Napoli è stata la città italiana
maggiormente danneggiata dai bombardamenti durante il
secondo conflitto mondiale. Porto principale verso
l’Africa e capolinea delle rotte marittime verso la
Libia, Napoli e le sue zone limitrofe ospitavano
industrie di interesse strategico, sia civili che
militari come il silurificio di Baia, le officine Avio
di Pomigliano,i Cantieri Navali, le industrie della zona
di Poggioreale, l’ILVA di Bagnoli ed innumerevoli altre.
Ben 24.000 bombe furono sganciate in 130 incursioni che
provocarono 22.000 morti e distrussero 252.000 vani,
pari al quaranta per cento del patrimonio abitativo
della città.
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Via Toledo dopo un bombardamento |
Il bilancio non fu definitivo, perché nel
dopoguerra gli edifici continuarono a crollare fino alla
fine degli agli anni ’50; dissesti e voragini si
verificarono nel sottosuolo che era stato sconvolto
dagli scoppi che ne avevano modificato in peggio
l’assetto idrogeologico. Alcune zone della città sono
state ricostruite solo alla fine degli anni ’80: la
strada di via Marina, la zona portuale, è stata
interamente riaperta al traffico nei primi anni ’90 ed è
tuttora in atto la ricostruzione di palazzi diroccati
dai bombardamenti. Ancora oggi, secolo XXI, in alcuni
quartieri popolari restano cicatrici indelebili dei
bombardamenti e la memoria si perpetua nelle lapidi
recanti i nomi dei cittadini inermi periti nelle
incursioni.
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Stadio Partenopeo (ex Ascarelli). Archivio Ciro La
Rosa |
Andarono perse irrimediabilmente
testimonianze magnifiche di “architettura
razionalistica” volute nel ventennio fascista, splendido
esempio di modernità, tra le quali sono emblematiche le
distruzioni totali di alcuni edifici pubblici mai più
ricostruiti, che diedero adito negli anni ’50 ad una
selvaggia speculazione edilizia. Valgano come esempio lo
Stadio Partenopeo (ex Ascarelli) e la Piscina XXVIII
ottobre ( data della Marcia su Roma). Lo stadio venne
progettato da Amedeo d’Albora ed inaugurato nel 1934 (XII
E.F.), mentre di un avveniristico ardito era la Piscina,
inaugurata nel 1938 (XVI E.F.), colpiva la singolare
volta ordita (costruita) su archi parabolici di cemento
armato; colpiti e distrutti dal bombardamento del 10
luglio del 1941, sulla loro area vennero costruite le
case del Rione Popolare Ascarelli sul finire degli anni
’50.
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Una squadriglia di bombardieri B-29. In
alto un Wellington della RAF |
La salvezza della popolazione era
affidata alla “discesa agli inferi”, cioè nei 400
ricoveri ricavati nelle cavità della città sotterranea,
che le autorità municipali pensarono di utilizzare quale
unica via di scampo, grazie all’intuizione di un geniale
ingegnere del Comune di Napoli, Guglielmo Melisurgo, che
riadattò le cave di tufo e le cisterne della Napoli
sotterranea degli antichi greci e romani, rendendole
abitabili, realizzandovi servizi igienici, impianti di
illuminazione ed idrici, e dove c’era la possibilità
anche per il pronto soccorso. Inoltre fu fatto obbligo
ai proprietari di fabbricati sforniti di ricoveri, di
destinare come rifugio i locali sotterranei
(scantinati), riadattandoli alla bisogna, cui vanno
aggiunti tutti quei locali sotterranei dove ci si poteva
ricoverare con una buona sicurezza come gallerie
stradali, ferroviarie, acquedotti.
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Santino con preghiera per proteggersi
dalle incursioni aeree stampato a Napoli (immagine di
proprietà di Franco Ceresi) |
Molti utilizzarono
come rifugio i tunnel cittadini, come la galleria stradale “Quattro
Giornate” all’epoca “IX Maggio” (proclamazione
dell’Impero), quella del Chiatamone (zona di Santa
Lucia) dove venne trasferito l’Arsenale della Marina
Militare, le gallerie della funicolare e della
metropolitana le più famose quella di “Cavour” e “Montesanto”.
