Pensiero Meridiano

La crisi ukraina

di Antonio Casolaro

Non è facile prefigurare una soluzione della crisi ukraina. Paradossalmente sarebbe auspicabile per evitare pericolose spirali militari, le quali com’è noto nella maggior parte dei casi si trasformano in aggravamenti delle crisi, per le quali la scelta delle armi trovano il loro malaugurato epilogo nella guerra, il ritorno ai tempi di quella fredda intesa come “armistizio” condiviso, lasciando ai contendenti la continuazione del confronto armato interrotto con altri mezzi.

L’Ucraina indipendente è una sorta di “Risiko”. I cittadini di quel paese sanno che per prendersi tutto bisogna pazientare, stringere e sciogliere alleanze, sviare gli avversari che nel caso in questione sono sia i russi che gli occidentali, sperare che la buona sorte non ti giri le spalle nel momento del bisogno, ma soprattutto avere e mettere in campo una seria strategia.

Ed invece fin dalla proclamazione dell’indipendenza del 24 agosto 1991 il paese si è diviso in due blocchi contrapposti: quello russo e quello filoccidentale.

L’Ukraina negli ultimi tempi si è imposta all’opinione pubblica per la “guerra del gas” che oppone il Cremlino a Kiev, ma che ha trovato uno sviluppo ulteriore per il braccio di ferro che ha contrapposto e contrappone oggi Putin e Obama sull’approvvigionamento energetico dell’Europa, senza dimenticare le immense riserve del sottosuolo ucraino, le quali secondo stime recenti si calcolano che siano pari a 39 trilioni di metri cubi di gas non ancora estratto, e sul quale la Chevron firmò un contratto da 10 miliardi di dollari già all’epoca di George W.Bush.

Pochi accennano però all’altro immenso tesoro del paese orientale: il grano. Eppure l’Ukraina è il terzo produttore mondiale di frumento, insieme all’Australia e dopo gli Usa e l’Argentina.

In questo quadro non è azzardato prevedere il pericolo della prima “guerra del grano” del terzo millennio, ricordando pure che alla trasformazione dei prodotti alimentari in Ukraina attende un lavoratore su quattro che lavora nel settore agricolo o forestale.

L’Ukraina grazie alla sua fertile terra che è ricchissima di sostanze organiche è in grado di coltivare con alte rese ed ottime qualità grano e orzo, ma anche segale, avena, girasole e barbabietola. Storicamente l’Ukraina è sempre stata il granaio di Russia ed Europa.

Va ricordato che alcune guerre per il grano e i cereali sono presenti in forma come dire sotterranea in Sudan ed in Argentina. Il Sudan considerato “il fienile d’Africa” è stato distrutto da un continuo disordine politico determinato dall’emergenza del Sud Sudan, ricco di petrolio, cosa che ha attirato gli interessi di Stati Uniti ed Israele. L’Argentina, storica potenza cerealicola fin dall’inizio del XX secolo è attraversata da una tragica e brutale guerra che sta subendo il suo vulnerabile sistema finanziario, il quale è controllato dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, che non a caso mirano alla Patagonia, la quale costituisce il più grande granaio sudamericano.

C’è da dire anche per completare il quadro che sul mar Nero – quello in cui si affaccia la Crimea – ci sono i porti attraverso cui l’Ukraina esporta la produzione cerealicola, la quale stando al governo di Kiev costituisce più del 50% dell’economia della Crimea.

Secondo il World Factbook che è una pubblicazione della Cia, l’Ukraina oggi esporta grandi quantità di grano, il cui valore è esploso durante la crisi di cambio di regime pro-Fmi a Kiev, cosa che ha determinato la reazione russa in Crimea. Nel 2011 l’Ukraina ha raggiunto un raccolto record di 57 milioni di tonnellate di cereali, che stando alla Banca per la Ricostruzione e Sviluppo in Europa potrebbe, dopo adeguate trasformazioni e applicazioni di nuove tecnologie, duplicare nell’arco dei prossimi dieci anni.

