Non è facile prefigurare una soluzione della crisi ukraina.
Paradossalmente sarebbe auspicabile per evitare pericolose spirali
militari, le quali com’è noto nella maggior parte dei casi si
trasformano in aggravamenti delle crisi, per le quali la scelta delle
armi trovano il loro malaugurato epilogo nella guerra, il ritorno ai
tempi di quella fredda intesa come “armistizio” condiviso, lasciando ai
contendenti la continuazione del confronto armato interrotto con altri
mezzi.
L’Ucraina indipendente è una sorta di “Risiko”. I cittadini di quel
paese sanno che per prendersi tutto bisogna pazientare, stringere e
sciogliere alleanze, sviare gli avversari che nel caso in questione sono
sia i russi che gli occidentali, sperare che la buona sorte non ti giri
le spalle nel momento del bisogno, ma soprattutto avere e mettere in
campo una seria strategia.
Ed invece fin dalla proclamazione dell’indipendenza del 24 agosto 1991
il paese si è diviso in due blocchi contrapposti: quello russo e quello
filoccidentale.
L’Ukraina negli ultimi tempi si è imposta all’opinione pubblica per la
“guerra del gas” che oppone il Cremlino a Kiev, ma che ha trovato uno
sviluppo ulteriore per il braccio di ferro che ha contrapposto e
contrappone oggi Putin e Obama sull’approvvigionamento energetico
dell’Europa, senza dimenticare le immense riserve del sottosuolo
ucraino, le quali secondo stime recenti si calcolano che siano pari a 39
trilioni di metri cubi di gas non ancora estratto, e sul quale la
Chevron firmò un contratto da 10 miliardi di dollari già all’epoca di
George W.Bush.
Pochi accennano però all’altro immenso tesoro del paese orientale: il
grano. Eppure l’Ukraina è il terzo produttore mondiale di frumento,
insieme all’Australia e dopo gli Usa e l’Argentina.
In questo quadro non è azzardato prevedere il pericolo della prima
“guerra del grano” del terzo millennio, ricordando pure che alla
trasformazione dei prodotti alimentari in Ukraina attende un lavoratore
su quattro che lavora nel settore agricolo o forestale.
L’Ukraina grazie alla sua fertile terra che è ricchissima di sostanze
organiche è in grado di coltivare con alte rese ed ottime qualità grano
e orzo, ma anche segale, avena, girasole e barbabietola. Storicamente l’Ukraina
è sempre stata il granaio di Russia ed Europa.
Va ricordato che alcune guerre per il grano e i cereali sono presenti in
forma come dire sotterranea in Sudan ed in Argentina. Il Sudan
considerato “il fienile d’Africa” è stato distrutto da un continuo
disordine politico determinato dall’emergenza del Sud Sudan, ricco di
petrolio, cosa che ha attirato gli interessi di Stati Uniti ed Israele.
L’Argentina, storica potenza cerealicola fin dall’inizio del XX secolo è
attraversata da una tragica e brutale guerra che sta subendo il suo
vulnerabile sistema finanziario, il quale è controllato dagli Stati
Uniti e dall’Inghilterra, che non a caso mirano alla Patagonia, la quale
costituisce il più grande granaio sudamericano.
C’è da dire anche per completare il quadro che sul mar Nero – quello in
cui si affaccia la Crimea – ci sono i porti attraverso cui l’Ukraina
esporta la produzione cerealicola, la quale stando al governo di Kiev
costituisce più del 50% dell’economia della Crimea.
Secondo il World Factbook che è una pubblicazione della Cia, l’Ukraina
oggi esporta grandi quantità di grano, il cui valore è esploso durante
la crisi di cambio di regime pro-Fmi a Kiev, cosa che ha determinato la
reazione russa in Crimea. Nel 2011 l’Ukraina ha raggiunto un raccolto
record di 57 milioni di tonnellate di cereali, che stando alla Banca per
la Ricostruzione e Sviluppo in Europa potrebbe, dopo adeguate
trasformazioni e applicazioni di nuove tecnologie, duplicare nell’arco
dei prossimi dieci anni.