Tuttavia, la vita nei ricoveri non era delle migliori:
il terrore, la sporcizia, il senso di impotenza, di
essere incapaci di gestire la propria vita, la
condizione di progressiva fragilità, la coabitazione
forzata nella più assoluta promiscuità, dettero ai
coraggiosi miei concittadini un’acuta coscienza della
grave situazione.
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Caccia italiani Fiat CR 42 "Falco" |
I ricoveri erano mal tenuti e affollati,
le norme dell’U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione
Antiaerea) prevedevano provviste d’acqua, cloruro di
calce per disinfettare, sabbia, pale, torce elettriche,
pronto soccorso, viveri che diventarono man mano sempre
più insufficienti quando più pesante divenne il
precipitare degli eventi bellici. Malgrado tutto, i
ricoveri salvarono migliaia di vite, ubicati un poco
dovunque in città: da Posillipo a Fuorigrotta, nelle
Fontanelle a Piazza San Gaetano, ai Quartieri Spagnoli,
al Cavone di Piazza Dante, a Piazzetta Augusteo, e come
detto nei tunnel stradali, nelle gallerie, nelle
stazioni della metropolitana.
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Un caccia Fiat G50 in volo |
I bombardamenti colpirono Napoli dal 1°
novembre 1940 al 14 maggio 1944. Gli ultimi, poco
efficaci e rivolti principalmente alle strutture
militari alleate, furono effettuati dai Tedeschi. Le
incursioni più spaventose si ebbero nel 1943, rivolte a
piegare la resistenza ed a terrorizzare la popolazione.
L’arrivo dei bombardieri nemici fu preavvisato dal
lugubre ululato delle sirene fin quando fu possibile,
perché in seguito ai danneggiamenti la rete divenne mal
funzionate, e vennero quindi utilizzati al loro posto
come preavvisi le campane, le sirene delle navi nel
porto, ed infine colpi di cannone della contraerea.
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Aldo Stefanile "I cento bombardamenti di
Napoli. I tempi delle am-lire" |
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Gastone Mazzanti "obiettivo Napoli" |
Gli Inglesi iniziarono i bombardamenti
tra la notte del 31 ottobre ed il 1° novembre 1940; gli
Americani, che furono i più accaniti, il 4 dicembre
1942, ed inaugurarono anche la tecnica del
mitragliamento a terra della popolazione inerme in cerca
di riparo. Afferma Aldo Stefanile nel suo libro “I cento
bombardamenti di Napoli. I tempi delle am-lire” edizioni
Marotta 1968, che la data del 4 dicembre 1942 “è
scritta a caratteri indelebili nella storia della città”.
L’attacco, proveniente da basi egiziane, aveva come
obiettivo dichiarato le navi da guerra e da carico
ormeggiate nel porto, ma immancabilmente fu colpito
anche il centro della città. L’attacco non fu
intercettato perché gli apparecchi americani si
accodarono ad alcuni caccia tedeschi che rientravano da
una missione. In quel giorno perirono 400 persone e 300
furono feriti, il porto fu danneggiato irrimediabilmente
e vennero colpiti due tram carichi di passeggeri.
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L'incrociatore "Muzio
Attendolo" |
Testimoni raccontarono che sul tram n.9
“i morti erano seduti, composti come se fossero vivi,
in attesa di partenza”, deceduti per l’effetto dello
schiacciamento dell’aria dovuto alla pressione provocata
dalle esplosioni. 200 dei morti erano marinai
dell’incrociatore “Muzio Attendolo” che, centrato dalle
bombe nella “Santa Barbara”, si rovesciò subitaneamente.
Altre due navi furono danneggiate: l’incrociatore
“l’Eugenio di Savoia”, che ebbe 17 morti, e il
“Montecuccoli” che ne ebbe 44.
