno assemblee né sanno leggi,
ma vivono in alte cime di monti in
antri
fondi…
e c’è un porto di agevole ormeggio,
dove superflue
son le funi, né servono pietre per
àncora
alle navi, né corde a fermarle a
riva…
E quando alla terra vicina
approdammo
una grotta vedemmo sull’orlo
roccioso del mare
………………………………………..
Quivi un uomo abitava di enorme
grandezza
che solo e da tutti lontano pasceva
le greggi….
Polifemo nell’Eneide
Secondo Virgilio Enea lascia Troia
in fiamme, portando con sé il padre Anchise, il figlio, i penati e
gli dei della città. Dopo aver toccato la Tracia, Creta, l’Epiro
costeggia l’Italia fino allo stretto di Messina. Sfuggendo a Scilla
e Cariddi i Troiani si spingono fino ai piedi dell’Etna dove abitano
i Ciclopi.
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Enea e Anchise, pittura vascolare |
Eneide,
Libro 3°, vv 890 ss.
…Del viaggio incerti
disavvedutamente a le contrade de’
Ciclopi approdammo.
E’ per se stesso a’ venti
inaccessibile e capace
di molti legni il porto ove
giungemmo;
ma sì d’Etna vicino, che i suoi
tuoni
e le sue spaventevoli ruine
lo tempestano ogn’ora. Esce
talvolta
di questo monte a l’aura un’atra
nube
mista di fumo nero e di roventi
faville, che di cenere e di pece
fan turbi e groppi, ed ondeggiando
a scosse
vibrano ad ora ad or lucide fiamme
che van lambendo a scolorir le
stelle.
L’ipotesi storica più accreditata è
quella che vede nei Ciclopi un popolo non ancora dedito
all’agricoltura “tutto vien su inseminato e inarato”, che si
nutre di tutto quanto spontaneamente offre la terra.
III.4 Enea in Sicilia
Dell’origine troiana degli Elimi
scrive Dionisio di Alicarnasso, a proposito della partenza di Elimo
ed Egesto dalla Troade.
Come Virgilio, ma con qualche
variante, Dionisio fa approdare Enea presso i troiani di Sicilia.
Secondo Virgilio, Enea lascia Troia
in fiamme e dopo un viaggio avventuroso, costeggiando l’Italia fino
allo stretto di Messina, evitando le zone abitate dai Greci, e
sfuggendo a Scilla e Cariddi, i Troiani si spingono ai piedi
dell’Etna, dove abitano i Ciclopi, si lasciano dietro la baia di
Megara e il capo Pachino, a questo punto Enea scorge da lontano
Camarina, Gela, Gela. Agrigento e Selinunte, poi tocca il porto di
Drepanon (Trapani) e qui Anchise muore.
Eneide
libro III, vv 1092 ss.
Morte di Anchise
Giace de la Sicania al golfo avanti
un’isoletta che a Plemmirio ondoso
è posta incontro, e dagli antichi è
detta
per nome Ortigia.
A quest’isola è fama
che per vie sotto al mare il greco
Alfeo
vien da Doride intatto, infin
d’Arcadia
per bocca d’Aretusa a mescolarsi
con l’onde di Sicilia. E qui del
loco
venerammo i gran numi; indi
varcammo
del paludoso Eloro i campi opimi.
Rademmo di Pachino i sassi
alpestri,
scoprimmo Camarina, e’l fato udimmo
che mal per lei fora il suo stagno
asciutto.
La pianura passammo de’ Geloi,
di cui Gela è la terra e Gela il
fiume.
Molto da lunge il gran monte
Agragante
vedemmo, e le sue torri e le sue
spiagge
che di razze fur già madri famose.
Col vento stesso indietro ne
lasciammo
la palmosa Seline; e ‘n su la punta
giunti di Lilibeo, tosto girammo
le sue cieche seccagne, e il porto
alfine
del mal veduto Drepano afferrammo.
Qui, lasso me! Da tanti affanni
oppresso,
a tanti esposto, il mio diletto
padre.