È sintomatico che molte delle sei multinazionali del cartello
anglosassone che controlla la produzione del grano e dei cereali si
stiano interessando all’enorme potenziale agricolo dell’Ukraina. Infatti
Cargill, Adm e Bunge in pieno accordo con Nestlé e Kraft hanno investito
ed investono miliardi di dollari nel settore agricolo del paese
orientale. Ma c’è di più perché anche la temibile Monsanto insieme
all’altro colosso Du Pont sono interessate al “chernozem” – terre nere -
ucraino.
Dopo questo breve excursus sulla forza produttiva dell’Ukraina appare
più chiaro – almeno così sembra – lo scenario della disputa in atto tra
Russia da una parte ed Europa ed Usa dall’altra.
Una contesa che riserba naturalmente risvolti politici inimmaginabili
perché una Ucraina filorussa significherebbe riproporre una presenza
significativa di Mosca, la quale si rafforzerebbe recuperando un certo
numero di perdite che sono derivate dall’implosione del ’89 e nello
stesso tempo eviterebbe un allargamento della Nato, che con l’inclusione
dell’Ukraina porterebbe le truppe occidentali al confine dell’ex impero
sovietico.
La risposta occidentale – le sanzioni di Obama, le minacce militari
nonché quelle economiche - sono il segno che la crisi Ukraina preoccupa
notevolmente gli interessi dei due emisferi e che potrebbe allargarsi
fino alla contrapposizione diretta con le armi.
È vero tuttavia che da parte degli Usa una soluzione, ma anche una
minaccia concreta mediante le armi è poco raccomandabile.
La Russia di oggi indipendentemente dalla propria capacità ha una
alternativa che è rappresentata dal paese che si avvia a diventare
secondo lo studio della Banca Mondiale pubblicato in questi giorni dal
“Financial Time” la prima potenza economica del globo: la Cina.
Quando Putin, rispondendo alle paventate minacce di sanzioni che Obama e
l’occidente intendono irrogare per l’annessione della Crimea, dice che
sarebbero “controproducenti” fa capire che Mosca oggi potrebbe fare a
meno degli acquisti occidentali del debito russo, i quali, e qui si
spiega come dire la sua sicumera, sono finanziati dagli acquisti cinesi
di T-bonds statunitensi. Un’accelerazione dell’isolamento della Russia
provocherebbe da parte di Putin la ricerca di nuovi affari, accordi
energetici, contratti militari e alleanze politiche con la Cina. Non a
caso il mese prossimo durante la visita che Putin farà in Cina è
prevista la firma per l’accordo sul super-gasdotto che collegherà la
Russia con Pechino. Un opera che consentirà alla Gazprom di fornire a
partire dal 2018 oltre 38 miliardi di metri cubi di gas naturale verso
l’Impero di mezzo.
Non sfuggirà alla classe politica occidentale che, in occasione della
discussione sull’operazione di annessione della Crimea da parte della
Russia, Putin non si è limitato a ringraziare la Cina per il voto
contrario espresso alla condanna richiesta dall’Onu, ma ha anche
riconosciuto la “moderazione e obiettività” dell’India, avviando
rapporti col premier Manmohan Singh sulla necessità di ampliare accordi
con un paese non-allineato come l’India, il quale sempre secondo lo
studio della Banca Mondiale si appresta a diventare la terza economia
del mondo e con una popolazione che ha raggiunto il miliardo e cento
milioni di abitanti.
In conclusione si tratta di trovare una soluzione interna all’Ukraina,
una quadra difficile enormemente problematica perché le posizioni e le
aspirazioni delle popolazioni e delle etnie così come gli interessi
corrispondenti rifuggono dalle mediazioni.
E il movimento operaio? È tutto da ri/costruire! D’altra parte non si
poteva pretendere che dopo un lungo periodo durante il quale il Partito
comunista ukraino ha sostenuto Yanukovych i lavoratori ucraini, russi,
tatari ed ebrei trovassero la loro autonomia e la forza di unirsi per
una comune lotta contro gli oligarchi e per togliere dalle loro mani le
risorse economiche del paese.
Antonio Casolaro
Maggio 2014