La presenza di Renzi al governo dipenderà a mio giudizio dalla debolezza
degli avversari e dalla capacità del fare dell’ex sindaco di Firenze.
Basterebbero prendere ad esempio le due decisioni assunte di recente,
quella sulla scuola e quella sulla sanità, per confermare il giudizio
espresso all’inizio. In ambo i casi le risposte politiche e sindacali
sono state irrilevanti nascoste tra i righi dei quotidiani, salvo “Il
Manifesto” che, com’è noto, si rivolge ad un pubblico di poche migliaia
ahimè di reduci e dagli interventi online di compagni e compagne in modo
singolo od organizzato.
Certo qualcuno potrà immediatamente intervenire e, per compensare le due
misure sottolineate prima, indicherà l’aumento al 26% dell’aliquota
d’imposta sulla rivalutazione delle quote di Banca d’Italia varato da
Renzi con il decreto del 19 aprile scorso e che ha riscosso molto
consenso da parte dei ceti popolari e lo slittamento dell’applicazione
del pareggio di bilancio fissato dall’art.81 della Costituzione,
modificato dal governo Monti con la legge costituzionale del 17 aprile
2012.
Misure queste ultime due che consentiranno da una parte di far cassa e
far fronte quindi ai costi del riequilibrio dell’Irpef ai lavoratori e
dell’Irap alle aziende e dall’altra forse di allentare i cordoni della
borsa pubblica per dar corso ad una nuova politica d’investimenti. E’
tutto qui giustamente dirà chi è abituato ad ascoltare roboanti
interventi di rivoltare il paese come un pedalino o di conquiste di
ipotetici palazzi d’inverno sulla scia di rivolte che dovrebbero
infiammare l’intero paese e che alla fine si riducono nel solito assalto
al “bancomat” di turno od all’impresa dell’ercolino sempre in piedi che
finalmente sfoga la sua frustrazione di tutore dell’ordine pubblico (de
che?).
Renzi penso che sappia bene che la sfida si gioca sulla crescita e sul
recupero dell’occupazione.
Sulla crescita i primi e timidi segnali di ripresa devono consolidarsi.
L’operazione 80 euro e l’accelerazione dei pagamenti della pubblica
amministrazione consentiranno, secondo Renzi, di aumentare la liquidità
nelle tasche di una larga fascia di popolazione e generare una ripresa
di consumi interni ed anche la ripresa degli investimenti. La domanda
deve essere sostenuta e la diminuzione in misura marcata dell’inflazione
ne è il profeta. Le pressioni al ribasso riflettono al ribasso in misura
rilevante la debolezza appunto della domanda confermando il vecchio
adagio: “bambola non c’è una lira!”.
E’ evidente che questa prima azione non basta salvo che l’ex sindaco
preso atto che la base produttiva del paese che governa si è
ridimensionata e “risanata” fino al punto che gli indici ante crisi non
saranno più raggiunti, per cui il sistema paese riprenderà a svilupparsi
a partire da quello che è oggi come realtà e come capacità strutturale
(il dimagrimento dopo i tagli dei rami secchi e di quelli inutili intesi
per tali quelli connessi alle ipertrofiche aziende pubbliche).
E seppure malauguratamente fosse così – voglio vedere in un tempo
ragionevole come li riassorbi i milioni di disoccupati! – è necessaria
una crescita duratura e un’accresciuta capacità d’innovazione delle
aziende, che dovranno essere supportate dalla ricerca di base – ne
parliamo da una vita - che è prerogativa in tutti i paesi dello Stato a
cominciare dal “paradiso” del privato ossia gli USA, i cui colossi
industriali premono con le loro lobbies perché si concludano più affari
in campo militare insieme ai pianificatori del Pentagono impazienti di
procedere alla produzione di nuove armi, ai deputati i cui distretti
elettorali traggono vantaggi diretti dai contratti precostituiti fino ai
milioni di americani, dall’operaio aereonautico al fisico universitario,
che ricevono la busta paga grazie alle commesse del governo.
Invertire la tendenza in atto “del privato è bello” significa per
esempio recuperare la centralità delle Università Statali, farla finita
o perlomeno ridimensionare le varie Bocconi, Luiss, Cattolica etc ed i
loro guru, restituendo all’Università Statale il ruolo centrale dello
studio superiore e della ricerca, quindi assegnare i fondi necessari per
fare ciò.
Agirà all’interno di questo percorso Renzi? Cioè si muoverà cercando di
dare un colpo al cerchio e l’altro alla botte?
Non è dato sapere, forse perché non lo sa nemmeno lui, qual è il cammino
di Renzi. Le prime e già segnalate decisioni hanno riscosso parecchi
consensi, ma anche qualche No pesante come quello delle banche che
minacciano di riversare sul credito alle imprese ed alle famiglie gli
aumenti della pressione fiscale disposti dal governo Renzi.
Il movimento operaio è ormai un ricordo. Nella fase della totalizzazione
del rapporto di capitale forse, ripeto, forse non c’è più posto per
questi sindacati, i quali hanno svolto il loro ruolo – piuttosto male
secondo me – nel XX secolo riuscendo ad essere decisivi specialmente nel
periodo del welfare – e ci mancava che non ci riuscissero!-. Oggi
appaiono, almeno a me, patetici perché insignificanti e ripetitivi come
quel segretario che stancamente continua a chiedere la riduzione delle
imposte e gli investimenti mentre fuori la porta della sua
confederazione, come di quelle delle altre sostano centinaia di migliaia
di cassintegrati in attesa di una risposta per il loro futuro, mentre
milioni di disoccupati giovani e non più giovani chiedono lavoro,
chiedono un reddito.
Il futuro di Renzi dipenderà anche dal proseguimento dall’espansione
dell’attività economica mondiale, che tuttavia presenta nuovi rischi
quali i segnali di debolezza che si registrano in alcuni paesi emergenti
a cominciare dalla Cina dove l’indebitamento del settore privato
costituisce un fattore di rischio. Le tensioni in Russia sulla scia
della crisi ucraina potrebbero ripercuotersi sui prezzi e le forniture
di energia con gravi contraccolpi sull’area dell’euro.
In questo quadro come agirà l’opposizione? Seppur banale sul piano
propagandistico appare efficace “l’assalto” all’euro e la richiesta
delle varie anime cd critiche verso l’euro – da Brunetta ad Alemanno, da
Storace alla Mussolini, da Savini alla Meloni – tentano di spiegare i
vantaggi che il paese riceverebbe con il recupero della lira.
L’uscita dall’euro, non è dato sapere se anche dall’UE, creerebbe
numerose difficoltà a cominciare dal rischio di alti tassi d’inflazione
assolutamente non controllabili dal sistema. Sul breve è noto che il
ritorno alla lira potrebbe dare un buon slancio all’economia italiana,
ma dopo pochi mesi gli effetti negativi sopravanzerebbero notevolmente
quelli positivi.
Sarebbe meglio, ha detto lo scorso 12 aprile Joseph Stiglitz, Nobel per
l’economia, che fosse l’Europa ad abbandonare l’austerity piuttosto che
l’Italia a lasciare l’Euro. Una conclusione condivisibile, specialmente
sull’allentamento dell’austerity dell’UE a cominciare dalla Banca
diretta da Draghi fino alla Cancelliera di ferro, di certo molto più
graziosa e disponibile durante le ben accolte soste e passeggiate in
quel di Napoli, Pompei, Pozzuoli e naturalmente nell’isola verde
d’Ischia.
Antonio Casolaro - Caserta
Aprile
2014