Il mio padre perdei.
Una tempesta sbatterà Enea sulle
coste di Cartagine, dove avviene l’episodio di Didone, in seguito
fuggendo dall’Africa Enea torna in Sicilia, dal re Aceste, che lo
accoglie festoso. Era trascorso un anno dalla morte di Anchise, ed
Enea bandì sacrifici e banchetti in onore del padre e al nono giorno
i ludi.
Enea torna in Sicilia.
Eneide,
libro V, vv 35 ss.
Vedi il vento mutato, vedi il mare
di ver ponente, che s’nnera e
gonfia:
……………………….
Or poi ch’a forza
così ne spinge, noi per nostro
scampo
assecondiamla; che già presso i
porti
ne son de la Sicilia e ‘l fido
ospizio
d’Erice tuo fratello, s’abbastanza
de l’arte mi rammento e de le
stelle.
…………………………………………………..
… E qual più grata altrove,
o più comoda riva, o piùsicura
aver mai ponno le mie stanche navi,
di quella che ne serba il caro
Aceste,
e l’ossa accoglie del buon padre
mio!
Enea indice i ludi in memoria di
Anchise.
….
Ed io quando l’aurora
tranquillo e queto il nono giorno
adduca,
a solenni spettacoli v’invito
di navi, di pedoni e di cavalli,
al corso, a la palestra, al cesto a
l’arco.
Enea segna la meta della gara (Scoglio Scialandro?)
Eneide,
libro V, vv. 180
… e lunge incontra
a la spumosa riva un basso SCOGLIO
(scoglio in corsivo)
che, da’ flutti percorso, è talor
tutto
inondato e sommerso. Il verno i
venti
vi tendon sopra un nubiloso velo
che ricuopre le stelle, e quando è
il tempo
tranquillo, ha ne l’asciutto una
pianura
ch’è dei marini uccelli aprica
stanza.
Qui d’un elce frondoso il segno
pose
Il padre Enea, fin dove il corso
avanti
stender pria si dovesse, e poi dar
volta.
Indi sortiti i lochi, al suo
ciascuno
si pose in fila. I capitani in
poppa,
addobbati di bisso e d’ostro e
d’oro
risplendean di lontano..
|
Scoglio Scialandro |
Uno squillo di tromba da’ inizio alla gara
…Avea la tromba
squillato appena, che in un tempo i
remi
si tuffar tutti, e tutti i legni
insieme
si spiccar da le mosse. I gridi al
cielo
n’andar de’ marinai. Il mar di
schiuma,
s’aperse intorno, e’n quattro
solchi eguali
fu con molto stridor da’ rostri
aperto
e da’ remi stracciato
Nel primo uscire, il primo avanti
a tutti
si vide Gìa… mentre la gente freme,
(la gente freme in corsivo)
e dopo di lui Cloanto
indi il Centauro e la Pistri
……
vv. 225
Eran del sasso già presso la meta
(sasso in corsivo)
……………………….
E di buon tratto vincitore avanti
Gìa sen gia, quand’ei sen vide in
alto
da la ripa più lunge; onde rivolto
al suo nocchiero: e dove- disse-
andrai,
Menete? Attienti al lio e radi il
sasso: (sasso corsivo)
vadano gli altri in alto” Ei
tuttavia
d’urtar temendo, in pelago si mise,
e Gìa di nuovo: “in qua, Menete, al
sasso,
al sasso, a la sinistra, a la
sinistra”
dicea gridando; e volto indietro,
vide
ch’avea Cloanto addosso. Era
Cloanto
già tra lo scoglio e la Chimera
entrato,
e via radendo a la riva sinistra,
tenne giro si breve e sì propinquo
che lui tosto e la meta anco
varcando,
si vide avanti il mare ampio e
sicuro (230-240)
La buffa caduta di Menete
Menete che di veste era gravato,
e via più d’anni, infino all’imo
fondo
ricevè il tuffo, e risorgendo a
pena
rampicossi a lo scoglio, e sì
com’era
molle e guazzoso, de la rupe in
cima
qual bagnato mastino al sol si
scosse.
