Pensiero Meridiano

Renzi, quale futuro?

di Antonio Casolaro

La presenza di Renzi al governo dipenderà a mio giudizio dalla debolezza degli avversari e dalla capacità del fare dell’ex sindaco di Firenze.

Basterebbero prendere ad esempio le due decisioni assunte di recente, quella sulla scuola e quella sulla sanità, per confermare il giudizio espresso all’inizio. In ambo i casi le risposte politiche e sindacali sono state irrilevanti nascoste tra i righi dei quotidiani, salvo “Il Manifesto” che, com’è noto, si rivolge ad un pubblico di poche migliaia ahimè di reduci e dagli interventi online di compagni e compagne in modo singolo od organizzato.

Certo qualcuno potrà immediatamente intervenire e, per compensare le due misure sottolineate prima, indicherà l’aumento al 26% dell’aliquota d’imposta sulla rivalutazione delle quote di Banca d’Italia varato da Renzi con il decreto del 19 aprile scorso e che ha riscosso molto consenso da parte dei ceti popolari e lo slittamento dell’applicazione del pareggio di bilancio fissato dall’art.81 della Costituzione, modificato dal governo Monti con la legge costituzionale del 17 aprile 2012.

Misure queste ultime due che consentiranno da una parte di far cassa e far fronte quindi ai costi del riequilibrio dell’Irpef ai lavoratori e dell’Irap alle aziende e dall’altra forse di allentare i cordoni della borsa pubblica per dar corso ad una nuova politica d’investimenti. E’ tutto qui giustamente dirà chi è abituato ad ascoltare roboanti interventi di rivoltare il paese come un pedalino o di conquiste di ipotetici palazzi d’inverno sulla scia di rivolte che dovrebbero infiammare l’intero paese e che alla fine si riducono nel solito assalto al “bancomat” di turno od all’impresa dell’ercolino sempre in piedi che finalmente sfoga la sua frustrazione di tutore dell’ordine pubblico (de che?).

Renzi penso che sappia bene che la sfida si gioca sulla crescita e sul recupero dell’occupazione.

Sulla crescita i primi e timidi segnali di ripresa devono consolidarsi. L’operazione 80 euro e l’accelerazione dei pagamenti della pubblica amministrazione consentiranno, secondo Renzi, di aumentare la liquidità nelle tasche di una larga fascia di popolazione e generare una ripresa di consumi interni ed anche la ripresa degli investimenti. La domanda deve essere sostenuta e la diminuzione in misura marcata dell’inflazione ne è il profeta. Le pressioni al ribasso riflettono al ribasso in misura rilevante la debolezza appunto della domanda confermando il vecchio adagio: “bambola non c’è una lira!”.

E’ evidente che questa prima azione non basta salvo che l’ex sindaco preso atto che la base produttiva del paese che governa si è ridimensionata e “risanata” fino al punto che gli indici ante crisi non saranno più raggiunti, per cui il sistema paese riprenderà a svilupparsi a partire da quello che è oggi come realtà e come capacità strutturale (il dimagrimento dopo i tagli dei rami secchi e di quelli inutili intesi per tali quelli connessi alle ipertrofiche aziende pubbliche).

E seppure malauguratamente fosse così – voglio vedere in un tempo ragionevole come li riassorbi i milioni di disoccupati! – è necessaria una crescita duratura e un’accresciuta capacità d’innovazione delle aziende, che dovranno essere supportate dalla ricerca di base – ne parliamo da una vita - che è prerogativa in tutti i paesi dello Stato a cominciare dal “paradiso” del privato ossia gli USA, i cui colossi industriali premono con le loro lobbies perché si concludano più affari in campo militare insieme ai pianificatori del Pentagono impazienti di procedere alla produzione di nuove armi, ai deputati i cui distretti elettorali traggono vantaggi diretti dai contratti precostituiti fino ai milioni di americani, dall’operaio aereonautico al fisico universitario, che ricevono la busta paga grazie alle commesse del governo.

Invertire la tendenza in atto “del privato è bello” significa per esempio recuperare la centralità delle Università Statali, farla finita o perlomeno ridimensionare le varie Bocconi, Luiss, Cattolica etc ed i loro guru, restituendo all’Università Statale il ruolo centrale dello studio superiore e della ricerca, quindi assegnare i fondi necessari per fare ciò.

Agirà all’interno di questo percorso Renzi? Cioè si muoverà cercando di dare un colpo al cerchio e l’altro alla botte?

Non è dato sapere, forse perché non lo sa nemmeno lui, qual è il cammino di Renzi. Le prime e già segnalate decisioni hanno riscosso parecchi consensi, ma anche qualche No pesante come quello delle banche che minacciano di riversare sul credito alle imprese ed alle famiglie gli aumenti della pressione fiscale disposti dal governo Renzi.

Il movimento operaio è ormai un ricordo. Nella fase della totalizzazione del rapporto di capitale forse, ripeto, forse non c’è più posto per questi sindacati, i quali hanno svolto il loro ruolo – piuttosto male secondo me – nel XX secolo riuscendo ad essere decisivi specialmente nel periodo del welfare – e ci mancava che non ci riuscissero!-. Oggi appaiono, almeno a me, patetici perché insignificanti e ripetitivi come quel segretario che stancamente continua a chiedere la riduzione delle imposte e gli investimenti mentre fuori la porta della sua confederazione, come di quelle delle altre sostano centinaia di migliaia di cassintegrati in attesa di una risposta per il loro futuro, mentre milioni di disoccupati giovani e non più giovani chiedono lavoro, chiedono un reddito.

Il futuro di Renzi dipenderà anche dal proseguimento dall’espansione dell’attività economica mondiale, che tuttavia presenta nuovi rischi quali i segnali di debolezza che si registrano in alcuni paesi emergenti a cominciare dalla Cina dove l’indebitamento del settore privato costituisce un fattore di rischio. Le tensioni in Russia sulla scia della crisi ucraina potrebbero ripercuotersi sui prezzi e le forniture di energia con gravi contraccolpi sull’area dell’euro.

In questo quadro come agirà l’opposizione? Seppur banale sul piano propagandistico appare efficace “l’assalto” all’euro e la richiesta delle varie anime cd critiche verso l’euro – da Brunetta ad Alemanno, da Storace alla Mussolini, da Savini alla Meloni – tentano di spiegare i vantaggi che il paese riceverebbe con il recupero della lira.

L’uscita dall’euro, non è dato sapere se anche dall’UE, creerebbe numerose difficoltà a cominciare dal rischio di alti tassi d’inflazione assolutamente non controllabili dal sistema. Sul breve è noto che il ritorno alla lira potrebbe dare un buon slancio all’economia italiana, ma dopo pochi mesi gli effetti negativi sopravanzerebbero notevolmente quelli positivi.

Sarebbe meglio, ha detto lo scorso 12 aprile Joseph Stiglitz, Nobel per l’economia, che fosse l’Europa ad abbandonare l’austerity piuttosto che l’Italia a lasciare l’Euro. Una conclusione condivisibile, specialmente sull’allentamento dell’austerity dell’UE a cominciare dalla Banca diretta da Draghi fino alla Cancelliera di ferro, di certo molto più graziosa e disponibile durante le ben accolte soste e passeggiate in quel di Napoli, Pompei, Pozzuoli e naturalmente nell’isola verde d’Ischia.

Antonio Casolaro - Caserta

Aprile 2014

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