È sintomatico che molte delle sei multinazionali del cartello anglosassone che controlla la produzione del grano e dei cereali si stiano interessando all’enorme potenziale agricolo dell’Ukraina. Infatti Cargill, Adm e Bunge in pieno accordo con Nestlé e Kraft hanno investito ed investono miliardi di dollari nel settore agricolo del paese orientale. Ma c’è di più perché anche la temibile Monsanto insieme all’altro colosso Du Pont sono interessate al “chernozem” – terre nere - ucraino.

Dopo questo breve excursus sulla forza produttiva dell’Ukraina appare più chiaro – almeno così sembra – lo scenario della disputa in atto tra Russia da una parte ed Europa ed Usa dall’altra. 

Una contesa che riserba naturalmente risvolti politici inimmaginabili perché una Ucraina filorussa significherebbe riproporre una presenza significativa di Mosca, la quale si rafforzerebbe recuperando un certo numero di perdite che sono derivate dall’implosione del ’89 e nello stesso tempo eviterebbe un allargamento della Nato, che con l’inclusione dell’Ukraina porterebbe le truppe occidentali al confine dell’ex impero sovietico.

 La risposta occidentale – le sanzioni di Obama, le minacce militari nonché quelle economiche - sono il segno che la crisi Ukraina preoccupa notevolmente gli interessi dei due emisferi e che potrebbe allargarsi fino alla contrapposizione diretta con le armi.

È vero tuttavia che da parte degli Usa una soluzione, ma anche una minaccia concreta mediante le armi è poco raccomandabile.

La Russia di oggi indipendentemente dalla propria capacità ha una alternativa che è rappresentata dal paese che si avvia a diventare secondo lo studio della Banca Mondiale pubblicato in questi giorni dal “Financial Time” la prima potenza economica del globo: la Cina.

Quando Putin, rispondendo alle paventate minacce di sanzioni che Obama e l’occidente intendono irrogare per l’annessione della Crimea, dice che sarebbero “controproducenti” fa capire che Mosca oggi potrebbe fare a meno degli acquisti occidentali del debito russo, i quali, e qui si spiega come dire la sua sicumera, sono finanziati dagli acquisti cinesi di T-bonds statunitensi. Un’accelerazione dell’isolamento della Russia provocherebbe da parte di Putin la ricerca di nuovi affari, accordi energetici, contratti militari e alleanze politiche con la Cina. Non a caso il mese prossimo durante la visita che Putin farà in Cina è prevista la firma per l’accordo sul super-gasdotto che collegherà la Russia con Pechino. Un opera che consentirà alla Gazprom di fornire a partire dal 2018 oltre 38 miliardi di metri cubi di gas naturale verso l’Impero di mezzo.

Non sfuggirà alla classe politica occidentale che, in occasione della discussione sull’operazione di annessione della Crimea da parte della Russia, Putin non si è limitato a ringraziare la Cina per il voto contrario espresso alla condanna richiesta dall’Onu, ma ha anche riconosciuto la “moderazione e obiettività” dell’India, avviando rapporti col premier Manmohan Singh sulla necessità di ampliare accordi con un paese non-allineato come l’India, il quale sempre secondo lo studio della Banca Mondiale si appresta a diventare la terza economia del mondo e con una popolazione che ha raggiunto il miliardo e cento milioni di abitanti.

In conclusione si tratta di trovare una soluzione interna all’Ukraina, una quadra difficile enormemente problematica perché le posizioni e le aspirazioni delle popolazioni e delle etnie così come gli interessi corrispondenti rifuggono dalle mediazioni.

E il movimento operaio? È tutto da ri/costruire! D’altra parte non si poteva pretendere che dopo un lungo periodo durante il quale il Partito comunista ukraino ha sostenuto Yanukovych i lavoratori ucraini, russi, tatari ed ebrei trovassero la loro autonomia e la forza di unirsi per una comune lotta contro gli oligarchi e per togliere dalle loro mani le risorse economiche del paese.

Antonio Casolaro

Maggio 2014

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