Rise tutta la gente al suo cadere
(In corsivo tutto il verso)
rise al notare; e più rise ancor
allora
ch’a flutti vomitar gli vide il
mare.
Memmo ratto s’avanza e vince il
sasso (sasso corsivo)
e via vogando ed invocando i venti
fende a la china ed a l’aperto il
mare.
Ipotesi archeologica sulla identificazione del sito in cui Virgilio
colloca la gara del V libro dell’Eneide (Prof. G. Purpura)
Lungo la costa del trapanese si
riscontra un’insenatura dominata dal monte Cofano, al largo della
quale si trova lo scoglio dello Scialandro.
Il sito, annota l’archeologo G.
Purpura in “Sicilia archeologica” anno XVIII, 1985, richiama
alla mente le famose gare navali di Enea, che si svolgono partendo
da terra dinanzi ad un dolce declivio rinserrato tra rupi ed attorno
ad un scoglio posto come meta in mezzo al mare. Nel V libro
dell’Eneide, la gara navale in onore di Anchise, è seguita con
attenzione costante dagli spettatori; a questo punto, il prof.
Purpura si chiede: “come poteva Virgilio immaginare che fosse
seguita momento per momento una gara che si svolgeva lungo un
percorso all’incirca perpendicolare alla linea di costa?” Questo
interrogativo ha indotto l’archeologo ad ipotizzare un percorso di
gara lungo una punta o un promontorio proteso verso il largo, che
creava un’ansa tale da offrire riparo al vento d’occidente che aveva
spinto Enea in Sicilia.
Al tempo stesso tale promontorio
dovrebbe presentare uno scoglio assai distaccato dalla terraferma.
Sono tutti questi requisiti che solo l’insenatura del Cofano ha nel
trapanese ed è possibile che la situazione attuale di questa
località non sia molto dissimile dall’antica, viste la conformazione
e la natura dei luoghi.
Se si ipotizza una partenza dalla
parte interna del golfo, una virata verso occidente intorno allo
scoglio ed un percorso di ritorno parallelo alla riva del monte,
diversi particolari diventano comprensibili e addirittura
convincenti, visti i ritrovamenti archeologici di epoca greca e
romana in quel sito.
Eracle
Il mito
di Eracle è uno tra i più interessanti, in quanto ricco di contenuti
storici.
Nella
tradizione leggendaria, si annoverano tantissimi eroi di nome
Eracle, citati da Cicerone e da Diodoro Siculo. Ma importante non è
tanto l'identità di Eracle, quanto il fatto che quel mito è insieme
greco e siciliano.
La
Sicilia di cui si parla nel mito è abitata dai Sicani, dai Siculi e
dagli Elimi, ciò significa che il viaggio di Eracle avvenne prima
della colonizzazione greca.
La
leggenda di Eracle è collegata a quella troiana, in particolare a
quella narrata da Laomedonte e da Virgilio, che sostengono l'origine
troiana degli Elimi. l'Eracle greco, nel suo peregrinare, secondo
Diodoro Siculo, compie un viaggio in Sicilia giugendo fin
nell'estremo lembo occidentale dell'isola. Durante questo viaggio,
le ninfe del luogo, perchè si ristorasse, avrebbero fatto sprizzare
dal suolo le acque termali di Imera e Segesta. Ma l'episodio più
importante del suo viaggio avviene ad Erice.
Erice,
eponimo del monte a cui aveva dato il nome, sarebbe stato re di una
parte della sicilia, alcuni storici, però, lo considerano re degli
Elimi, altri dei Sicani.
