COSTITUZIONE E DEVOLUTION
La scopa del referendum
Stefano Ceccanti
C’erano due problemi da risolvere nella nostra Costituzione.
Il primo era il completamento della riforma del centrosinistra nei rapporti centro-periferia, rendendo più flessibile la ripartizione per materie tra Stato e Regioni e creando una sede parlamentare di cooperazione, il Senato federale.
Il secondo era quello di rendere più coerente la Costituzione con un sistema elettorale che tende a far decidere direttamente il governo ai cittadini: ciò comporterebbe dei limiti ai cambi di governo e di maggioranza nella legislatura e un rafforzamento simultaneo delle garanzie, non disponibili per la maggioranza.
Il testo approvato ieri alla Camera e che sarà approvato dal Senato, perché altrimenti la Lega romperebbe la coalizione, non risolve nessuno di tali problemi. Sulle competenze legislative da un lato il testo sembra alludere a competenze regionali esclusive su scuola, sanità e polizia locale, ma poi in altra parte del medesimo testo si afferma che anche lo Stato si occupa delle stesse materie. I conflitti aumenteranno e si scaricheranno sulla Corte costituzionale. Il Senato non è impostato come un organo federale, ma come una controparte della Camera e del governo: anche se avrà spesso una maggioranza opposta (visto che i senatori saranno eletti regione per regione insieme alle elezioni regionali) potrà paralizzare la gran parte delle leggi più importanti e quindi il funzionamento complessivo del sistema.
Ben poche sono le garanzie inserite: ad esempio la maggioranza parlamentare potrà ancora decidere da sola sulla regolarità delle elezioni al Parlamento, a tutto vantaggio dei propri eletti e a danno altrui. La maggioranza deve poi essere sostanzialmente la medesima in corso di legislatura, un principio giusto ma declinato molto male: basta che chi abbia il 4 per cento dei seggi non voglia più continuare o minacci di farla, non cade più solo il governo, ma l'intera legislatura. La stabilità viene quindi a significare solo una garanzia di paralisi.
Di fronte a queste incongruenze, criticate dalla stragrande maggioranza degli osservatori, anche di centro-destra, molti dei dirigenti della Casa delle Libertà sanno benissimo che essa è destinata ad essere bocciata in un referendum in cui non è previsto il quorum e in cui è molto più facile mobilitare i contrari che non gli astenuti. Tuttavia la Lega ne faceva una questione di vita o di morte e quindi molti hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco, con un'unica avvertenza, quella di perdere tempo. Erano infatti vari mesi che si poteva votare definitivamente. La maggioranza è andata lentissima per assicurarsi che il referendum si svolgesse dopo le politiche, in modo da evitare di presentarsi alle elezioni più importanti sull'onda di una sconfitta bruciante.
In fondo quello che interessa alle sue varie componenti è perdere meno possibile le elezioni: in voti e in seggi (e a questo serve la legge elettorale, a ridurre il danno). La riforma affonderà al referendum e nessuno piangerà su di essa. Nemmeno la Lega che altrimenti dovrebbe inventarsi un nuovo obiettivo, non tanto facile da creare. Al centrosinistra spetterà proporre durante la campagna elettorale un itinerario per fare le riforme insieme e non più a ristretta maggioranza e per risolvere in modo serio i problemi costituzionali che restano aperti.
Stefano Ceccanti, il Secolo XIX, 21 ottobre 2005 |