Pensiero Meridiano

 

La partita del Senatur

di Teodoro Chiarelli

Il solito vecchio Bossi. Sarà pure fiaccato dalla malattia, ma resta un animale politico, uno dei pochi rimasti in circolazione, capace di fiutare il vento che cambia anche da un letto di ospedale di Lugano.

Bertusconi, in sintonia con la stagione, sembrava allegramente dirigere la prua del suo governo verso lidi balneari. Del resto, alla faccia di chi gli vuol male, il Cavaliere aveva chiuso una verifica lunga oltre un anno sfiancando gli alleati e sganciando nulla o quasi. Certo, ha sbarcato Tremonti, ma al suo posto si è inventato come ministro dell'Economia il suo vice, il direttore generale del ministero.

Quel Siniscalco ex socialista che si è affrettato a dichiarare che lui è solo un tecnico, chiamato a far quadrare i conti, ma che la linea la da la politica. Che è come dire che Berlusconi ha restituito l'interini "tecnico" dell'Economia, ma ha conservato quello "politico".

Un gran bel risultato, non c'è che dire, per Fini e i suoi, ansiosi di racimolare qualche poltrona ministeriale in più e, invece, si ritrovano al governo l'uomo forse più detestato dall'arrembante Alemanno.

E Follini? Ha avuto impegni formali su proporzionale, collegialità, riforme economiche, insomma sul prosieguo dell'azione di governo? Parole, soltanto parole, ma poco d'altro.

La Lega, con il suo leader costretto in ospedale, sembrava quasi messa in un angolo, costretta a incassare imbelle la defenestrazione di Tremonti, ossia del suo punto di riferimento, non solo economico, all'interno dell'esecutivo. Mentre già si dava per scontato che la riforma federalista, alla base del patto di nascita della Casa delle Libertà, sarebbe rimasta nel cassetto, impallinata dagli emendamenti Udc (tanto non hanno più denti per mordere...) invece, ecco l'ultima astuzia di Bossi, l'unico capace di trasformare un impedimento in un'opportunità, la sua malattia in un'occasione di smarcamento politico. Sa di non poter svolgere appieno le proprie funzioni di ministro per le Riforme, ma sa altrettanto bene che gli alleati preferiscono vederlo formalmente al suo posto.

E adora ecco l'idea di rimescolare le carte e di scegliere Strasburgo, il Parlamento europeo, alla faccia di Roma ladrona. Una scossa, un bel sasso gettato sulle acque limacciose del ritrovato tran tran della politica. Un segnale colto al volo dai suoi luogotenenti, improvvisamente rivitalizzati. Dice il coordinatore della Lega, Calderoli: «La verifica? Può darsi che sia chiusa per gli altri. Per noi non lo è». E butta là che questa settimana proseguirà il votò in Commissione sulla riforma federalista e che si arriverà al voto finale giovedì. Gli impegni presi vanno rispettati, quelli del Carroccio non sono voti a perdere.

Il presidente del Senato, Pera, si affretta a concordare con il ministro leghista Castelli: «Se Bossi dovesse uscire dal governo sarebbe un fatto politico». Mentre il presidente dei senatori Udc, D'Onofrio, aggiunge: «Qualora Bossi dovesse scegliere per l'Europarlamento, credo che il presidente Berlusconi non potrebbe limitarsi a un interim perché si tratterebbe della fine della maggioranza del 2001 ».

Insomma, la navigazione del bastimento berlusconiano si è fatta nuovamente perigliosa, con i marosi che insidiano la resistenza di uno scafo sempre più decrepito. Il governo balneare supererà restate e poi l'inverno o si andrà alla conta?

Più che previsioni si possono fare scommesse. Certo è che Bossi e i suoi stanno precostituendo il terreno per riprendersi libertà d'azione. Mentre il Paese si avvia tragicamente ad affrontare una delle peggiori crisi economiche degli ultimi anni. Fra la manovra da 7,5 miliardi appena approvata e quella prevista per il 2005 da 30 miliardi, sugli italiani incombe una stangata da 72 mila miliardi delle vecchie lire. Solo per rimanere attaccati al convoglio europeo.

 Nel '96, per agganciare quello stesso convoglio, Prodi fece ci fece digerire una finanziaria da 62 mila miliardi. E sembrò un'enormità.


Teodoro Chiarelli (il Secolo XIX, 18 luglio 2004)

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