Nella
decima fatica di Eracle, si legge che mentre il dio-eroe riposava,
un toro si sarebbe staccato dalla sua mandria e tuffatosi in mare
avrebbe nuotato fino alla costa occidentale della Sicilia, Eracle
inseguendo il toro lo avrebbe rintracciato tra il bestiame di Erice,
figlio di di Afrodite e di Posidone, ottimo pugile, che sfidò Eacle
in un combattimento alla condizione che Erice avrebbe messo in palio
il suo regno contro il toro fuggito dalla mandria. Eracle ne uscì
vincotore, uccise Erice e si impadronì del regno, che però avrebbe
lasciato agli abitanti del luogo, perchè ne godessero fino a quando
uno dei suoi discendenti non sarebbe venuto a rivendicarlo. così
avvenne, secondo Diodoro Siculo, quando lo spartano Dorieo arrivò in
quella regione per fondare una colonia.
Alcuni
storici suppongono che la leggenda abbia preso forma solo in
occasione dell'impresa di Dorieo e che fosse servita da pretesto, a
quest'ultimo, per impadronirsi di quel territorio, altri, invece,
sono convinti che la leggenda fosse nota in Sicilia, già da tempo,
tanto che secondo alcuni l'Eracle greco presenta affinità con
Melkart fenicio. Problema dibattuto è quello dell'origine fenicia
del culto e delle leggenda di Eracle, non si può negare che l'Ercole
greco è strettamente imparentato col Melkart fenicio e non bisogna
dimenticare che la Beozia, patria dell'eroe, si dice fosse stata
colonizzata dal fenicio Cadmo. In particolar modo, in Sicilia, il
culto e la leggenda di di Eracle non poterono sottrarsi agli
influssi semitici dovuti ai Fenici, tuttavia non si può negare che
gli influssi ellenici sul culto dell'Eracle italo-siciliota siano
stati anche notevoli. Nel suo viaggio in Sicilia Eracle si sarebbe
fermato a Siracusa, dove saputa la leggenda del ratto di Kore,
avrebbe sacrificato alla dea uno dei suoi tori più belli, gli
indigeni impararono da lui il rituale dei sacrifici, che da allora
furono celebrati ogni anno.
Diodoro
poi racconta, senza precisare il luogo, di una battaglia scoppiata
in una regione dell'interno della Sicilia fra l'eroe e un grosso
esercito di Sicani, in quella battaglia caddero Pediacrate, Bitea ed
altri eroi indigeni.
Diodoro
Siculo scrive: "Egli con i buoi passò attraverso l'interno, e
poichè i Sicani indigeni gli si opponevano con grandi armate, li
vinse in una celebre battaglia, ne uccise molti, fra i quali, come
raccontano alcuni nei miti, erano anche celebri strateghi..."
Il centro
principale della leggenda di Eracle si trovava all'interno della
Sicilia, fuori dai territori aperti alla colonizzazione ellenica ed
esattamente ad Agiro moderna Agira, città natale di Diodoro, il
quale racconta che ad Agiro Eracle ricevette onori divini (l'Eracle,
onorato ad Agiro città sicula fu forse l'antenato che guidò i Siculi
dall'Italia alla Sicilia verso il 1050 a.C. (Tucidide VI, 2, 5). In
segno di riconoscenza l'eroe scavò vicino alla città un laghetto,
accanto al laghetto si trovava un recinto consacrato da Ercole al
nipote Ioalo, era usanza che tutti i bambini di Agiro votassero fin
dalla prima infanzia, i propri capelli a Iolao e glieli offrissero,
altrimenti diventavano muti. Questa offerta avveniva ogni anno, era
accompagnata da feste e da giochi in cui servi e padroni insieme
onoravano Iolao davanti una porta della città detta Porta Eraclea.
Rosa
Casano Del Puglia
Nota di post-scriptum
La
colossale decima fatica di Ercole conferma l'antica usanza ellenica
di comprare la sposa col sistema sbrigativo di una razzia di
bestiame. Nella Grecia omerica le donne erano valutate a tanti capi
di bestiame l'una.
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La decima fatica di Eracle |
Bibliografia
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greche dell’Italia meridionale e della Sicilia, Ed. Laterza,
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-
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-
Virgilio,
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Testo ed
immagini di Rosa Casano Del Puglia. Riproduzione, anche parziale,
vietata.
Pubblicato dal Portale del Sud nel mese di Luglio dell'anno 2011 |