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4 dicembre 1942, gli ultimi istanti del
"Muzio Attendolo" |
Dal libro di Carlo Saggiomo, “I
Cacciatori del Vesuvio” pagina 39: “La gente
cominciava a portare all’occhiello le striscette nere
con le stellette bianche, simbolo del lutto familiare a
seguito di bombardamento“.
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Foto di Flora Chiantese |
Il 1943 fu l’anno più
tragico con 3.000 morti, basti pensare all’incursione
dell’11 gennaio, quando crollò un ricovero in via
Salvator Rosa e si decise di ricoprire le rovine con la
calce, poiché era impossibile recuperare i corpi
martoriati (i pietosi resti sono stati definitivamente
recuperati negli anni ’50). La più tremenda fu quella
del 4 agosto che colpì i quartieri più decentrati della
città, da Bagnoli a piazza Carlo III, passando per il
centro storico. In quel giorno Napoli subì la perdita
più emblematica, il complesso monumentale di Santa
Chiara.
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Santa
Chiara dopo il bombardamento |
Il patrimonio artistico venne gravemente
danneggiato, alcune chiese non vennero più ricostruite,
sculture, quadri ed affreschi, documenti cartacei
irrimediabilmente persi per sempre, venne bombardato
anche l’Archivio di Stato, nonostante le misure
preventive adottate con i codici internazionalmente
riconosciuti, come i grandi triangoli bianchi e gialli
tracciati su chiese, musei, edifici di interesse
culturale, castelli ed ospedali, volutamente ignorati
dagli Alleati.
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Fortezze volanti USAF |
La testimonianza di uno noto scrittore
napoletano Mario Scognamiglio: “…i
napoletani della mia generazione, quelli
che come me, brutalmente defraudati dell’adolescenza,
furono costretti da una guerra infame a maturare in
fretta, diventando adulti a dodici anni, non
dimenticheranno mai la terrificante estate del 1943, che
registrò il totale collasso di Napoli, una città
stremata, ormai priva di difesa antiaerea, bersagliata
quotidianamente da valanghe e valanghe di bombe
assassine; ordigni di morte, firmati da maramaldi
strateghi del terrore, sganciati alla cieca da
macroscopici stormi di Liberators, trecento,
quattrocento per raid, che rasero al suolo interi
rioni,distruggendo ospedali, scuole, chiese e musei,
seppellendo sotto le rovine delle loro case migliaia e
migliaia di persone, in gran parte donne e bambini.
Ricordo in particolare, per averla vissuta sulla mia
pelle, l’apocalittica incursione del 4 agosto di quel
maledettissimo anno, il più micidiale attacco aereo
subito dai napoletani durante la guerra; un
bombardamento di inaudita ferocia, di incommensurabile
viltà. Sbucando a sorpresa da dietro il Vesuvio - erano
le ore tredici e trenta di una caldissima e afosa
giornata - quattrocento fortezze volanti della
“Mediterranean Bomber Command” invasero il cielo di
tutti i quartieri della città, da Borgo Loreto a Santa
Lucia, da Porta Capuana agli antichi Decumani,scaricando
migliaia di bombe dirompenti e incendiarie sulla
popolazione civile,terrorizzandola, massacrandola,
uccidendo intere famiglie. Durò un’ora e mezzo quella
mattanza, poi, compiuta la “missione”, i Liberators
tornarono indenni alle loro basi, lasciandosi dietro le
rovine fumanti di una grande, illustre città. Crollarono
quel giorno case popolari e palazzi storici,
orfanotrofi, alberghi e ospedali; crollò anche, centrato
da tonnellate di tritolo, uno dei luoghi più cari ai
napoletani, la chiesa trecentesca di Santa Chiara,
affossando sotto le arcate sbriciolate di Masuccio, i
sarcofaghi dei re di Napoli, i bassorilievi di Antonio
Bamboccio e gli affreschi polverizzati di Giotto. Ancora
oggi dopo tanti anni, quando i ricordi mi riportano a
quel tragico 4 agosto, mi rintronano negli orecchi i
sibili lancinanti delle bombe,il fragore terrificante
delle esplosioni, le urla delle donne; rivedo emergere
dalle rovine delle case del mio quartiere, barcollanti,
imbiancate dai calcinacci,le figure spettrali dei
sopravvissuti; rivedo me stesso, mia madre, i miei
piccoli quattro fratelli, coi volti terrei, gli occhi
sbarrati, annichiliti dal terrore…”.
