Pensiero Meridiano

 

Politica se ci sei batti un colpo

di Franco Cassano

Talvolta degli episodi banali permettono di scorgere con semplicità quello che discorsi complessi non riescono a dire. Qualche settimana fa, per ragioni di lavoro, ho incontrato in una città dell'Italia centrale un collega di una università settentrionale. Per me il viaggio era stato lungo, per il mio collega era durato soltanto quattro ore. "Più o meno lo stesso tempo - diceva - che impiego per arrivare dalla mia città a Monaco di Baviera. Anzi, negli ultimi anni sono andato più spesso a Monaco di quanto non sia venuto da queste parti".

Il collega fotografava perfettamente, senza volerlo, un problema cruciale. Il Sud, rispetto al resto del Paese, è più lontano dal cuore continentale dell'Europa, e deve percorrere tutta la penisola, compiere sforzi straordinari, per fare le stesse cose che i settentrionali fanno con facilità.

L'Europa è un'idea di straordinario valore, ma se essa diventa una corsa a handicap nella quale alcuni concorrenti partono con centinaia (o migliaia) di chilometri di svantaggio, la salutare competizione di cui tutti parlano sarà un gioco truccato. Certo, oggi le infrastrutture del tempo reale bruciano le distanze, ma fino a quando gli oggetti (e i corpi) non verranno teletrasmessi, sarebbe bene usare con prudenza e pudore questo argomento.

La domanda giusta è allora: qual è per l'Italia meridionale l'equivalente di Monaco di Baviera? Possiede essa un hinterland paragonabile a quello di cui dispone il nostro Nord-Est? L'hinterland del Mezzogiorno, il Mediterraneo, è ancora da costruire. Che cosa si aspetta allora a fare dei passi decisivi in questa direzione, dando coraggio e respiro alla politica estera dal nostro paese? Nel passato la prudenza è stata giustificata prima dalla divisione del mondo in blocchi. e poi dalle chiusure politiche dei paesi della sponda sud. Ma oggi perché ancora tante cautele, perché la subalternità non scompare? Se il Sud non pone subito e con forza il problema della politica estera del paese, della valorizzazione della sua posizione mediterranea, se esso cioè non pone a sé stesso e agli altri il problema della dimensione politica della sua autonomia, gran parte dei discorsi sulla nuova vitalità di un Mezzogiorno autonomo e non assistito, chiusi in un quadro solo economico, perderanno forza e capacità di convinzione.

Fino a quando il Mediterraneo sarà solo terra di convegni, di alati messaggi delle autorità, fino a quando, pur essendo la fonte d'ispirazione di gran parte della musica, del cinema, del teatro del Sud, non sarà diventato anche un problema urgente nell'agenda politica, si corre il rischio di andare incontro a cocenti delusioni.

Una nuova fase nella storia del nostro Mezzogiorno passa solo attraverso la capacità del Sud di reimmaginare sé stesso, di ritrovare la bussola del suo interesse generale, di ricomporre le sue diverse facce per fare squadra, cosa molto difficile in una realtà nella quale la subordinazione passa anche attraverso la frantumazione, le gelosie campanilistiche e regionali, la cooptazione individuale nei giri culturali che contano, nei gruppi dirigenti dei partiti, ecc. Poche persone hanno fatto per il Mezzogiorno meno dei meridionali di successo.

Se questo è il quadro più diffuso non può stupire la debolezza culturale e politica del ceto politico meridionale, o l'oscenità di ipotesi come quella dei gemellaggi tra regioni settentrionali e meridionali, che dovrebbero trasformare queste ultime in tanti valets de chambres delle prime. Oggi l'innovazione politica nel Mezzogiorno passa solo attraverso il recupero forte della sua autonomia e della sua unità. Il policentrismo della repubblica delle città è stato un momento importante di ricostruzione dell'orgoglio e dello spirito civico nel Sud, ma quella spinta oggi può continuare solo se si fa capace di elaborare un'idea che tenga insieme le differenze del Mezzogiorno, che non faccia mai smarrire la coscienza degli interessi complessivi del Sud.

Lavorare ad una rappresentazione autonoma e unitaria del Mezzogiorno non significa però pensarlo solo come perno di una nuova area di sviluppo, come parte dell'Europa policentrica e profondamente diversa da quella disegnata in questi anni. Autonomia culturale significa qualcosa di più impegnativo e di valore più universale, significa. l'abbiamo detto, re-immaginare un ruolo del Sud, dare ad esso un significato comprensibile anche per gli altri. Il Sud, si è detto fino all'abuso, è stato un crocevia di popoli: bene questa impurità etnica è anche la carta del futuro, quell'apertura di cui i giardini austriaci e svizzeri hanno paura. Il Mediterraneo non è, come qualcuno ritiene, una nostalgia, ma la grande carta del futuro, un soggetto che ha appena iniziato a parlare.

Oggi l'umanità si trova di fronte al problema di formulare un'idea di ricchezza autonoma dai parametri dominanti, tutti ricalcati sul possesso privato dei beni. Negli ultimi anni Amartya Sen, premio Nobel per l'economia, ha lavorato con molta finezza alla costruzione di una nuova nozione di "tenore di vita". La qualità della vita non è data soltanto dalla quantità di beni posseduti, ma anche da altre dimensioni, non acquisitive, è composta dall'avere, ma anche dall'essere.

Chi scrive pensa che si possa andare molto più avanti di Sen, e che il nostro Paese, il Sud e il Mediterraneo, nei prossimi decenni, avrebbero su questo punto molto da dire e soprattutto da fare. Una civiltà che ha bisogno di elaborare una nozione di ricchezza più complessa dovrà ritrovare il Sud, un'idea del tempo e della vita non colonizzata dall'ossessione produttiva, capace di affacciarsi al di là di essa. Sarebbe straordinaria quella civiltà che fosse capace di far convivere due significati dell'espressione "tempo reale": da un lato il tempo veloce dei bit, dall'altro quello lento del re, di chi governa il tempo e non si fa governare da esso. Potrebbe essere questa la carta da giocare per stare in Europa, con la nostra voce e non con quella di altri.


Da Il Mattino di Napoli, 2 ottobre 2000, pag. 11


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