Coloro che non smisero mai di prodigarsi
con grandissimo spirito di sacrificio furono i Vigili
del Fuoco, coordinati dal valoroso comandante ingegner
Francesco Tirone e dell’ingegnere Antonio Della Morte..
Ricorda Aldo Gioia nel suo libro “Frammenti di Napoli”:
“I napoletani con gratitudine,
li soprannominarono “e’ ccape e’ fierro” dal
caratteristico copricapo, si spostavano in squadre di
soccorso per raggiungere i presidi periferici appena
avvistati gli apparecchi nemici”.
Un commosso ricordo va ai 30 piloti, di cui 16 caduti
in combattimento, del 22° Gruppo Caccia denominato
“Cacciatori del Vesuvio”, il cui medagliere è decorato
da 1 medaglia d’oro alla memoria, 3 d’argento “sul
campo” e 4 di bronzo anch’esse “sul campo” tutte al
Valor Militare. Al Comando del Capitano Pilota Vittorio
Minguzzi, essi difesero il cielo di Napoli dal giugno
del 1940 al settembre 1943, male armati con gli
antiquati biplani Fiat CR 42 “Falco”, i monoplani Fiat
G50 “Freccia” e Macchi 200 “Saetta” (i moderni Macchi
205, Reggiane 2005 e Fiat G55 giunsero troppo tardi).
Agli eroici piloti è stato recentemente reso omaggio
con il libro del generale pilota dell’Aeronautica dr.
Carlo Saggiomo
dal titolo “Cacciatori del Vesuvio”, edito da
Controcorrente nell’anno 2007.
Diedero filo da torcere al nemico, degnamente coadiuvati
dalla difesa a terra della DI.C.A.T., DIfesa ContrAerea
Territoriale, dalla XIX Legione Milizia
Contraerea delle Camice Nere, coordinati dalla Regia
Aeronautica e dall’U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione
Antincendio). Quest’ultima, insieme ai capi-palazzo
responsabili dell’evacuazioni degli stabili,
provvedevano al soccorso dei civili, allo spegnimento
degli incendi nei palazzi e nei rifugi.
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Il logo dell'UNPA |
Il Comando Provinciale
dell’U.N.P.A.aveva sede presso la Caserma in via Monte di Dio, ora
caserma della Polizia di Stato, il suo comandante era
l'ing. Giulio Vitolo, i Comandi di Settore erano sette,
stanziati in: quartiere Chiaia presso la sede della
Municipalità in piazza Santa Caterina, quartiere
Montecalvario nella sede della Municipalità in via San
Matteo, quartiere Miano nella sede della scuola
elementare in via Croce, quartiere Avvocata nella
Galleria Principe di Napoli, quartiere Poggioreale
presso la scuola elementare in via Ferriera, quartiere
Ponticelli nella scuola elementare in via Aprea,
quartiere Porto nella sede della Municipalità in via
Flavio Gioia.
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Il porto bombardato |
“È stata bersaglio di attacchi aerei come poche
città al mondo nel corso della seconda guerra
mondale….La città visse una delle sue fasi più difficili
e tristi: miseria, fame, malattie. Eppure questa
inaudita e sistematica opera di devastazione non fiaccò
la capacità di reazione, lo spirito solidale, la voglia
di ricominciare del popolo napoletano…” (Antonio
Bassolino).
Ciro La Rosa (ego sum)
Febbraio 2010